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L’inconscio all’ASL?

19 Gen 16

A cura di Alex Pagliardini

In un'analisi tutto è da raccogliere – dove si vede che l'analista non può tirarsi indietro –, da raccogliere come se nulla mai fosse stato stabilito. Questo non vuol dire nient'altro se non che la falla della botte è sempre da riaprire1.

La presenza di psicoanalisti all'interno del Servizio Sanitario Nazionale – nelle sue varie diramazioni, dal CIM ai consultori, dalle comunità terapeutiche ai centri diurni ecc… è un dato di fatto. Si tratta certamente di una presenza minoritaria rispetto ad altre figure “psi”, ma si tratta pur sempre di una presenza consolidata – e forse neanche tanto in calo negli ultimissimi anni. Non basta che ci siano degli psicoanalisti nelle Asl a garantire che ci sia psicoanalisi nelle Asl, questo è ovvio. Allo stesso tempo è necessario che ci siano degli psicoanalisti affinché possa esserci della psicoanalisi – che c'è ne sia almeno uno di psicoanalista.

Che cosa vuol dire “che ci sia psicoanalisi” nell'Asl? Vuol dire molte cose, ma in questo intervento, vorrei mettere l'accento su un punto. Vuol dire che chi si rivolge all'Asl, facciamo l'esempio di un adolescente che si reca in uno dei numerosi Consultori dispiegati nel territorio, possa incontrare uno psicoanalista, il che vuol dire non incontrare un “supposto psicoanalista” ma fare l'esperienza dell'inconscio attraverso uno psicoanalista – che tale sarà solo se questa esperienza avviene. In che cosa consiste questa esperienza dell'inconscio? Anche qui molte, moltissime, risposte possibili. Ne scelgo tre.
La prima. Fare l'esperienza dell'inconscio vuol dire constatare che la parola, opportunamente maneggiata, tocca il reale della vita e non la comunicazione, incide il corpo invece di nutrire la chiacchiera del senso.
La seconda. Fare l'esperienza dell'inconscio significa sperimentare che c'è una causa al fondo della propria sofferenza, causa che non sta che negli infimi dettagli della vita di ognuno. 
La terza. Fare l'esperienza dell'inconscio significa “toccare con mano” che qualcosa – anche nelle forme di disagio più gravi e nelle situazioni più difficili – si soddisfa sempre in noi.

Due domande mi sembrano a questo punto necessarie. E' possibile che l'esperienza dell'inconscio, così intesa, se consiste in questo, possa prodursi all'interno di una Asl? Inoltre, è auspicabile che ciò avvenga? Sono due domande molto delicate, non è qui possibile rispondervi in modo esaustivo – i prossimi interventi e le testimonianze anche di colleghi ci permetteranno di articolare delle risposte, spero, esaurienti. 
Al momento sono due i punti che mi interessa toccare. Affinché ci sia psicoanalisi, dunque esperienza dell'inconscio, è necessario che lo psicoanalista non domandi al paziente di curarsi, né tanto meno di guarire – si tratta di una condizione fondamentale, necessaria ma ovviamente non sufficiente affinché ci sia psicoanalisi. Contrariamente il dispositivo dell'Asl funziona proprio su quest'asse, ossia domanda strutturalmente a ogni paziente che riceve di curarsi e di guarire, e questo affinché il sistema Asl possa continuare. Va detto chiaramente, non sto facendo una critica, non me la sto prendendo con questo funzionamento, sto al contrario affermando che un'istituzione come l'Asl non può che funzionare che così – non ci devono ingannare quelle forme di cinismo riscontrabili in alcuni dipendenti del Servizio, sono l'effetto di questo funzionamento, lo stesso vale per il furor curandi di altri.
Se l'Asl si muove su questo asse, cioè domandare ai pazienti di lasciarsi curare, lo psicoanalista impegnato all'interno dell'Asl non può non aver a che fare con quest'asse che, come detto, contraddice radicalmente uno dei fondamenti della logica della sua funzione e della sua posizione – funzione che è quella appunto di permettere che ci sia esperienza dell'inconscio. Il fatto che lo psicoanalista all'interno dell'Asl non possa non avere a che fare con questo asse è una delle difficoltà aggiuntive, una di quelle “difficoltà minime” che risultano sovente insuperabili. Lo psicoanalista è chiamato a togliersi da questo asse, a sapersene separare, ma al contempo, è chiamato a non isolarsi, emarginarsi rispetto all'asse portante del sistema in cui opera – cosa che lo metterebbe in una posizione di eccezione, e dunque a essere in breve tempo, e giustamente, escluso ed esautorato. Questo anche perché – e veniamo così al secondo punto che mi interessa affrontare – all'interno dell'Asl è fondamentale il lavoro di rete. Sia chiaro, non c'è la benché minima onnipotenza della psicoanalisi. Molti, moltissimi dei casi che giungono in un'Asl necessitano di un lavoro di rete, di una “presa in carico”, come si è soliti dire, plurale e riguardante diverse figure professionali nonché i diversi passaggi all'interno dell'istituzione. Questa è una grande risorsa, anche per lo psicoanalista, ma è al contempo un grande problema affinché ci sia psicoanalisi. Un piccolo esempio. Se ci si occupa di disturbi alimentari in adolescenza, è necessario che ogni caso, o quasi, sia seguito da un nutrizionista, da un endocrinologo, da uno psicologo per la somministrazione dei test, per dei laboratori all'interno di un centro diurno ecc….
In tutti questi passaggi il paziente farà l'esperienza del rifiuto dell'inconscio. Sia chiaro ciò non è dovuto alle competenza o alla sensibilità delle singole figure professionali – non è qui in questione questo, tanto più che spesso le competenze e la sensibilità di queste figure sono di alto livello. Qui è in questione quel che strutturalmente il singolo paziente incontra in questi passaggi: domanda di curarsi, iniezioni di senso, classificazioni, dunque “rifiuto dell'inconscio”. Ripeto, non sto qui criticando le varie figure professionali che operano nell'Asl, sto sottolineando un problema strutturale per lo psicoanalista, quello di avere a che fare con il necessario lavoro di rete. Lavoro di rete che va in direzione contraria, non può non farlo, rispetto alla produzione dell'inconscio che è invece l'asse – l'unico – sul quale si muove lo psicoanalista. Per questo lo psicoanalista nell'Asl deve saper stare nella rete e al contempo sapersene separare, ma senza uscirne e senza farne un alibi per la propria impotenza – del resto, come è abbastanza noto, lo psicoanalista deve avere una certa confidenza con L'altalena di Pulcinella di Giandomenico Tiepolo.

La questione del lavoro in rete è delicata e avremo senz'altro modo di tornarci nei prossimi incontri. Più volte, parlo qui anche della mia esperienza personale, quando si riscontrano difficoltà in questo modo di lavorare si fa riferimento all'importanza del dialogo. Mi pare molto ingenuo, soprattutto nel nostro tempo, ipotizzare che dialogare possa servire a qualche cosa. Diverso sarebbe ipotizzare dei gruppi di lavoro o di studio, a cadenza regolare e piuttosto frequente, che coinvolgano le diverse figure professionali della rete – ma questo non accade, e forse non può accadere, per altri limiti e altre ragioni.

Resta il fatto che lo psicoanalista deve essere “avvertito” rispetto a queste due difficoltà aggiuntive – ovviamente ce ne sono altre – e capire, da ultimo, che queste lo pongono di fronte a un limite invalicabile – e da non valicare. Quando nel suo operare con un paziente si produce, nella sua forma embrionale, l'esperienza dell'inconscio, quando l'inconscio si apre, quando riesce ad accadere questo – cosa evidentemente non facile –, ebbene da quel momento l'Asl non è più il posto dove operare, dove continuare la cura. Se si produce apertura dell'inconscio, da questo momento in poi l'inconscio inizierà a spingere, a farsi con la sua urgenza, e allora i vincoli dell'Asl diventano non solo un limite, un laccio, ma anche un perno attraverso il quale l'inconscio troverà il modo di richiudersi.

Pertanto, tornando alle domande iniziali. Nell'Asl è possibile che ci sia psicoanalisi, che ci sia esperienza dell'inconscio, ma, ed ecco l'auspicabile di cui ci chiedevamo, solo nella sua forma embrionale. Prodottasi questa occorre fermarsi, occorre saperlo fare e saperlo fare bene – si tratta evidentemente di un passaggio molto delicato. Se lo psicoanalista non è in grado di fermare la cura in questo punto, se continuerà a operare nell'Asl anche dopo che l'inconscio si è aperto, quello che non può non accadere è la chiusura di quel che si era poco prima aperto.

A questo punto diventa fondamentale il legame tra l'Asl e le varie associazioni presenti nel territorio che praticano la psicoanalisi. Queste sono i luoghi dove è possibile continuare, rilanciare, l'apertura dell'inconscio prodottasi all'interno dell'Asl – e si aprono così un’altra fase, altre questioni, detto altrimenti il problema di un'ulteriore rete.

1J. Lacan, Introduzione all'edizione tedesca degli Scritti, in Altri Scritti, Einaudi, 2013, Torino, p. 548.

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10 Commenti

  1. galzigna

    Caro Alex, il tuo articolo è
    Caro Alex, il tuo articolo è ineccepibile. Favorire, anche nelle ASL, l’emergere di una “esperienza dell’inconscio” credo sia un còmpito ineludibile. Per portarlo avanti occorre, come tu dici bene, un lavoro di rete. Personalmente, in qualitá di consulente epistemologico – in alcuni servizi di salute mentale – mi sono più volte trovato nella condizione di dover agevolare tale còmpito, anche attraverso un lavoro/percorso di formazione portato avanti con operatori della salute mentale, magari (come è accaduto il più delle volte) estranei o insensibili all’approccio psicodinamico. A questo fine occorre costruire, dentro i DSM, spazi adeguati all’emergere di una figura/funzione di TERZIETA’, che non può coincidere né con l’operatore psicodinamico né con l’operatore di diversa cultura e formazione. Nelle mie personali esperienze – nelle quali ho cercato di rendere clinicamente attiva questa funzione di terzietá – ho constatato la forte (spesso ideologica) RESISTENZA di molti operatori all’emergere, dentro i servizi, di qualsivoglia approccio a quella che tu giustamente chiami l’esperienza dell’inconscio. Mi piacerebbe avere con te uno scambio di opinioni su questa problematica, che mi ha spesso impegnato in questi ultimi anni: anche per evitare, all’interno di questi miei nuovi percorsi di “epistemologia clinica”, ingenuitá ed errori.

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  2. galzigna

    Spero che altri operatori
    Spero che altri operatori possano intervenire, sia qui che in FB, dove é stato postato l’intervento di Alex Pagliardini.

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  3. gerfavaretto

    mah … non so . Parto dal
    mah … non so . Parto dal presupposto che di psicoanalisti nelle strutture pubbliche ne ho visti davvero pochi.
    Puo’ essere che adesso che hanno cosi’ tanti problemi a reclutare pazienti che permettano loro di rispettare le varie ortodossie associative ce ne sia qualcuno ( magari in incognito). Rimango un po’ colpito da alcune affermazioni di fondo .. tipo che il paziente non deve aspettarsi la cura ma posso capire che dentro una cultura introversa e autoreferenziale come la comunità degli psicoanalisti tutto cio’ possa avere allusioni ad un senso.
    credo che forse la riflessione potrebbe spostarsi , con grande umiltà , su quello che la psicoanalsi o meglio la cultura psicoanalitica e gli psiconalisti che hanno ” formato” generazioni di operatori hanno costrutito ( o non costruito ) nella rete dei servizi psichiatrici. In che cosa hanno fatto ” sperimentare l’inconscio ” a questi operatori. Mi ripeto , e mi scuso di farlo ma non ho visto psiconalisti stare nella rete. Ne ho visto molti togliersene fuori o avocvare a sè una unicità che onestamente è diffcile capire da che cosa venga loro legittimata. Non basta fare quattro citazioni ( non mi riferisco a chi ha scritto questo pezzo che mi pare molto onesto, ma dico in generale) per contribuire davvero al lovoro che si fa nei servizi.
    Nei lontani anni 60 Racamier e molti altri avevano tentato riflessioni coraggiose… ( ricordate lo psiconalista senza divano ? ) allora erano importanti e innovative. Allora.

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    • admin

      io mi domando anche qunati
      io mi domando anche qunati tra gli operatori della psichiatria oggi abbiano alle spalle non dico una seria formazione psicoanalitica ma una analisi personale. Ai tempi della mia formazione in quel di Genova l’analisi personale era un “must” abbastanza diffuso tra i giovani in formazione ora credo e lo vedo coi miei specializzandi la cosa è davvero meno sentita e credo varrebbe la pena porci la domanda sul perchè visto che le derive riduzionistiche han fatto il loro tempo e non vi è convegno in cui non si parli di terapia integrata.
      Tradotto: l’incoscio nell’ASL c’è indipendetemente dalla “volontà” di tenerlo fuori ma occorre la capacità di osservarlo e coglierlo come elemento fondante del nostro lavoro ma per farlo ci vorrebbe una “presenza psicoanalitica” non solo culturale ma vissuta nella propria carne. Ciò al netto della possibilità di attivare percorsi di cura psicoterapici all’interno delle strutture pubbliche.

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  4. galzigna

    Pochi gli psicoanalisti nei
    Pochi gli psicoanalisti nei Servizi: ha detto bene Geratdo Favaretto. Non pochi,invece, nei Servizi, gli operatori con cultura (se non con formazione) psicoanalitica che io ho incontrato. Ma lo ridico, ripetendomi: per sviluppare adeguatamente le suggestioni di Pagliardini, occorre pensare ad una funzione e di terzietá, oggi inesistente. Penso che la psichiatria clinica, DA SOLA, sia insufficiente a “produrla”.

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    • gerfavaretto

      caro mario non credo sia solo
      caro mario non credo sia solo un problema di quantità. La posizione di terzietà si attribuisci a chi sa costruire percorsi basati sulla assunzione di consapevolezza. A patto di convergere sulla definizione di cosa sia la ” cultura” psiconalitica e in che modo si sia fatta presente nei servizi , è certo che quello che manca è una analisi consapevole di quali siano stati e siano gli effetti che tali conoscenze hanno avuto sulla pratica , sul vissuto e sulla identità degli operatori. Non trovo riflessioni di questa portata , non trovo riflessioni che abbiano elaborato la profonda insufficienza della esperienza della psiconalisi nel nostro paese . Pensa alle grandi opportunità che gli anni 80 e in parte 90 hanno offerto. A parte le analisi personali di molti operatori , a parte qualche concetto ripetuto e una certa schiea di supervisori ( che spesso mai avevano avuto a che fare davvero con un paziene grave) che cosa è venuto dalmondo della psicoaalisi. Molta letteratura certo.. ma come è stata utilizzata tutta questa scrittura? Certo che la psichiatria clinica non puo’ fare da sola. La psichiatria oggi , come scrivo nella mia rubrica , è profondamente affossata dalle proprie diffcioltà e allaicerca di una sua rilettura critica. Ma su questo che funzione e supporto sta dando la cultura psicoanalitica? Sono propenso a credere che serva molto di più , nello stesso ruolo di terzietà di cui parli,utilizzare una riflessione critica e consapevole sui fondamenti e la contestualità storica e sociale . Servo molto di più confrontarsi con il contesto e i diversi soggetti che lo animano.
      Pi resta da discutere cosa sia l’utilità,quale il fine. Con chi ritene che la cura non sia prioritaria , davvero mi viene difficile ragionare. Che continui a sperimentare l’inconscio.

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      • alex.pagliardini

        Vi ringrazio per le questioni
        Vi ringrazio per le questioni sollevate e provo a rilanciare con qualche breve spunto.
        Il mio, per altro breve, intervento non vuole e non può sviluppare la domanda che pone nella sua “interezza” – la rubrica credo e spero ci riuscirà, con il tempo!
        Allo stesso tempo penso che se si vuole affrontare una questione, proporne delle linee di sviluppo ecc… è fondamentale porre alcuni presupposti nel modo più preciso possibile. L’Asl è un sistema che funziona secondo una certa logica, la psicoanalisi è una pratica che a sua volta funziona secondo una certa logica. Partire da un’analisi logica dei due funzionamenti mi sembra un presupposto fondamentale – cosa evidentemente non facile. Quello che ho scritto va, in modo molto ma molto parziale, in questa direzione.
        Per questo non metterei tra i presupposti le faccende – spesso penose – delle varie associazioni di psicoanalisi, o le lotte tra gli psicoanalisti, i sistemico familiari, i cognitivisti ecc…. Non metterei nemmeno un’indagine sulle competenze dei singoli analisti – questo è semmai un problema serio relativo alla formazione degli analisti.
        Ancor meno metterei tra i presupposti l’esperienza di Racamier. Ci tengo a sottolineare quest’ultimo aspetto sempre per evidenziare una faccenda strutturale. Portare la psicoanalisi “fuori” è possibile e auspicabile – per quanto, ripeto, non darei per assodati questi due aspetti – ma non al prezzo di perdere la psicoanalisi per strada. Non c’è ragione di portare fuori la psicoanalisi se nel farlo la si trasforma in qualcosa che non ha niente a che fare, come logica, come etica, come prassi, con la psicoanalisi.
        Terrei infine ben presente un’indicazione di Lacan, in relazione a quel che si è detto sulle resistenze. Anche qui non mi soffermerei sui vari colleghi e figure professionali dell’Asl che fanno resistenza alla psicoanalisi – e lo fanno in fondo perché ne hanno orrore. Metterei l’accento sul fatto che l’Asl, per come funziona, è una resistenza alla psicoanalisi. Allo stesso tempo, e veniamo così all’indicazione, non dimenticherei mai quel che Lacan spesso ricorda ai suoi allievi: l’ostacolo maggiore, la resistenza più insidiosa, alla psicoanalisi è, in primis e da ultimo, lo psicoanalista – sono gli psicoanalisti i primi ad ostacolare la psicoanalisi, a far resistenza alla pratica psicoanalitica.

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  5. galzigna

    Grazie Alex per la tua
    Grazie Alex per la tua esauriente risposta. Per allargare il numero dei tuoi lettori/commentatori, ti consiglio di iscriverti a FB (e all’ORDINE DEL DISCORSO): il mio commento l’ho linkato a Facebook (su ORDINE DEL DISCORSO). Potresti fare, in avvenire, la stessa cosa: per allargare, come dicevo, il numero dei tuoi lettori, ma anche per portare qualche iscritto all’ORDINE DEL DISCORSO (sempre che ne abbia i requisiti) ad iscriversi alla nostra rivista.

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  6. galzigna

    In concreto: su FB sono
    In concreto: su FB sono intervenuti attorno al tuo articolo SCIACCHITANO, BARBETTA, TRANGONI e LANZARO. A parte quest’ultimo, che collabora a POL.it, gli altri tre, pur essendo “psy” (avrebbero quindi i requisiti per iscriversi alla rivista), non ci leggono. Ed è un peccato. Bye.

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    • admin

      leggere POL.it lo si può fare
      leggere POL.it lo si può fare senza bisogno di iscrizione ovviamente basta venire sul sito
      Non vedo dove stia il problema e non vedo ragioni per non iscriversi alla rivista appunto anche per commentare vista la Policy adottata e non modificabile ( per altro la quasi totalità di siti professionali e POL.it è un sito professionale richiedono l’iscrizione

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