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L’integrazione teoretica in psicoterapia

12 Dic 14

A cura di Miriam Columbro

La prospettiva dell’integrazione teoretica ha lo scopo più ambizioso e difficile da raggiungere rispetto alle altre modalità di integrazione; essa si prefigge di individuare i principi superiori attraverso i quali combinare differenti teorie per produrre una formulazione concettuale di livello sovraordinato che faccia emergere una cornice teorica che è più della semplice somma delle sue parti.

In questo approccio, vengono integrati due o più modelli teorici al fine di ottenere un risultato superiore alle singole terapie: l’enfasi viene posta sull’integrazione teoretica, mentre le tecniche sono subordinate alla sintesi teorica. “Per fare una metafora culinaria mentre gli eclettici combinano più piatti per fare il menù di un pranzo, gli integrativi teoretici creano nuovi piatti miscelando gli ingredienti” (Norcross & Napolitano, 1986, p. 253).

I primi studi sull’integrazione teoretica in psicoterapia possono essere ritenuti quelli di Dollard e Miller (1950), che cercarono di integrare la teoria psicodinamica e quella comportamentista, restando però un caso isolato fino agli anni Settanta del secolo scorso. Seguirono, l'integrazione di Wachtel (1977) delle teorie psicoanalitiche e comportamentali all'interno di una cornice psicodinamica interpersonale e la terapia  cognitivo-analitica di Ryle (1990).

All’interno di questa prospettiva un’altra classificazione è quella proposta da Feixas e Botella (2004) che distinguono due tipi di integrazione teoretica: l’integrazione teoretica ibrida prevede la combinazione di due teorie e prassi terapeutiche, scelte in base alla possibile complementarietà, come quelle su citate (Wachtel, 1977; Ryle 1990) e altre quali: la terapia per il disturbo borderline di personalità che mette insieme l’approccio cognitivo di Beck e quello psicodinamico di Kernberg; la terapia di coppia cognitivo-sistemica di Teichman et al. (1998) e l’integrazione tra cognitivismo e psicoanalisi (Zapparoli & Gislon, 1999); l’integrazione teoretica estesa prevede l’integrazione di più di due teorie e si distingue anche perché definisce e considera aspetti differenti del funzionamento umano (cognitivo, emozionale, comportamentale, interpersonale) cercando di costruire una prospettiva epistemica complessa che prevede:

1. un approccio fenomenologico e dialogico – la relazione terapeuta-cliente si propone in una prospettiva centrata sul “qui-e-ora”, derivata dalle terapie umanistiche (Perls, 1973; Kepner, 1993). L’enfasi viene posta sugli aspetti imprescindibili di una relazione terapeutica: comprensione, rispetto, empatia, attenzione ai vissuti e ai significati del cliente, sostegno. Allo stesso tempo, è necessaria una dialettica che prenda in considerazione sia gli aspetti processuali sia gli aspetti strutturali (struttura di personalità). Il paziente e il terapeuta si incontrano come due esseri umani con medesimo valore e pari dignità, consapevoli della differenza di ruolo. Il contatto non è solo con l’altro, ma allo stesso tempo è contatto con sé: il terapeuta si pone come esperto di sé, più che esperto dell’altro. Il dialogo terapeutico presuppone conferma, presenza del terapeuta, impegno al dialogo, tendenza a fornire consapevolezza più che istruzioni o direttive.

2. una teoria del cambiamento – essa parte dalla concettualizzazione della genesi del disagio del cliente. La psicopatologia si viene a configurare in una prospettiva relazionale (Greenberg et al., 1998), ispirandosi alla teoria delle relazioni oggettuali (Mitchell, 1988), alla teoria dell’attaccamento (Bowlby, 1988) e alle rappresentazioni interne delle relazioni interpersonali (Stern, 1985), alla ricerca clinica sullo sviluppo (Fonagy & Target, 2003; Stern, 1985), ad una visione costruttivista e multifattoriale dell’eziologia del disturbo (Greenberg, 2002a), all’epistemologia della complessità: l’uomo è concepito come un sistema complesso in interazione dinamica in cui entrano in gioco una molteplicità di fattori, interni ed esterni.

Ma sebbene l'integrazione di diverse teorie in una struttura sovraordinata possa portare alcuni vantaggi, il patrimonio di conoscenza ed esperienza clinica accumulato nel tempo, all'interno dei differenti sistemi terapeutici, rischia di essere disperso nel processo integrativo. Schwartz (1993) osserva, a tale proposito, che bisogna approcciarsi all’integrazione teoretica come a un “sistema aperto” che consente, sia l'interazione delle componenti esistenti, sia “l'entrata” di nuovi elementi e “l'uscita” di vecchi elementi. Con un’impostazione “a sistema aperto”, l'integrazione si configura non come una sintesi rigida di entità statiche bensì come un processo di cambiamento capace di portare a nuove teorie e prassi nella clinica.

Se d’altra parte ogni nuova concettualizzazione ottenuta non può assumere significato al di fuori del contesto in cui avviene, e dunque anche ai caratteri socio-antropologici, sottoposti all’incessante mutevolezza esistenziale, azzerare l’assunto pluralista che riconosce molteplici percezioni della verità, ciascuna influenzata dal contesto in cui si trova colui che esprime la propria valutazione, diventerebbe una scelta parziale che porterebbe a ridurre la complessità del reale. Non c'è un insieme di regole che ci dica come possa essere raggiunto un accordo razionale o che risolva tutti i conflitti fra i paradigmi e le visioni del mondo (Kuhn, 1970).

Lo stesso Watchel (1991 p. 44), che può essere considerato il maggior rappresentante di questa prospettiva, sostiene che: “un modello integrato è una speranza per il futuro, non una realizzazione attuale. L’eclettismo nella pratica e l’integrazione nelle aspirazioni rappresentano un’accurata descrizione del modo in cui operano i terapeuti che appartengono al movimento integrativo”.

Emerge, dunque, che tracciare i confini tra una prospettiva e l’altra, allo stato attuale, sarebbe un’aporia, poichè è nella logica dialogica del confronto tra somiglianze e differenze che ogni prospettiva attinge dall’altra, producendo una psicoterapia efficiente ed efficace.
 

(L’immagine rappresenta l’opera “Angelus” di Salvador Dalì, 1933, olio su tela)
 

 

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