Dialogo tra Sarantis Thanopulos e Pietro Pascarelli
Pietro Pascarelli: “Le cose modeste possiedono poteri e significazioni misteriose, vengono da mondi che vorremmo conoscere, l’ambasciata che portano accende l’ interesse. Ci sono camicie apparentemente povere, nude, senza incarto. Andando oltre le apparenze ma sapendovi cogliere una traccia, nella mantica di un mondo con le parole ancora legate alle cose, esse rivelano dopo l’acquisto una semplicità destinata ad abbracciare la magnificenza dei re. Dopo averla indossata l’acquirente spicca il volo e scopre la più inattesa bellezza. Il bianco della stoffa venato di lilla, di ghiaccio, di arancio abbaglianti, viene da un bagno di fiori e di luce, la piega della stoffa nasconde carezze. Il segreto della griffe, l’alone magico della propaganda che monopolizza una bellezza di classe e ne custodisce gli stereotipi in un’estetica esclusiva e supponente, è oltrepassato.
Rinasce un dialogo di tutti, in cui ciascuno si riconosce nella sua fantasia e abilità, con le cose e la loro creazione e la possibilità della speranza, dico non della singola speranza, ma della totale trasformazione nella speranza e in un’altra intelligenza di tutto un mondo congelato in proprietà esclusive e sbarramenti.
Scopriamo lo stilista assente, una maestria astrale diffusa, una potenzialità di genio, una qualità incommensurabile al di là di ogni persona e virtualmente alla portata di tutti, libera. Il risultato in termini di seduzione prescinde non solo dalla ricercatezza e dal costo di un oggetto, ma anche dalle nostre credenze abituali. Uno fa molti sforzi, prima di un appuntamento importante si pettina con la riga a destra come un tempo usava fra gli attori americani, si profuma, indossa quel che gli sembra il meglio che ha, non sapendo che il risultato sperato dipende solo dal caso, da una “pura combinazione”, o meglio, come diceva il mio amico poeta Vito Riviello, da una magia. Spetta a Eros creare legami.”
Sarantis Thanopulos: “Caro Pietro, affronti in modo leggiadro la differenza tra la cura (di sé e dell’altro) e il “gusto” di classe fondato sullo “stile”, estetica di stereotipi omologanti. Lo “stilista”, lo “chef” (complicazioni retoriche delle arti del sarto e del cuoco nelle quali la complessità è semplicità), l’“opinion leader” sono “influencer”. Ingranaggi regolatori di un’unica macchina influenzante che trasforma la creatività e il pensiero critico in assiomi del fare e del vivere, produce vestiti/uniformi che solo uno sguardo “vergine” (non strutturato dalle tendenze “alla moda”) può capire che chi li porta è nudo. Lo “stilista assente”, la combinazione magica degli elementi che dà fascino leggerezza e profondità al vestire, al cibo, ai sentimenti, ai pensieri, alle azioni, nasce dall’eclissi dello “stilista in vista”. Costui, (troppo sotto le “luci della ribalta” per essere autentico, “vero”), nudo come il re che veste non è necessariamente privo di sensibilità e di intelligenza. La forza dell’uniformazione, che spoglia l’essere umano della sua espressività, della sua presenza e presentazione al mondo, si appropria dell’ingegnosità personale e rende il “creativo” assente a se stesso. Trasforma il suo gesto in impostura.
I vestiti, le pietanze, le immagini, l’espressione delle proprie emozioni e riflessioni, non dicono nulla senza la cura. Cura del linguaggio silente che ci lega invisibilmente al mondo, cura della propria interiorità nel punto in cui si estroverte, cura dello sguardo, ascolto dell’altro. La bellezza senza stilista di cui parli, nasce dall’attenzione che mostriamo nel coltivare il nostro rapporto con le cose e con gli altri. Quando lasciamo che sia l’Eros a guidarci. L’Eros crea legami usando la semplicità e la complessità, la pace e il conflitto, il mare calmo e le onde tumultuose di Hokusai. Non ama le acque stagnanti dello stilismo.”
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