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L’omicidio di Loris: la madre è colpevole. Ma i diritti dove sono?

20 Dic 14

A cura di Emilio Robotti

“Questa donna è sicuramente colpevole di qualcosa, anche se non so bene di cosa perché non ho tutte le informazioni. (…) Che vuol dire? La sua esperienza cosa le suggerisce? Io non la conosco, ho solo in mente le sue foto.” (Intervista al criminologo Francesco Bruno su il Tempo, qui  l’articolo integrale).
Non credo che questo fosse l’intento del Dott. Bruno, ma con le poche parole sulla mamma di Loris che sopra riportiamo il noto criminologo – senza conoscere la persona né gli atti di indagine – ha probabilmente sintetizzato quella che è ormai la procedura applicata, sul piano non solo mediatico, agli episodi di cronaca nera più efferata e che colpiscono l’opinione pubblica, come l’omicidio di un bambino.
Una procedura che forse, ma è tutto da dimostrare, potrà portare anche all’individuazione del colpevole, ma si contrappone frontalmente con le garanzie previste a favore dell’imputato dalla nostra Costituzione e dallo stesso Codice di Procedura Penale. Molti di noi si diranno (forse anche il Dott. Bruno ed il PM che segue le indagini relative all’omicidio di Loris): sì, forse questo è vero, ma di fronte ad un crimine così orrendo, a ciò che è stato fatto a quel povero bambino… per di più da sua madre. 
No, in tema di diritti non ci si può mai fermare, non si può mai abbassare la guardia, non si può mai considerare colpevole chi per previsione costituzionale gode della presunzione di innocenza, quand’anche fosse stato colto con la smoking gun in mano e la vittima fosse un bambino o un altro soggetto debole; perché così facendo inevitabilmente si retrocederebbe nella negazione delle garanzie processuali, fino a giustificare l’uso della tortura per ottenere la confessione, si arriverebbe sempre più alla negazione dei diritti fondamentali della persona, da quello alla riservatezza a quello alla salute. Certo, che c’è di più atroce di un crimine commesso contro un bambino? Come rispettare chi lo ha, o sembra, o si presume, abbia commesso tale crimine, specie se il colpevole è (o potrebbe essere) addirittura la madre? E’ però molto più facile – e poco utile –  rispettare i diritti (degli altri) solo quando lo si considera opportuno, quando riguardano noi stessi o chi sentiamo vicino e amico.
Ed è tanto comprensibile che così sia per ciascuno di noi, quanto non è comunque mai giustificabile: i superstiti di un crimine orrendo potranno certo desiderare di calpestare i diritti dell’accusato come lo sono stati quelli della vittima o addirittura desiderare la vendetta, ma questo non può mai riguardare lo Stato e di chi lo rappresenta nell’esercizio della Giustizia penale.
Invece accade, e non solo nel caso del piccolo Loris, che alla commissione di un crimine si accompagni una erosione di diritti che sembrano non riguardarci, perché ovviamente mai ci troveremo, noi o nostri familiari o amici, in una situazione simile, o almeno così pensiamo.
Eppure…. ripeto, non dovrebbe essere così. Il Codice di Procedura Penale (art. 63 C.P.P.) prevede che se una persona non imputata o non sottoposta alle indagini, come la mamma di Loris, rende dichiarazioni dalle quali emergono indizi di colpevolezza a suo carico, il suo esame (la deposizione come persona informata sui fatti) debba essere interrotto, la persona debba essere informata che potranno esser svolte indagini nei suoi confronti e debba venire invitata a nominare un difensore; le dichiarazioni precedentemente rese non potranno essere utilizzate contro chi le aveva rese, e se la persona doveva essere sentita sin dall’inizio in qualità di imputato o di persona sottoposta alle indagini, le sue dichiarazioni non potranno essere utilizzate.
Non conosco – come il dott. Bruno – gli atti del processo, però la madre di Loris, a quanto hanno riportato i media, sin da subito è risultata fortemente indiziata, ma non indagata (secondo una prassi che purtroppo non è infrequente e non mi risulta sia mai stata oggetto di particolare attenzione da parte degli organi di autogoverno della magistratura); il provvedimento di custodia cautelare, che il Codice prevede si possa applicare all’indagato solo in caso di possibile inquinamento delle prove, pericolo di fuga o reiterazione del reato, è stato assunto solo dopo che la madre di Loris è stata prelevata dopo cena ed interrogata, a quanto riportato sempre dai media, per sei – sette ore nella notte. In tale occasione non ha confessato, quindi non dovrebbero essere emersi elementi nuovi rispetto alle indagini (svolte anche e soprattutto nei suoi confronti) e questo sembrerebbe confermare che avrebbe dovuto già in precedenza, o al momento dell’interrogatorio stesso dopo cena (perché questo pare essere stato) la veste di indagata. Ma ancor più, un interrogatorio notturno senza assistenza di difensore, e poi la custodia in carcere in assenza di una sua confessione, non assomiglia molto ad una forma di tortura psicologica per ottenere una confessione?
Continuando l’esercizio del Dott. Bruno e di tanti altri opinionisti che non conoscono, come me, gli atti delle indagini, questo parrebbe confermato da alcuni estratti degli atti pubblicati dalla stampa, contenuti nel provvedimento di custodia cautelare della mamma di Loris:
«non è ragionevole ritenere che di fronte alla tragica situazione di un figlio di 8 anni ucciso in un modo così brutale» la donna «si rifiuti ostinatamente di raccontare la verità».
L’unica spiegazione, è che lo fa «in quanto lei stessa è la responsabile del grave delitto». Ecco perché nei suoi confronti, esaminando gli atti prodotti dalla Procura grazie alle indagini di carabinieri e polizia, emerge un «quadro indiziario di rilevante gravità». E sussiste il «pericolo di fuga» della donna, che potrebbe «commettere gravi delitti della stessa specie» come quello dell’uccisione di suo figlio.
Sono solo frasi estrapolate dal contesto e quindi da maneggiare con cautela, ma ai brividi nel pensare a quanto accaduto a Loris si aggiungono altri brividi nel constatare che un indagato o un imputato sia ritenuto colpevole perché non dice la verità che il proprio accusatore vuole ascoltare, o che per lo stesso motivo sussista il pericolo di fuga o di reiterazione del delitto. 
E ancora. In diritto penale si definisce imputabilità, o idoneità al reato, la condizione sufficiente ad attribuire a un soggetto l'azione penale e subirne le conseguenze giuridiche previste dalla Legge. Nessuno può essere imputabile se al momento del reato non era in grado di intendere o di volere, salvo che l'incapacità non derivi da sua colpa.
E’  – mi perdonino gli specialisti la semplificazione – la cosiddetta capacità di intendere e di volere. Semplificando, significa che se deliri, hai allucinazioni, sei scompensato rispetto alla realtà e/o non hai controllo dei tuoi impulsi ad agire e commetti un reato, allora non sei imputabile e non potrai essere condannato per quel reato, anche se potrai essere tuttavia soggetto ad una misura di sicurezza (una volta, ora non più, l’automatico internamento nell’ospedale Psichiatrico Giudiziario) se ritenuto pericoloso.
Mi chiedo: se la mamma di Loris fosse colpevole di aver ucciso suo figlio, se sussiste il pericolo di reiterazione di tale orrendo delitto, non sarebbe stato (o non è il caso) di indagare (oltre che sul delitto) sulle sue condizioni di salute e sulla sua capacità di intendere e di volere, ora ed al momento del delitto di cui è accusata, prima di spingerla ad una confessione?
Insomma, il processo è ancora da iniziare, e quindi la Sentenza ben lungi da arrivare. Ma nel frattempo, sarebbe forse il caso di indagare e rispettare i diritti dell’imputata. 
 

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