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L’infinito e il limitato, il precario e l’eterno: l’ Hymne di Baudelaire

30 Mag 19

A cura di Sabino Nanni

Anche fra gli “addetti ai lavori” prevale l’opinione che la salute non sia soltanto assenza di malattia, ma che comporti un grado accettabile di soddisfazione delle esigenze più importanti, soprattutto di quelle che ci caratterizzano come esseri umani. Se siamo interiormente vivi, non riusciamo ad essere pienamente appagati dalle esperienze di tutti i giorni (per quanto favorevoli esse possano essere): benché quasi sempre insoddisfatta, permane in noi l’aspirazione al sublime: all’eterno, all’infinito, al perfetto. Come conciliarla con quel che di limitato ed effimero percepiamo con gli organi di senso? Come trasformare in poesia un’esperienza d’amore che, di solito, non interessa a nessuno, se non a noi stessi? Baudelaire, in “Hymne”, ce ne offre un esempio:

 
A la très-chère, à la très belle
Qui remplit mon cœur de clarté,
A l’ange, à l’idole immortelle,
Salut en l’immortalité !
(Alla più cara, alla più bella, / che inonda di luce il mio cuore, / all’angelo, all’idolo immortale/ salute in eterno!)
 
Elle se répand dans ma vie
Comme un air imprégné de sel,
Et dans mon âme inassouvie
Verse le goût de l’éternel.
(Ella si espande nella mia vita / come un’aria impregnata di sale, / e, nella mia anima inappagata / versa il gusto dell’eterno)
 
Sachet toujours frais qui parfume
L’atmosphère d’un cher réduit,
Encensoir oublié qui fume
En secret à travers la nuit,
(Sacchetto sempre fresco che profuma / l’atmosfera di un caro cantuccio, / incensiere dimenticato che fuma / segretamente nella notte.)
 
Comment, amour incorruptible,
T’exprimer avec vérité ?
Grain de musc qui gis invisible,
Au fond de mon éternité !
(Come, amore incorruttibile, / esprimerti con verità? / granello di muschio che giace invisibile / nel fondo della mia eternità!)
 
A la très-bonne, à la très belle,
Qui fait ma joie et ma santé,
A l’ange, à l’idole immortelle
Salut en l’immortalité !
(Alla tanto cara, alla tanto bella, / che mi dà gioia e salute, / all’angelo, all’idolo immortale/ salute per l’immortalità!)
  

L’esperienza affettiva del sublime, capace di soddisfare pienamente (“saziare”) l’anima, implica, come dicevo più sopra, sentimenti di eternità, d’infinito, di perfezione. Essa viene vissuta soltanto all’origine della vita, quando la nostra esistenza non era ancora  costretta nello spazio e nel tempo, ossia quando non eravamo ancora divenuti del tutto gli individui limitati e imperfetti che siamo. Tale “sentimento oceanico” viene evocato in seguito con la fantasia in rapporto all’esperienza di estasi mistica, a quella della bellezza di un’opera d’arte, a quella dell’amore. A quest’ultimo proposito, Proust sosteneva che l’esperienza amorosa è feconda (e interessante quando viene descritta ad un osservatore esterno) soltanto nella fase dell’attesa e in quella del rimpianto. Questo avviene perché, in tali momenti, l’immaginazione è libera di espandersi, senza incontrare i limiti e le imperfezioni di un oggetto d’amore presente e reale. Baudelaire, a differenza di Proust, riesce a cogliere il sublime nel presente, nella donna che ama, e che contraccambia lo stesso sentimento. Lo fa attraverso la sua capacità di avvertire, in quel che percepiscono gli organi di senso, l’espressione esteriore dell’infinito, dell’eterno, dell’incorruttibile. L’immagine dell’amata offre ai suoi occhi una “luminosità che riempie il cuore”; l’aria che respira in compagnia di lei è “impregnata di sale” (evoca l’immensità del mare); il sapore dei suoi baci produce una sensazione di piena e permanente sazietà (il “gusto dell’eterno”) quale nessun cibo può procurare. Spirituale e corporeo, qui, si fondono completamente; lo stesso avviene fra ciò che è limitato (il “cantuccio” in cui gli amanti s’incontrano) e ciò che è infinito (il profumo inesauribile dell’atmosfera); e fra ciò che è immediatamente percepibile e ciò che, pur rimanendo inavvertibile e segreto (l’incensiere dimenticato, il granello di muschio invisibile), rende l’esperienza unica e “vera”. La donna, dotata della bontà e della bellezza che possono appartenere ai comuni mortali, diviene l’immagine percepibile di un “angelo”, di un “idolo” imperituro.
Il “sentimento oceanico”, quando sganciato dalla realtà esterna, porta al delirio e alla follia. Tuttavia, quando trova in ciò che è percepibile con gli organi di senso i suoi simboli e le sue metafore, questo stesso sentimento diviene poesia; e conferisce alla nostra esistenza il carattere di una vita propriamente umana, rende la nostra esistenza autentica e vivibile.

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