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Lo Psicologo passacarte

28 Lug 14

A cura di Luigi D'Elia

Questo è un articolo sulla pigrizia e sul conformismo strisciante di molti colleghi che nel loro proporsi professionalmente e mediaticamente diventano cassa di risonanza di banalità.

Definizione
Dicesi psicologo passacarte colui che trasmette irriflessivamente e acriticamente ai propri interlocutori, pazienti, clienti, lettori, astanti, concezioni precostituite e visioni del mondo culturalmente iper-codificate tipiche del periodo storico che si sta vivendo.

Tali concezioni non sono affatto prive di conseguenza in quanto a loro volta veicolano, nelle prassi, in modo semplicistico e riduttivo e allo stesso tempo subliminale, principi, valori e codici di adeguatezza e idoneità, di normalità/patologia, che iscrivono l’interlocutore del presunto esperto in pensieri e comportamenti altrettanto conformistici, per i quali il principio di adattamento a standardizzazioni prevale sempre e comunque a scapito di una autentica ricerca di sé ed esplorazione della singola ed irripetibile situazione.
Parliamo dunque di una sorta di pedagogia speciale implicita, subdola, di derivazione teoretico-psicologica a sua volta informata dalle più diffuse correnti o tendenze culturali prevalenti.

Se pensiamo al passato anche recente, psicologi passacarte erano coloro che sposavano le tesi pedagogiche più lassiste in nome della libera e creativa espressione dei fanciulli; oppure coloro che trasmettevano sensi di colpa inauditi a “madri frigorifero” o genitori inadeguati (molti proseguono tutt’oggi), i cui figli dovevano essere da loro separati per reinfetarli, ripararli,  e per correggere le loro esperienze traumatiche. Ecco, pensate a tutte le inerzie e mode che hanno cavalcato persino illustri accademici e normali colleghi del passato per cominciare a visualizzare il concetto.

Oggi si può essere o diventare psicologi passacarte in tanti modi ed in un batter d’occhio, basta abbassare la guardia e sederci su un montarozzo comodo del nostro giardino. Anzi probabilmente tutti noi per un attimo solo lo siamo già stati in qualche misura e forma o lo siamo sempre e ancora. In fondo è impossibile non esserlo, tutti trasmettiamo valori impliciti nel nostro modo di essere. La differenza tra un passacarte e uno che non lo è consiste nell’essere più o meno consapevoli e nella capacità di sorvegliare quest’area assai critica del nostro operare.

Il diventare passacarte è nutrito dalla scarsa propensione allo studio, alla ricerca, alla curiosità, all’analisi critica, storico-genealogica dei nostri principi, lessici, pensieri, quindi dalla pigrizia intellettuale e dal basso livello di taluni percorsi formativi. Ma può essere anche tipico di alcuni colleghi potenzialmente molto dotati ma portatori di un pensiero ideologizzato e poco contaminato e aperto.

Ma vediamo alcuni esempi odierni (ben sapendo che questo elenco è solo un breve assaggio a mo’ di esempio).

Il neuroentusiasta o scientista incamiciato
Questa variante del neuroentusiasta è piuttosto recente e va ad assimilarsi ad un’altra, appena precedente, dello scientista incamiciato, lo psicologo medicalizzato e tecnicizzato. Deriva direttamente dalla riforma di alcuni cicli formativi che sfornano in quantità industriale psicologi con formazione neurocognitiva, dove, molto al di qua del lodevolissimo sviluppo di tutte le neuroscienze, il modello medico s’è totalmente imposto filosoficamente nelle sue salse meno evolute e attente, vicine alle epistemologie delle scienze positive dell’ottocento-primi-novecento, e dove la rivoluzione modernista imponeva a tutti di pensare che, morto Dio, il progresso della ricerca scientifica risolverà tutti i problemi dell’uomo. Il verbo incarnato diventa quello dello scienziato e del ricercatore.
Il neuroentusiasta parla solo con i propri simili, cita bibliografie con elevatissimo impact factor, ricerche della settimana precedente. Per lui l’evidence based medicine è come i sonetti del Corano per un islamista, nulla di eccedente dalla “prova” empirica e tutto è protocollizzabile e traducibile in tecnica pura. Le tecniche di neuroimmagine non sono altro che l’evoluzione della specie, tutto è visibile dunque tutto e verificabile, dice eccitandosi il neuroentusiasta.
Il neuroentusiasta o scientista incamiciato è quel collega che si fa passacarte di una visione tecnicizzata e materialistica dell’esistenza, che ha acriticamente ingoiato il principio secondo il quale il correlato-substrato biologico di un comportamento, pensiero, emozione, coincide in fondo con la sua determinazione.
Il neuroentusiasta è colui che avendo deciso di abolire la storia (della scienza) dalla sua biblioteca, ha anche deciso di autoridursi le domande sulla vita e di non tenerne presenti il 99% di esse. Peccato che s’illude di voler rispondere a tutti i problemi solo facendosi l’1% delle domande.
 
Il salutista olistico-tascendentale
È una variante del passacarte del tutto opposta alla precedente e assai diffusa nella nostra categoria, in termini di difese psicoanalitiche lo definirei un festival della formazione reattiva, un tripudio di falso sé. Egli è il mago del sincretismo, imbevuto di cultura new age, e ha sbocconcellato qui e lì di orgoni, erbe, decrescite festanti, mercatini del riuso, tecniche del rovistamento nella monnezza, spiritualità e mistiche di varia origine, frequentando per decenni palestre yoga, gruppi di meditazione, casolari dimenticati, ma magari anche psicoanalisti, arte terapeuti, dietisti, nutrizionisti, guru iridologi, omeopati trapezisti.
Egli parla con i pazienti ed il pubblico come un sacerdote parlerebbe con Dio, trasmette sapienzialità millenarie condite variamente di empirismi psicologici ma solo per dimostrare che nulla s’è scoperto di nuovo e che tutto già si conosceva nella notte dei tempi quando i druidi danzavano intorno ai menhir alla luce della luna piena e cuocevano bevande ipnotiche dentro i loro paioli.
Egli trasmette l’idea che la psicologia è la moderna variante dello sciamanesimo e che la realtà fenomenica è pura apparenza. Lo psicologo? Un counselor dell’anima, ma anche un coach della peristalsi intestinale e dell’ejaculazione precoce. Utile rifugio per menti assediate dallo stress e concorrenza al Cynar per combattere il logorio della vita moderna.
 
Il markettaro aspirante stregone
È in genere colui che ha imparato alcuni rudimenti di comunicazione e/o di social media marketing e li applica con variabile inconsapevolezza, ma con leggiadra mostruosità trasformando ogni cosa che tocca nella rubrica “venghino si’ori, la psicologa ti ascolta” tipica della rivista “Donne dal parrucchiere”. Per lui ogni argomento ha un suo risvolto di fruibilità, di digeribilità al limite della pappetta omogeneizzata, è una pillolona per astronauti al sapore di lasagna. Un condensato di saggezza popolare, evidenze scientifiche e banalità disarmanti tutte frullate assieme in un milkshake ributtante e impiattate a dovere in stile rassicurante e suadente. La psicologa è una voce amica che ti accarezza, un distillato di bontà e purezza che ti spiega il mondo con una semplicità da far sentire idioti.

La felicità? Si domanda il markettaro aspirante stregone, ma è semplice, sorridi, mangia sano, realizza i tuoi sogni, fai cose belle, credi in te stesso, ama te stesso (estratto da un reale ricettario in giro per la rete). E un’imprecazione si inerpica a velocità stratosferica tra le labbra dei non ancora del tutto tramortiti.

Il markettaro aspirante stregone trasmette l’idea che la psicologia è parte organica del mainstream culturale consumistico ed è un oggetto da scaffale come tutti gli altri, accessibile, fruibile, usabile, customer oriented. Il guaio è che proprio perché organico a questo, ogni suo dispositivo potenzialmente trasformativo risulta disinnescato o annacquato in partenza. Ma non c’è da aver paura, baby, porgimi la mano che ti accompagno a fare shopping.
 
L’ipostata (detto anche il parrocchiale fanatico)
L’ipostata (da non confondere con l’apostata), è una variante trasversale molto diffusa, è colui che ipostatizza, che secondo la Treccani si intende “astrarre dalla realtà fenomenica concetti, qualità, ecc., rendendoli per sé sussistenti”. In altre parole è colui che ci crede proprio, cioè che crede che davvero le cose che ha studiato siano realtà oggettivabili, materializzate, e non costrutti operativi transitori. Egli pranza con qualche oggetto interno, gioca a dadi con la castrazione simboligena, dialoga col controtransfert come alcuni bambini dialogano col proprio amico immaginario: il coniglio bianco gigante. Ecco, l’ipostata vede di continuo il coniglio bianco gigante, è lì davanti a lui, lo guarda, lo tocca, ci parla proprio, non c’è equivoco, non ha l’auricolare attaccato allo smartphone. È lo stesso che applica l’assessment, il protocollo di desensibilizzazione evidence based o il test come se distribuisse l’ostia consacrata. Lui non pensa che Dio entri simbolicamente nei suoi pazienti, lo vede proprio!! Un paziente non ha una diagnosi, è una diagnosi. Il disturbo di personalità non è una descrizione, altamente imperfetta e mutevole, della visione del mondo disfunzionale del paziente, è un personaggio dei fumetti della Marvel che prende forma e vita davanti a noi.

L’ipostata trasmette quindi una visione del proprio lavoro, dei propri dispositivi, in definitiva della vita stessa come dotata di un senso precostituito in partenza che quindi occorre solo svelare attraverso la conoscenza di certe coordinate apprese (ma non iniziaticamente) nel corso della propria formazione. Una semplificazione mortifera e mortificante alla quale si possono accostare solo menti semplici e ingenue. L’ipostata è di fatto l’esperto impacchettato all inclusive, prendere o lasciare. Ha un ventaglio ristrettissimo di contiguità ed efficacia con la propria utenza
Peccato che l’ipostata non sa nulla della storia delle idee che utilizza, perché se la conoscesse, non ne userebbe neanche una.
 
Il pigro disinformato
Il pigro disinformato è forse la variante di passacarte più trasversale e diffusa. Egli può essere qualunque cosa e in ogni stagione, può assumere cioè la forma di ogni altra variante di passacarte. È il Barbapapà dei passacarte. Egli non ha una visione di insieme del proprio percorso formativo e professionale ma ricorda bene l’ultimo libro letto (qualche anno prima), l’ultimo seminario svolto, l’ultima supervisione svolta e vi prova ad aderirvi adesivamente e a farvi coincidere la propria incerta e incompiuta identità professionale. E dal momento che sembra non possedere una visione propria della scienza, del pensiero, della conoscenza, ne adotta una di volta in volta.

In genere, col tempo, il pigro disinformato quando invecchia si affeziona ad un’unica visione del mondo e la sposa devotamente, ma di una devozione spenta, passiva, priva di passione.
Il pigro disinformato fa fatica ad aprire un libro, a guardare una bibliografia, persino a fare una ricerca su Google (se solo sapesse cosa sia una chiave di ricerca). Non frequenta nemmeno i social network di cui ha altissima diffidenza o si collega due volte l’anno per fare gli auguri di Pasqua e Natale.
Il passacarte del genere pigro disinformato veicola qualunque banalità a seconda dell’ambiente che frequenta. A lui in fondo piace fare salotto ed è questo il suo vero luogo di formazione.

 
Per concludere, alla fine di questo itinerario sul filo dell’ironia, suggerirei a tutti noi di dedicare una riflessione più ampia e fondata su quali siano le nostre specifiche inerzie culturali e le nostre inestirpabili credenze ideologiche, morali, religiose, o semplicemente i nostri retaggi familiari, non certo allo scopo di eliminarle, ma almeno nella speranza di metterle un po’ più tra parentesi.
 
 

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