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LIGURIA: IL MONDO DEI SERVIZI SI RITROVA A QUARTO

14 Ott 17

A cura di Paolo F. Peloso

LIGURIA: IL MONDO DEI SERVIZI SI RITROVA A QUARTO. Pensieri sparsi del giorno dopo
 
Se la riuscita di un evento si giudica dalla partecipazione, beh il convegno La città che cura: il futuro della Salute Mentale a Genova e in Liguria, organizzato dalla ASL 3 della Liguria insieme al Coordinamento delle Associazioni di Familiari e Utenti della Salute Mentale, che si è tenuto ieri a Genova è decisamente riuscito. Oltre 200 persone ininterrottamente presenti dalle 9 alle 18 con tanta voglia di partecipare, ascoltare e dire la propria. Per la metà operatori dei 5 DSMD liguri, per l’altra metà familiari e altri cittadini membri delle associazioni attive nel campo della Salute mentale, che hanno dimostrato di rappresentare oggi una realtà significativa e capace di portare stimoli al sistema.
Ad aprire la prima sessione, presso l’Aula magna del Gaslini,  gli interventi di Marco Vaggi per il DSMD  – che oltre a esporre le linee strategiche sulle quali si sta orientando il dipartimento ha salutato Luigi Ferrannini, presente come protagonista della psichiatria ma anche in rappresentanza dell’Ordine dei Medici – e Giorgio Pescetto per le associazioni, che ha ricostruito la loro faticosa evoluzione verso un tavolo unitario.
Poi la relazione breve ma efficace di Franco Rotelli, storico leader della psichiatria triestina[i], centrata sui concetti di “presa in carico della persona” nella complessità dei suoi bisogni, contrapposto al modello medicista della “presa in carico della malattia”. Su quello di “città che cura” per la costruzione di  una presa in carico della persona che sia davvero radicata nel territorio – un territorio che si dimostri capace di assumerei responsabilità rispetto a tutti coloro che vi si trovano – e che del territorio sappia mettere a frutto le potenzialità sterminate. Sulla consapevolezza della complessità, per la psichiatria, di basarsi sulla presa in carico di un oggetto che è, in realtà, anche un soggetto portatore di bisogni, desideri, punti di vista, con il quale è necessario negoziare. Rotelli ha inoltre proposto i vantaggi del modello, unico in Italia, di Azienda sanitaria adottato nel Friuli Venezia Giulia, che vede la fusione in essa dell’Azienda sanitaria precedente, di quella ospedaliera e anche della Facoltà di medicina. Un modello, evidentemente, volto a superare confini che esistono nell’organizzazione della risposta, ma non nella domanda che, di per sé, si pone sempre come domanda complessiva e unitaria di salute.
Michela Davi ha esposto i risultati di una ricerca orientata a far emergere i bisogni e desideri delle famiglie, organizzata dal mondo delle Associazioni, ed è una novità per la Liguria. Lidia Prato ha tratto un bilancio dell’applicazione della legge 68 in Liguria, che ha portato nel quadriennio 2012-2016 gli operatori della mediazione a incontrare oltre 900 soggetti, prenderne in carico 312, portarne all’occupazione 70, ai quali vanno aggiunti altri 100 portati ad analogo risultato dall’UCIL. Numeri su cui riflettere, che mi pare che in una regione con oltre 20.000 pazienti in carico ai CSM rendano necessario un maggiore impegno su questo versante. Un impegno che è necessario se crediamo che il rapporto con il lavoro continui a essere a tutti gli effetti un pezzo indispensabile della cura della persona, e non soltanto il premio riservato a chi è già guarito[ii]. Lidia ha inoltre ricordato come l’Italia sia stata condannata in sede europea per l’insufficiente disponibilità delle sue aziende a collaborare all’inserimento lavorativo del disabile in termini di “accomodamento ragionevole”, adeguandosi alle convenzioni sottoscritte in sede internazionale. Marcello Macario, psichiatra savonese, ha illustrato il metodo del “dialogo aperto” volto a un maggiore coinvolgimento dell’utente e della famiglia nel processo di cura e ad un ritorno alla centralità del domicilio; un’esposizione, la sua, che mi pare riproporre l’operatività dei primi servizi, quelli degli anni ‘70/’80, e le preziose testimonianze dei primi colleghi che “esploravano” allora le novità rappresentate dal domicilio e la famiglia del paziente, e la sua soggettività. Un recupero, insomma, per vie in questo caso un po’ tortuose e con accento anglosassone, di emozioni e stili di lavoro che la nostra storia rischia di avere perso per strada.  Partner purtroppo inusuali, ma indispensabili, per una politica efficace di salute mentale sono stati poi individuati dagli organizzatori nella rappresentante della Compagnia di S. Paolo e in quello della Piccola e Media Impresa, a testimoniare la necessità di fare davvero, della responsabilità collegata alla salute mentale, una responsabilità sociale della quale ciascuno – compreso chi è nella possibilità di mettere in campo risorse materiali destinate al sociale e progettualità e imprenditorialità – si deve far carico. Presenze queste, insomma, che fanno ben sperare per il futuro. A seguire, l’alternarsi di rappresentanti delle diverse figure professionali operanti nel DSMD e di rappresentanti delle diverse realtà dell’associazionismo. Tra questi ultimi, ho registrato con sincero piacere l’intervento finalmente di una persona che si è presentata come esperta in quanto utente, la rappresentante dell’associazione “Prato onlus” [iii], perché uno dei limiti maggiori del mondo dei nostri servizi evidenziati anche dalla giornata di ieri è senz’altro la difficoltà ad associarsi e autorappresentarsi degli utenti, che ha l’inevitabile conseguenza di far sì, come ha sottolineato la coraggiosa signora, che “qualcuno parli sempre per noi”. Qualcuno: in genere gli operatori, o tutt’al più le famiglie; che è però lo stesso problema.
Come ha rilevato Marco con giusta soddisfazione, nella mattinata si sono succeduti 28 interventi, brevi ma tutti significativi: un’indubbia ricchezza. A seguire, va segnalato anche un buffet di ottimo livello, realizzato dalla cooperativa La scopa meravigliante, nata per volontà di Antonio Slavich e ostinata, nonostante contesti economici non favorevoli e una certa distrazione negli anni di amministratori e politici, nel tentativo di garantire per quello che può opportunità di lavoro agli utenti dei servizi.
Il pomeriggio si è aperto con cinque gruppi, condotti dai direttori dei 5 dipartimenti della Liguria: “Pazienti, famiglie e servizi”; “Nuovi servizi per nuovi bisogni”; “Occupazione e vita attiva”; “Con e dopo di noi: le frontiere della Residenzialità”; “Oltre lo stigma: la città per la salute mentale”. Personalmente ho preso parte al terzo, nel quale Monica Arcellaschi ha avuto la capacità di cogliere e valorizzare le tante idee e gli spunti emersi da un gruppo come in tutta la giornata molto eterogeneo. Non mi è possibile ovviamente entrare nei dettagli degli altri, ma Maria Grazia, una coordinatrice infermieristica approdata da poco alla salute mentale, la sera mi ha confidato come più di tutto le avesse fatto piacere ascoltare in quel contesto l’esperienza e talvolta il dramma dei familiari così come si parla normalmente tra persone, senza il bancone dell’accoglienza o il tavolo dello studio a separare e a sancire ruoli e confini. E credo che non ci sia formazione migliore di questa, per noi operatori. 
Al termine dei gruppi ci si è ritrovati in uno spazio riconquistato, una vera sorpresa per me, le ex cucine dell’ospedale psichiatrico che, con l’organizzazione ad anfiteatro del loro spazio, hanno rappresentato la location ideale per questo evento, e altri possibili futuri. Il merito di questa “riconquista” va ascritto senz’altro al “Coordinamento per Quarto” che per essa si è battuto con ostinazione e alla sua capacità di mobilitare idee e passioni per un’istanza collettiva, in anni nei quali senz’altro non è facile. A testimonianza del fatto che, infondo, non si devono temere la contrapposizione e la dialettica perché, il più delle volte, è soprattutto dalla dialettica che nascono buone sintesi capaci di fare avanzare. E anche i nostri servizi avrebbero forse bisogno di maggiore esercizio del pensiero critico al loro interno. 
Confesserò una fantasia che mi è venuta mentre entravo nella sala. Quella che se il prof. Slavich, direttore di Quarto tra i primi anni ’80 e la metà degli anni ’90, si fosse aggirato  ancora a passeggiare per quei porticati, com’era d’abitudine, e avesse sbirciato quello che stava accadendo nelle cucine, sarebbe stato contento di questa pluralità di soggetti con qualifiche e appartenenze disparate riunite nello stile assembleare che prediligeva, un po’ anni ’70, a discutere di salute mentale. Forse sarebbe stato perplesso per il parterre, devo pur dirlo per onestà, ma nel complesso credo che la scena gli sarebbe piaciuta. C’era vita, ieri a Quarto, e nei pentoloni di quella cucina qualcosa di concreto e di diverso dalla brodaglia del manicomio sembrava che cominciasse forse a bollire: vedremo come sarà poi il pasto.
Hanno aperto i portavoce dei 5 gruppi di discussione. Di nuovo, non posso fermarmi su tutto ma voglio raccogliere in particolare – forse anche perché poi ieri sera ho preso parte a una cena di pensionamento, cosa che di questi tempi mi capita spesso – la preoccupazione espressa dagli operatori per gli organici, in particolare dei servizi sul territorio. Così risicati come sono oggi, dopo il moderato ma costante stillicidio di questi anni di taglio del welfare, da non poter sostenere a lungo incertezza e tempi di latenza per l’avvicendamento di coloro che vanno in pensione senza che il servizio all’utenza ne risenta  (ed è un problema che, vista l’età media degli operatori dei servizi, si presenta con frequenza e colpisce in certi periodi in modo duro). L’équipe psichiatrica è uno strumento di lavoro che negli anni ha dimostrato la propria efficacia, e necessita di essere armonizzata con un’adeguata presenza di tutte le sue componenti.
Ad ascoltare, e poi a commentare in una tavola rotonda coordinata da Amedeo Gagliardi – ostinato animatore del “Coordinamento per Quarto” – c’erano le istituzioni. Con l’assessore regionale alla sanità, Sonia Viale (e, nel pubblico, ho notato anche un autorevole rappresentante dell’opposizione, Pippo Rossetti); quella comunale alle politiche socio-sanitarie, Francesca Fassio, che è rimasta con noi per l’intera giornata; e il direttore generale di ASL 3, Luigi Bottaro. Tutti presenti e attenti soprattutto ad ascoltare e prender nota, e questo credo che meriti di essere apprezzato; l’atteggiamento è sembrato da parte di tutti e tre di interesse e apertura.
La storia della nuova psichiatria italiana era incarnata da Bruno Orsini che, se da un lato non ha rinunciato da psichiatra a insistere sulla natura di disciplina medica della psichiatria, implicitamente in polemica con chi la vede soprattutto come pratica sociale (e, infondo, è proprio dalla “strana” alleanza  tra questi due orientamenti che nacque la legge 180), da politico più che navigato ha commosso col raccomandare, con tono paterno e una certa trepidazione nella voce mi è parso, alle due giovani colleghe, esponenti di giovani forze politiche, questo nostro sistema di salute mentale ricco di punti di forza e contraddizioni, ma in ogni caso da maneggiare con molta cautela.
Ancora, tra gli interventi quello del Sindacato e della giovane presidente della sezione ligure della Società Italiana di Psichiatria Elisa Zanelli, che ha colto l’occasione per invitare a un incontro tra psichiatri e giornalisti – due categorie destinate spesso a confliggere o, in alternativa, a dare luogo a collusioni infelici – che si terrà i prossimi 19 e 20 ottobre all’Ordine dei Medici di Genova.
Tutto bene, allora? Potevamo lasciarci tutti felici e contenti? Beh, questa giornata importante, alla quale abbiamo tutti, operatori, associazioni, istituzioni la responsabilità non facile di dare un seguito,  avrebbe rischiato di concludersi con qualche rimozione, e la psicoanalisi ci insegna che lasciarsi dietro aree rimosse non fa bene, né agli individui né ai sistemi. E allora ci ha pensato Peppe Dell’Acqua, successore di Rotelli alla guida della psichiatria triestina e oggi responsabile dell’interessantissima collana editoriale “180”, ad assumersi il compito non facile in quel contesto di introdurre il perturbante evocando con un intervento colmo di pathos due questioni certo pesanti, forse a rischio di suonare in quel particolare momento intempestive, ma imprescindibili. La prima, quella della relazione tra emergenza e diritti nel momento difficile dell’acuzie, e in particolare della garanzia dei diritti anche nello spazio dell’SPDC e del ricorso alla contenzione fisica. Di contenzione si sta parlando troppo poco, io credo, in Liguria dopo le due giornate organizzate dalla SIP nel 2004, che avevano imposto il tema all’attenzione. E siccome il silenzio è il terreno di coltura ideale perché la contenzione scivoli insensibilmente da problema a routine, io credo che il fatto che se ne parli poco sia da evitare senz’altro. La seconda questione, la necessità di por mano a una rimodulazione della residenzialità che presenta oggi un tasso tra i più alti in Italia e si è sviluppata negli anni scorsi in Liguria nel disordine, in assenza di una pianificazione. Il che ha determinato numerosi e vistosi sbilanciamenti: troppi investimenti sul "posto letto", residenziale ma anche ospedaliero, e troppo pochi sulla componente territoriale, cioè gli interventi domiciliari, riabilitativi e quelli più spostati verso il sociale; troppa residenzialità intensiva e troppo poche opportunità di un abitare sostenuto (attraverso le comunità alloggio, ma anche il “sostegno all’abitare” o il “budget di salute”) nei luoghi della vita reale, meno impegnativo sul versante dei costi e più utile a promuovere l’autonomia della persona; lo sviluppo in questi anni di una residenzialità estensiva nella quale si rischiano di dimenticare i protagonisti di percorsi riabilitativi ai quali si è rinunciato, che non dobbiamo dimenticarci di problematizzare; uno squilibrio anche vistoso nel tasso di ricorso alla residenzialità da parte delle diverse unità operative territoriali, legato almeno in parte a stili diversi di lavoro. A proposito di questa seconda questione, è comunque da registrare la disponibilità manifestata in precedenza dal collega Miguel Solari a nome degli enti gestori; ma certo la strada non è in discesa, come del resto per ogni percorso di riqualificazione e potrebbe non mancare chi, per timore di perdere qualcosa, si metta di traverso.
La salute mentale è un tema, insomma, complesso che ha sempre bisogno di uno sguardo a tutto tondo. E’ necessario guardare con uno sforzo maggiore in avanti, alla proiezione sul territorio, al coinvolgimento di tutti gli attori sociali, un terreno impervio sul quale occorre essere maggiormente incisivi;  ma senza dimenticare, indietro, anche i temi delicatissimi del rispetto dei diritti nelle situazioni acute, che non è solo un problema tecnico perché è la principale cartina di tornasole della qualità dell’assistenza erogata. E’ giusto pensare a quello che dobbiamo fare di nuovo; ma non si può dimenticare quello che è stato fatto prima, che in parte merita di essere valorizzato e in parte deve anche essere corretto.
Dell’apertura e dell’attenzione delle istituzioni, nella giornata di ieri, ho già detto; e credo, senza piaggeria, che meriti senz’altro apprezzamento e un’apertura di credito. Non è mai una cosa scontata. Nel salutarmi alla fine della giornata, poi, Franco Rotelli mi ha confidato di essere contento soprattutto per la voglia di partecipazione di tanti disparati soggetti; e anche questo è, nel bilancio della giornata,  un segno di vitalità che fa senz’altro ben sperare.
Credo che, perciò, tutti noi che eravamo presenti – e anche coloro ai quali non avendo potuto essere presenti offro questo modesto resoconto certo consapevolmente insufficiente e incompleto, certamente soggettivo –  abbiamo da lunedì la responsabilità di lavorare per fare sì che l’opportunità che (forse) si è aperta con questa iniziativa, della quale va senz’altro dato merito agli organizzatori, non vada sprecata.        
 
 
 

[i] A proposito del pensiero e il lavoro di Franco Rotelli ricordo in questa rubrica: Inventare l’istituzione. Il “caso Trieste” nell’evoluzione della psichiatria italiana della 180 (clicca qui per il link).
[ii] Sui temi del rapporto tra lavoro e salute mentale, cfr. in questa rubrica: 1 maggio. 5 tesi impertinenti su lavoro, psichiatria, persona (clicca qui per il link).
[iii] Sull’esperienza dei soci della Prato onlus ricordo il volume recentemente pubblicato: Dichiarati matti si raccontano. La follia parlata finalmente scritta, Genova, Erga, 2015 (per la presentazione al volume di C. Conforto clicca qui per il link, per quella di R. Antonello qui).

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