Percorso: Home 9 Rubriche 9 GALASSIA FREUD 9 Luglio 2015 V – Eredità. Da Mosè a Shakespeare

Luglio 2015 V – Eredità. Da Mosè a Shakespeare

5 Ago 15

A cura di Luca Ribolini

DI PADRE IN FIGLIA. Quale l’eredità che si trasmette di padre in figlio? Una domanda che mi ha sempre affascinato. Il padre è la figura genitoriale meno considerata nella letteratura. Si è sempre dato molto più spazio alle madri, focalizzando l’attenzione sul rapporto madre – bambino 
di Susanna Messaggio, panorama.it, 23 luglio 2015

Negli ultimi anni, anche in base ai mutamenti della famiglia tanto la letteratura, quanto cinema e teatro hanno posto grande attenzione alla figura del padre. Eppure se diamo uno sguardo a quella che è la storia della psicoanalisi, il ruolo del padre è sempre stato centrale nell’opera del suo fondatore Freud. È vero che viviamo in un’epoca di padre assente? Attenzione, non facciamoci coinvolgere dal vortice dei mass media. Ci sono testimonianze che sembrano dire il contrario. Oggi vorrei raccontarvene una. Sono Padre e figlia. Lei Gloria, lui Luigi stesso cognome: La Torre. Stessa passione per la pittura.
 
Segue qui:
http://www.panorama.it/blog/teletrasporto/di-padre-in-figlia/

IL SURREALISMO: QUANDO L’ARTE DÀ CORPO AI SOGNI Trasformare il mondo, ha detto Marx, cambiare la vita, ha detto Rimbaud. Queste due parole d’ordine sono, per noi, una sola”. Così affermò André Breton, il principale esponente, nonché fondatore, del movimento surrealista
di Melissa Torti Buratti, secolo-trentino.com, 23 luglio 2015

1889: Sigmund Freud pubblica con successo “L’interpretazione dei sogni”, una delle opere più importanti della psicanalisi, che ha permesso di osservare il cervello umano non solo nella sua accezione fisica e anatomica, ma anche nella sua sfera psichica, come un contenitore di ricordi, impulsi, emozioni, immagini e desideri i quali, durante il giorno, ovvero quando il soggetto è conscio e impegnato nelle sue attività, vengono repressi, per poi venire liberati durante il sonno attraverso la dimensione onirica.
1924: André Breton, poeta francese, legge la grande opera di Freud di inizio secolo e ne resta profondamente colpito e affascinato. Nessuno, prima di allora, aveva mai esplorato il mondo dei sogni. L’inconscio non era mai stato preso in considerazione: tutto ciò che girava intorno alla civiltà moderna era la realtà, il razionale, il bello, la ragionevolezza; sentimenti ed emozioni legate a percezioni reali ed esistenti. Così, Breton decide di creare un nuovo movimento culturale, che avrebbe spaziato in tutte le arti, dalla poesia al disegno pittorico, dalla fotografia al cinema: il Surrealismo, da “sur-realtà”, cioè “oltre la realtà”, “al di là di ciò che è reale”.
 
Segue qui:
http://www.secolo-trentino.com/27429/cultura/surrealismo-larte-corpo-ai-sogni.html

LA FILOSOFIA GENDER. Gli studi avviati negli anni Settanta in Nord America, e poi diffusisi in Europa, sul significato socio-culturale della sessualità e dell’identità di genere 
di Redazione, mattinopadova.gelocal.it, 26 luglio 2015

Gli studi di genere o gender studies, come vengono chiamati nel mondo anglosassone, rappresentano un approccio multidisciplinare e interdisciplinare allo studio dei significati socio-culturali della sessualità e dell’identità di genere. Nati in Nord America a cavallo tra gli anni settanta e ottanta nell’ambito degli studi culturali, si diffondono in Europa Occidentale negli anni ottanta. Si sviluppano a partire da un certo filone del pensiero femminista e trovano spunti fondamentali nel post-strutturalismo e decostruzionismo francese (soprattutto Michel Foucault e Jacques Derrida), negli studi che uniscono psicologia e linguaggio (Jacques Lacan e, in una prospettiva postlacaniana, Julia Kristeva). Di importanza specifica per gli studi di genere sono anche gli studi gay e lesbici e il postmodernismo.
 
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http://mattinopadova.gelocal.it/padova/cronaca/2015/07/26/news/la-filosofia-gender-1.11837640

VERGOGNA: ISTRUZIONI PER L’USO (PRUDENTE!) 
di Giuliano Castigliego, giulianocastigliego.nova100.ilsole24ore.com, 26 luglio 2015
 

Is shame necessary? Si chiede (retoricamente) Jennifer Jacquet nel suo recente libro sulla vergogna, positivamente recensito da illustri commentatori (“Well argued, beautifully written, sophisticated and down to earth” è il commento sul retro di Sherry Turkle!). La risposta alla domanda del titolo è invero scontata; molto più interessanti sono le argomentazioni che l’autrice, assistant professor al Department of Environmental Studies at New York University, produce a sostegno di un rinnovato (e prudente) uso di questo antico mezzo di punizione. L’attenzione dell’autrice è infatti rivolta non all’emozione della vergogna in sé ma all’uso sociale dello svergognare. Sapientemente impiegato e dosato – come gli antibiotici dovrebbero esserlo – lo svergognamento può essere, a suo avviso, decisivo per far cambiare comportamenti sociali scorretti e/o moralmente riprovevoli di privati ma soprattutto di ditte, enti o stati nei confronti dei quali le sanzioni legali sono insufficienti o inesistenti.
 
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http://giulianocastigliego.nova100.ilsole24ore.com/2015/07/26/vergogna-istruzioni-per-luso/
 

HAROLD BLOOM CONTRO TUTTI. Anatomia del più importante e celebre critico letterario del mondo. Pensieri tranchant da Shakespeare a DFW 
di Francesco Longo, rivistastudio.com, 27 luglio 2015

Durante la notte sogna ancora in yiddish, la lingua che ha parlato prima di imparare l’inglese da solo, all’età di sei anni. Nei sogni a volte lo va a trovare Sigmund Freud: «Freud appare sempre nei miei sogni come Jahveh il Padre», come ha raccontato nel libro Rovinare le sacre verità. Poesia e fede dalla Bibbia a oggi (1992). Freud però non si manifesta soltanto nelle visioni oniriche, a lui Harold Bloom ha dedicato addirittura un capitolo del suo libro di maggior peso, Il canone occidentale. Gli altri capitoli celebrano venticinque maggiori scrittori di sempre, considerati inevitabilmente più maestosi dei loro critici e dei teorici letterari. Nonostante abbia fatto entrare Freud nel canone, Bloom non ritiene sia utile servirsi della psicanalisi per interpretare i testi letterari, e propone di sostituire alla lettura freudiana di Shakespeare una lettura shakespeariana di Freud.

Segue qui:
http://www.rivistastudio.com/standard/harold-bloom-contro-tutti/

LA VERITÀ DELL’EBRAISMO SECONDO FREUD. Torna in libreria con Castelvecchi il testo introduttivo a «L’Uomo Mosé e la religione monoteistica», a firma dello storico del Cristianesimo Pier Cesare Bori 
di Antonio Santagata, ilmanifesto.info, 28 luglio 2015

Quando nel 1939 Sig­mund Freud pub­blica il suo Mosè non è un momento qual­siasi per affron­tare la que­stione delle ori­gini dell’ebraismo. L’autore, ormai pro­vato dalla malat­tia, ha dovuto abban­do­nare Vienna per rifu­giarsi a Lon­dra, dove morirà nel set­tem­bre dello stesso anno. Nell’ultimo dei tre saggi che com­pon­gono l’opera scrive lapi­da­rio: «Viviamo in un tempo in cui il pro­gresso ha stretto un patto con la bar­ba­rie». Lo scopo di quest’ultima fatica sarà tirare le fila della pro­pria car­riera di scien­ziato rileg­gendo in chiave cri­tica (e alle­go­rica) quelle radici ebrai­che per le quali è stato costretto all’esilio. Tor­niamo a par­larne acco­gliendo con pia­cere la deci­sione dell’editore Castel­vec­chi di ripub­bli­care il sag­gio intro­dut­tivo alla tra­du­zione ita­liana del 1977, un testo a firma di Pier Cesare Bori e rie­la­bo­rato alla metà degli anni Novanta («È una sto­ria vera?». Le tesi sto­ri­che sull’Uomo Mosé e la reli­gione mono­tei­stica di S. Freud, 2015).
Come mette in luce l’introduzione di Gian­ma­ria Zama­gni, che di Bori è stato allievo, quest’edizione nasce dal desi­de­rio di omag­giare la figura del docente di sto­ria del cri­stia­ne­simo, scom­parso nel 2012 e tra i primi ad aver lavo­rato presso la biblio­teca di Freud a Lon­dra. L’interesse dello stu­dioso era atte­stare la serietà storico-religiosa di una rico­stru­zione che lo stesso Freud aveva rico­no­sciuto essere fra­gile «come una bal­le­rina in equi­li­brio sulla punta di un piede». Riper­cor­ria­mone rapi­da­mente i pas­saggi. Il punto di par­tenza, fon­dato sull’etimologia, con­si­ste nel con­si­de­rare il Mosè del rac­conto biblico un egi­zio e più pre­ci­sa­mente colui che avrebbe inse­gnato agli ebrei il mono­tei­smo del faraone Akhenaton.
 
Segue qui:
http://ilmanifesto.info/la-verita-dellebraismo-secondo-freud/
 

VIVERE O MORIRE 
di Umberto Silva, ilfoglio.it, 29 luglio 2015

Morire, dormire… nient’altro. E con un sonno dire che poniamo fine al dolore del cuore e ai mille colpi che la natura della carne ha ereditato. È un epilogo da desiderarsi devotamente. Morire, dormire. Dormire, forse sognare: ah, c’è l’ostacolo, perché in quel sogno di morte il pensiero dei sogni che possano venire quando ci saremo staccati dal tumulto della vita, ci rende esitanti”. Per Amleto, principe di Danimarca, a distogliere dal suicidio è il pensiero di un Aldilà, anche perché ha appena incontrato il papà re che è venuto a trovarlo dall’Inferno; per Giancarlo Galan, deputato, il salvifico amuleto è la figlia. “Se ho pensato al suicidio? Ci ho pensato molte volte e continuo a farlo… Mi blocca mia figlia… Le modalità lasciamole stare …”. La modalità evocata da Amleto è il pugnale; la modalità, più poetica, di Galan, consiste invece “nell’annodarmi attorno al collo una delle corde con cui ancoravo la mia barca”.
 
Segue qui:
http://www.ilfoglio.it/la-politica-sul-lettino/2015/07/29/vivere-o-morire___1-vr-131314-rubriche_c862.htm
 

ESTATE CLASSICA – COLETTE. INTERVISTA A JULIA KRISTEVA. Autrice di culto del primo Novecento francese, Colette scrisse più di cinquanta romanzi. Tra i molti ricordiamo la serie dedicata a Claudine, La vagabonde, che andò vicinissimo al prestigioso premio Goncourt. E Sido, Il grano in erba, Gigi – film di successo con Audrey Hepburn – e Chéri. Julia Kristeva in un saggio della scrittrice valorizza la giocosa capacità, intrisa di sensualità, di raccontare “l’arte di vivere” 
di Cristina Bolzani, rainews.it, 29 luglio 2015

Autrice di culto del primo Novecento francese, Colette scrisse più di cinquanta romanzi. Tra i molti titoli ricordiamo la serie dedicata a Claudine, poi La vagabonde, che andò vicinissimo al prestigioso premio Goncourt; Sido, Il grano in erba, Gigi – anche film di successo con Audrey Hepburn – e Chéri. A parte il Meridiano che raccoglie i suoi Romanzi e racconti, quest’anno sono usciti La gatta (Skira) e La stella del vespro (Del Vecchio editore). Julia Kristeva, linguista, scrittrice, psicoanalista, semiologa allieva di Roland Barthes, le ha dedicato l’ultimo parte della sua trilogia sul ‘genio femminile’, pubblicata da Donzelli, Colette – Vita di una donna. Un’occasione per rileggere con nuovi stimoli la sua ricca scrittura ‘metamorfica’, spesso messa in ombra dalle bizzarrie autobiografiche. Intervista a Julia Kristeva, in occasione dell’uscita del saggio in Italia.
Parliamo di Colette. Una donna per la quale scrivere – lei dice – «non è tanto una fantasia personale, ma un’immersione esistenziale nella carne del mondo». Intende dire che la sua creazione nasce più da un incontro con l’esterno che dalla necessità di dare forma a una realtà interiore?
Colette è stata una donna straordinaria. Per niente femminista, si burlava delle suffragette, ma è stata celebrata dopo la sua morte dalle femministe americane, per cominciare, che hanno scoperto in lei una donna ribelle, con una sessualità stravagante: si definiva un’ermafrodita mentale. Ma quello che mi ha affascinato di lei è che ha sempre rifiutato di essere considerata una ‘scrittrice’, sebbene sia stata, come si sa, celebrata al vertice del pantheon della letteratura francese, e sia stata presidente del Prix Goncourt. Ebbene, lei diceva: «Come, la più grande scrittrice, io? Ma no». E quello che lei rivendicava era di avere scritto «l’alfabeto del mondo». E questo si collega alla sua domanda, perché per lei il linguaggio scritto non è un esercizio retorico; è un’immersione nella carne del mondo, come dico in effetti nel mio libro. Il che significa che le parole, le cose, le sensazioni, sono un’unità. Quando si legge Colette, si ‘sentono’ i gatti, i cani, le donne, gli uomini, i profumi, i fiori. E si è immersi nel mondo. Si è trasportati nella sua propria esperienza, che è stata anche molto dolorosa – è una donna che ha vissuto molti tradimenti, un film recente della televisione francese ha mostrato essenzialmente la sua parte malinconica. E tuttavia non è stata una malinconica, ma ha cantato l’arte di vivere. E io penso che il ‘femminile’ può essere una specie di ‘gioco permanente’, un’arte di vivere. E’ una cultura francese, beninteso, è giovialità, ma è specificamente ‘colettiano’.

Segue qui:
http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Estate-classica-Colette-c224c84b-35aa-4d06-b1ea-7d99bfde8ac7.html
 
DIALOGHI DI ESTETICA. PAROLA A MARCO SENALDI. Marco Senaldi è critico e teorico di arte contemporanea. Ha insegnato estetica dell’arte contemporanea e dei media in diverse università e accademie, e ha curato mostre tra cui “Cover Theory. L’arte contemporanea come reinterpretazione” (2003), “Il marmo e la Celluloide. Arte contemporanea e visioni cinematografiche” (2006), “Fuori fuoco” (2012). La riflessione sul godimento estetico e il piacere, l’arte in rapporto al cinema e agli strumenti di comunicazione mediatica, la sua natura soggettiva e la relazione con la riflessione filosofica: questi i temi affrontati nel dialogo

di Marco Enrico Giacomelli, Davide Dal Sasso, artribune.com, 30 luglio 2015

 
Nel 2003 pubblichi con Meltemi – casa editrice romana che purtroppo ha chiuso i battenti, dopo aver dato un contributo importantissimo alle “scienze umanistiche” – un libro che si intitola Enjoy! Il godimento estetico
Meltemi, fondata da Marco Della Lena, scomparso troppo presto, e dalla sua compagna Luisa Capelli, è davvero stato un editore in grado di colmare uno di quei vuoti che periodicamente si creano nella trama culturale italiana. Siamo un Paese ingrato e dalla memoria corta, che quindi non riconoscerà in tempi brevi questi meriti; io però, personalmente, non solo non ho alcun rammarico di essere stato l’autore di un editore che ha chiuso, ma ne vado anzi fiero: Enjoypoteva uscire solo da Meltemi. Così comeObversione poteva essere edito solo da Postmediabooks.
Gli editori così detti minori non sono un ripiego rispetto a quelli sedicenti “maggiori”: sono invece, nei casi migliori (e i due citati lo sono), un vero luogo di parola, dove all’autore non viene chiesto (e questo per me è fondamentale) di scendere a nessun compromesso.
Affrontare allora (ma in realtà anche oggi) il tema del piacere nella fruizione dell’arte poneva senz’altro almeno un problema: quello di contrastare un’idea algida della ricezione dell’arte contemporanea. Perché hai ritenuto invece di mettere al centro proprio tale questione?
Perché la questione del godimento è centrale nell’arte contemporanea. Infatti, questo sentimento (chiamiamolo così) impone una piega imprevista alla dimensione estetica classica, dominata dal piacere. Il godimento non è affatto un piacere di grado superiore, ma indica piuttosto il momento in cui il piacere si inverte in se stesso, incorporando il sentimento opposto, diventando piacere nel dispiacere. Se il piacere sottintende una fruizione equilibrata, il godimento trascina con sé eccesso insostenibile e mancanza incolmabile. Godere di qualcosa significa avere con quella cosa una relazione dominata dall’ambivalenza e dalla contraddizione.
Ora, dato che, in senso moderno, la fruizione estetica implica una dimensione riflessiva, ne segue che anche il godimento è un’esperienza estetica che “ritorna” su chi la effettua, generando nel soggetto una sensazione di turbamento e contraddizione. Si tratta però di qualcosa di sostanzialmente diverso dalla provocazione o dallo scandalo: lo shock avanguardista ottiene il suo effetto solo all’interno di un contesto tradizionale, mentre il godimento estetico è un circuito chiuso immaginario dove il soddisfacimento è sempre desiderato, e sempre posposto.
La controparte del godimento, sempre in eccesso, è il desiderio, contrassegnato dalla mancanza. Diversamente, purtroppo, da quanto sostenevano Deleuze e Guattari negli Anni Settanta, il soggetto desiderante non è l’eccezione eversiva, ma è divenuto la norma produttiva, il perno ideale del circuito ipercapitalista attuale. A livello di fruizione dell’arte contemporanea ciò quindi non significa affatto che le opere più sconcertanti, più emotivamente forti (disgustose, nauseanti, disturbanti, scandalose…) colgano meglio la centralità del godimento – anzi è vero l’opposto: proprio quelle opere dove l’orrore è impaginato perfettamente dentro una teca da gioielliere, secondo una logica da “naufragio con spettatore” (il pericolo è lì, ma noi siamo distanti, sulla riva, al sicuro) sono anche le più appetibili dal mercato, sono le merci “normali” del capitalismo culturale. Le opere d’arte che invece riescono a “riflettere” la nostra insicurezza ontologica, generando un contraddittorio godimento, sono, paradossalmente quelle più cerebrali, come l’interminabile cadenza numerica di One Million Years di On Kawara… anche se personalmente penso che la sfida intellettuale lanciata dalla Merda d’artista di Manzoni segni tuttora un culmine teorico insuperato.
Due nomi ricorrono nei tuoi saggi: Lacan e Žižek. Entrambi sono poco citati nella letteratura critica che verte sulle arti visive, mentre tu ne hai tratto diversi strumenti operativi per leggere l’espressione artistica del nostro tempo. Ci rendiamo conto che non è facile sintetizzare, ma qual è l’apporto che ognuno di loro può dare all’ermeneutica estetica?
Ciò che avevo tentato di fare con Enjoy! era di applicare all’arte contemporanea un concetto, quello di jouissance, che, elaborato psicoanaliticamente da Lacan, era stato esteso alla critica sociale da Žižek, con un libro che (assieme a Critica della Ragion cinica di Sloterdijk, a Opera Aperta di Eco e a Jouir du Pouvoir di Pierre Legendre) ne costituisce un po’ l’orizzonte ideale, cioè Enjoy your Symptom.
In quel saggio (come in numerosi altri, tra cui Looking Awry eTarrying with the Negative) Žižek rileggeva Lacan in un modo per me del tutto inedito (per cui posso dire di aver riscoperto Lacan dopo e grazie a Žižek, e non viceversa): dietro al Lacan tetramente strutturalista che era passato in Italia negli Anni Settanta riemergeva ora un fine dialettico della soggettività, imbevuto di idealismo classico, le cui teorie, divenute trasparenti, si applicavano meravigliosamente alla società mediale e ai suoi miti, come i grandi racconti hollywoodiani.
 
Segue qui:
http://www.artribune.com/2015/07/dialoghi-di-estetica-parola-a-marco-senaldi-filosofia-intervista-cinema/
 

Video

"E LASCIATEMI DIVERTIRE: L'AVARIZIA", da rai.tv, 25 luglio 2015

L’intervento di Recalcati è a 4′ 50” dall’inizio del programma
 
http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-daa25532-761f-4d4d-a866-639477877135.html
 
 
RepTv News, lo psicoanalista Recalcati: “Disconnettiamoci, la solitudine è un diritto”
di Redazione, video.repubblica.it, 27 luglio 2015
 
Vai al link:
http://video.repubblica.it/rubriche/reptv-news/reptv-news-lo-psicoanalista-recalcati-disconnettiamoci-la-solitudine-e-un-diritto/208113/207212?ref=search
 
 
I più recenti pezzi apparsi sui quotidiani di Massimo Recalcati e Sarantis Thanopulos sono disponibili su questo sito rispettivamente ai link:
http://www.psychiatryonline.it/rubrica/4545
http://www.psychiatryonline.it/rubrica/4788
 
Da segnalare le seguenti rubriche: "Laicamente, Dialoghi su psichiatria, arte e cultura" di Simona Maggiorelli, al link 
http://www.psychiatryonline.it/rubrica/5673
"Mente ad arte, percorsi artistici di psicopatologia nel cinema ed oltre, di Matteo Balestrieri al link 
http://www.psychiatryonline.it/rubrica/4682
 
(Fonte dei pezzi della rubrica: http://rassegnaflp.wordpress.com

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