La storia di Lorenzo Bonetti è molto particolare, un grande uomo che sfida una grande malattia come il cancro. Bonny è un amico ed allo stesso tempo avversario sui campi della pallavolo professionistica. Un uomo che ha vinto due volte, la prima affermandosi ai massimi livelli in serie A, e la seconda più importante, vincendo la sfida contro il linfoma non Hodgkin. I linfomi non-Hodgkin possono formarsi in quasi ogni parte del corpo, si distinguono in base al decorso della malattia e si curano anche in modo diverso. L’attribuzione di un tumore a un determinato tipo di linfoma dipende dal tipo di cellule degenerate, linfociti T o B. I linfomi non-Hodgkin (LNH) sono un eterogeneo gruppo di malattie neoplastiche che tendono a riprodurre le caratteristiche morfologiche e immunofenotipiche di una o più tappe dei processi di maturazione e di trasformazione degli elementi linfoidi. I linfociti interessati dal processo neoplastico possono esprimere il fenotipo di membrana di tipo B (95% dei casi) o di tipo T (5%). I linfomi non-Hodgkin rappresentano circa il 70% di tutti i linfomi, costituiscono il 5% di tutte le neoplasie maligne e hanno un picco di incidenza tra 45 e 60 anni (anche se si può essere colpiti a qualsiasi età). L’eziologia dei linfomi non è ancora ben nota, tranne in forme particolari; è tuttavia evidente che la loro eziologia non è riconducibile ad un unico fattore morboso e che non è univoca in tutta l’eterogenea gamma di questi tumori.
Il cancro rappresenta uno dei maggiori problemi di sanità pubblicà in termini di mortalità, morbilità e costi. La modalità con cui il singolo paziente affronta la malattia influenza significativamente l’andamento e il trattamento della malattia. Circa la metà dei pazienti affetti da neoplasia andrebbe incontro ad una diagnosi psichiatica, di depressione e/o ansia nel 30% dei casi, con sintomi depressivi tre volte più frequenti rispetto alla popolazione generale. Depressione e crescita neoplastica potrebbero condividere vie patofisiologiche comuni legate a deficit immunitari, processi infiammatori ed alla disregolazione dell’asse HPA ipotalamo-ipofisi-surrene. Le modificazioni biologiche, lo stress, le implicazioni psichiatriche, problemi di compliance, comorbilità medica/neurologica ed esacerbazione della sintomatologia, si influenzano a vicenda, determinando un quadro complesso di difficile trattamento.
Con il tempo, la ricerca e gli studi si è cercato di dare un nome alla personalità che potrebbe aumentare la suscettibilità al cancro. La personalità di Tipo C (cancer personality) è caratterizzata da scarsa assertività, repressione delle emozioni forti, soprattutto negative, mostrando uno scarso interesse per i propri bisogni e le proprie sensazioni corporee, manifestando la tendenza a non cercare supporto e aiuto, ma a darne, utilizzando oltretutto strategie di coping passive, come la negazione o il disimpegno. Questa personalità è soggetta ad un aumento dello stress facilitando quei meccanismi immuno-endocrino-mediati che contribuiscono allo sviluppo neoplastico.
I Tipi C non esternano in modo corretto le emozioni, amplificando l’attivazione del sistema nervoso simpatico ed inducendo uno stato di stress cronico non riconosciuto ed inespresso. La disregolazione omeostatica allo stress influenza l’attivazione e l’aumento delle risposte fisiologiche inappropriate in situazioni stressanti e la lentezza nella ripresa della malattia. La personalità di Tipo C costituisce un fattore predittivo di un più veloce avanzamento e dell’esacerbazione di malattie anche se originariamente asintomatiche. Molti studi evidenziano come la ridotta espressione emotiva e la tendenza all’inibizione possano influenzare un’alterazione del sistema immunitario, data dalla aumentata reattività cardiovascolare allo stress psicologico, riflettendo una disregolazione del sistema nervoso simpatico e/o parasimpatico. Il cancro è una patologia complessa, eterogenea e multifattoriale che ancora miete vittime, ma chi guarisce vince e nasce due volte.
Ciao Lorenzo parlaci brevemente della tua carriera pallavolistica e che impatto ha avuto il cancro su di essa?
Ho iniziato a diciassette anni a giocare a pallavolo, iniziò tutto nella mia città a bergamo, dopo un anno di attività mi danno la possibilità di entrare nella prima squadra come secondo palleggiatore, da li è partito tutto. Ho girato parecchie società (Sisley Treviso, Bassano volley, Reggio Emilia) fino ad arrivare in serie A1 con la Tonno Calipo Vibo Valentia. Dopo la malattia sono riuscito a tornare in campo con un altro ruolo, ho deciso di cambiare completamente, cosi inizio a schiacciare riuscendo a tornare con una promozione nella massima serie, per me un sogno, sono riuscito dopo un anno dalla malattia a raggiungere la massima serie.
Come hai “scoperto” il cancro e quali sensazioni dopo la diagnosi?
La malattia mi ha dato sicuramente la consapevolezza di poter riuscire ad affrontare qualsiasi sfida, a maggior ragione se si parla di sport, per me è divertimento, io nel giocare mi diverto e quindi ogni difficoltà la intraprendo con più facilità. Era l’estate del 2012, avevo un forte mal di schiena, soprattutto di notte. Non sapevo cosa potesse essere, pensavo al classico dolore che abbiamo noi giocatori. Così decisi di andare a fare un visita di controllo alla schiena, il risultato fu: “possibile linfoma contattare uno specialista”. Io non sapevo assolutamente cosa volesse dire quella parola e quindi no gli diedi troppa importanza. Dopo qualche giorno mio cugino infermiere lesse il risultato, e rimase a bocca aperta, mi prelevo e mi portò in ospedale velocemente, era il 13 luglio 2012.
Che influenza ha avuto sulla tua vita, familiari ed amici?
La prima sensazione ovviamente fu di disperazione, la paura era tanta. Ma tra i mille pensieri riuscii a chiedere al dottore, cosa io avessi di preciso e se avevo la possibilità di guarire, lui mi disse che in 5/6 mesi potevo sconfiggere la malattia. Da li la mia testa aveva un obiettivo in testa, volevo ritornare in campo a giocare i primi di gennaio e cosi fu.
Io non mi sono mai abbattuto, non ho mai smesso di fare nulla, la mia vita andava avanti e le persone che mi stavano vicino non mi hanno mai fatto sentire malato, mi trattavano come se nulla fosse, e questo secondo me è stato fondamentale. Io di fronte a tutti cercavo sempre di dare il massimo.
Come hai affrontato la chemioterapia ?
La chemio è stata una cura difficile, ma fortunatamente non mi ha toccato più di tanto. Ogni volta che finivo la terapia prendevo la macchina e me ne andavo a mangiare all’aperto, avevo bisogno di stare in mezzo alla gente, mi dava una forza incredibile.
Cercavo di capire se il mio corpo stava bene mettendolo sotto sforzo, prendevo la bicicletta e affrontavo sempre la stessa salita, se reggevo voleva dire che stavo bene e mi dava speranza e fiducia.
Riesci a descrivere i tuoi sentimenti, pensieri, desideri ed obiettivi, prima, durante e dopo la malattia?
Sono una persona molto solare, cerco sempre di dare il massimo con tutti, anche con chi mi sta meno simpatico, questa cosa mi fa sentire bene. Dopo la malattia sono cambiato in maniera positiva, nel senso che tutto quello che faccio, lo faccio con la voglia di dare qualcosa a me e soprattutto agli altri, io ho avuto molta fortuna ed ora cerco di dare qualcosa in più, a chi ha meno fortuna di me.
Come hai vinto la lotta contro il cancro?
Il cancro sicuramente si vince con le medicine, se non ci fossero sarebbe un vero problema, ma la mia convinzione è che la testa sia il 90% delle medicine, bisogna credere in se stessi, senza abbattersi di fronte a queste cose, portando avanti la propria vita quasi come se nulla fosse.
0 commenti