di Gianfranco Angelucci, articolo21.org, 1 luglio 2016
“Sto per compiere i miei cinquant’anni e mi sei venuta in mente dopo diverso tempo. Decido di cercarti senza avere più tue notizie per dirti che in questi anni sei stata sempre con me. Ma trovo e leggo sul blog della tua scuola le testimonianze dei tuoi colleghi, ex allievi, genitori di ex allievi. I miei occhi si riempiono impietosamente di lacrime. Sei morta”. Se leggendo queste poche frasi qualcuno penserà alla corrispondenza tra due amanti, non sbaglia, sebbene in questo caso la passione, di sostanza non diversa, è quella che intercorre tra un ex studente e la sua professoressa. Giulia. La rivelazione inattesa, giunge nell’ultimo capitolo di “L’ora di lezione” di Massimo Recalcati, psicanalista di scuola lacaniana; con un sottotitolo eloquente: Per un’erotica dell’insegnamento.
Il testo prevede un antefatto. Quando nelle scuole elementari della nostra repubblica c’era ancora l’esame per passare dalla seconda alla terza classe, l’autore era stato bocciato e l’insegnante aveva fatto capire alla madre che col bambino c’era poco da sperare, bisognava rassegnarsi. “Ero destinato ad essere l’idiota di famiglia, ero destinato a restare indietro”. Ma la madre sapeva che le cose non stavano così e che l’assenza mentale, la noia, che impediva a suo figlio di seguire le lezioni alla pari degli altri compagni, aveva forse un’origine diversa. Tuttavia tale diversità, o ‘anomalia’, continuerà ad accompagnare l’alunno fino alle scuole medie, e poi alle superiori, spingendolo verso i ‘movimenti’ che sconvolgevano in quegli anni l’andamento ordinario della scolarità, con la prospettiva di dilapidare quel poco di apprendimento, sia pure acritico, comunemente accettato fino agli anni della contestazione. “Quando ti ho incontrata avevo diciotto anni e nella testa l’idea di lotta di classe come una guerra giusta. Avevo trovato nella rivolta politica il modo di difendere tutti i bocciati del mondo”. Stava sopraggiungendo l’onda impetuosa del ‘77 e all’Istituto Agrario di Quarto Oggiaro la rivolta dilagava dentro e fuori le aule: “Ho avuto amici che si sono persi: nella droga, nella violenza politica, nel terrorismo, in India, ovunque. La mia generazione è sprofondata nella melma informe del godimento mortale.”
Segue qui:
http://www.articolo21.org/2016/07/il-docente-che-cambia-la-vita-lora-di-lezione-di-massimo-recalcati/
IL SENSO DELLE DONNE PER LA NATURA
di Umberto Galimberti, Paola Gamba, d.repubblica.it, 2 luglio 2016
Le leggi della natura non sono fatte per noi». Il suo pezzo così intitolato è rimasto a lungo sul mio comodino, e come sempre il suo punto di vista ha centrato bene il dilemma, però al suo discorso manca qualcosa. Il vissuto mio e di tante donne come madri, procreatrici e allevatrici. In particolare il periodo dell’allattamento. Il sangue e il latte permettono alle donne di connettersi fortemente a una parte della nostra umanità così fortemente complessa, una parte molto arcaica. Non so come spiegare, ma è qualcosa di profondo che a noi in quei momenti sembra quasi un disagio, dentro la velocità del mondo attuale. Poi l’uomo è capace di tutto e con buona volontà e con molta buona educazione supplisce alle mancanze, ma dalla mia esperienza penso che il rapporto interiore con le nostre funzioni biologiche sia unico e insostituibile. Paola Gamba
Nei giornali i titoli li fanno i titolisti, che spesso sono più bravi degli autori a interpretare non solo il senso dell’articolo, ma anche la capacità di attrarre i lettori a leggerlo. Il titolo che lei cita ha creato diversi fraintendimenti. Molti hanno pensato che è cosa buona che l’uomo si allontani dalle leggi di natura, quando invece il mio intento era semplicemente dire che la natura è del tuttto indifferente alla sorte degli individui, nei confronti dei quali non risparmia terremoti, tsunami, epidemie, malformazioni alla nascita, sterilità e via dicendo. Per cui se, con il soccorso della tecnica, l’uomo riesce a porre rimedio ai mali “naturali” non trovo ci sia nulla da obiettare. Stante l’equivocabilità di quel titolo, lei ha pensato che volessi invitare le donne ad allontanarsi da quella completa adesione all’ordine naturale che vivono durante la gravidanza, la nascita, l’allattamento e in generale in tutto il periodo delle cure materne.
Segue qui:
http://d.repubblica.it/dmemory/2016/07/02/lettere/rispondeumbertogalimberti/106lette20160702691060106.html
MOSÈ VA DALLO PSICOLOGO
di Gianfranco Ravasi, ilsole24ore.com, 3 luglio 2016
“Questo lavoro che prende le mosse dall’uomo Mosè sembra al mio spirito critico una ballerina in equilibrio sulla punta di un piede”. Questa confessione di Freud riguardo al trittico di saggi raccolti sotto il titolo L’uomo Mosè e la religione monoteistica è condivisa dalla maggioranza degli esegeti che hanno letto quelle pagine; anzi, essi sono per lo più convinti che la ballerina abbia alla fine perso l’equilibrio e sia piombata a terra. Tuttavia è indubbio il fatto che, come spesso accade, non si possa del tutto uscire indenni da una lettura provocante e provocatoria. È ciò che suggerisce di sperimentare il libretto che raccoglie un’analisi succinta di quello scritto freudiano approntata da Pier Cesare Bori, un noto docente di storia delle dottrine teologiche, morto nel 2012 a Bologna ove insegnava. A lui, tra l’altro, dobbiamo (con Giacomo Contri ed Ermanno Sagittario) la migliore versione del Mosè freudiano, edita da Boringhieri nel 1977. Bori, anche se più anziano di cinque anni, era stato mio compagno di studi teologici presso l’Università Gregoriana di Roma. Poi le nostre strade si erano divaricate, non solo per ragioni topografiche (lui era di Casale Monferrato e forse alla sua fine, sia pure tardivamente, ha contribuito l’inquinamento da Eternit), ma anche religiose.
Segue qui:
http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2016-07-01/mose-va-psicologo-163136.shtml?uuid=ADWCx2g
SIAMO LIBERI? YES, EDIPO, WE CAN
di Mauro Bonazzi, Corriere – La lettura, 3 luglio 2016
Perché Edipo, subito dopo che si è strappato gli occhi con le sue proprie mani, accusa Apollo, lo incolpa di tutto quello che gli è successo? Sono lontani i tempi in cui il romanzo giallo era considerato un genere minore. Di sicuro è quello più adatto alla filosofia: in entrambi i casi si tratta di ricomporre una trama, di cercare il disegno che si cela dietro al disordine apparente. L’ordine magari non sarà quello auspicato ma comunque esiste, come ne Il giorno della civetta di Sciascia, in cui il commissario Bellodi riporta alla luce il sistema di corruzione e connivenze che permette ai tanti don Mariano Arena di prosperare sul «bosco di corna» dell’umanità. A volte invece il giallo serve a mettere in crisi l’illusione dell’ordine, rivelando che il mondo è dominato dalla confusione. Come ne La promessa di Friedrich Dürrenmatt: paziente, meticoloso, ostinato il commissario Matthäi ha capito tutto, sa dove l’assassino colpirà la prossima volta: si apposta, ma l’attesa durerà tutta la vita (il commissario si licenzia e si mette a fare il benzinaio in una sperduta piazzola di servizio perché sa che è lì che tutto deve accadere), inutilmente, perché la sua preda, l’assassino in viaggio per il delitto, è morta in un banale incidente automobilistico. Era tutto giusto, il commissario aveva compreso, il disegno era quello, ma la realtà è governata dal caso: ogni tentativo di controllo razionale del disordine, ogni progetto di riduzione del caos a cosmo, è destinato allo scacco. Matthäi però continua ad aspettare, mentre la luce del sole si dispiega su un mondo sempre più incomprensibile.
Segue qui:
http://www.pressreader.com/italy/la-lettura/20160703/281547995208675
IO, FIGLIA DI MADRE DIFFICILE, NON VORREI ESSERE NATA DALLA GESTAZIONE PER ALTRI
di Susanna Tamaro, 27esimaora.corriere.it, 5 luglio 2016
Appena ho terminato la lettura del coraggioso e attualissimo pamphlet di Marina Terragni, Temporary mother (VandA ePublishing), mi è sorta spontanea una riflessione: come mai è stato accolto da un siderale silenzio? E subito è seguita una domanda: quanti sono i fondamentalismi del nostro tempo? Ce ne è uno macroscopico — quello religioso — che per le sue tragiche conseguenze è purtroppo noto a tutti. Ma non se ne annidano forse altri intorno a noi, più miti, più benefici, apparentemente più innocui? In fondo la scomparsa delle ideologie del ‘900 e l’innegabile eclissi del cristianesimo hanno lasciato un grande vuoto di etica e di orizzonti, e il vuoto non è facile da reggere. O si accetta di attraversarlo — consapevoli che l’incertezza fa parte del destino dell’uomo — oppure ci si attacca a qualcosa, a un particolare, e si trasforma quel particolare nel metro della totalità; da quel momento in poi, tutto quello che non si conforma alla totalità che ci rappresenta va combattuto. E in che modo? Con l’invettiva, la ridicolizzazione, la derisione: tutte armi che il mondo della rete offre con democratica generosità. Per linciare una persona basta un click, in meno di un secondo si guadagna la certezza di essere dalla parte giusta del mondo, senza mai essere sfiorati dal dubbio che la parte in cui ci riconosciamo sia soltanto un microscopico spicchio della realtà totale. Questi fondamentalismi domestici — che potremmo chiamare identitari, perché ci si identifica completamente con un’identità parziale — sono particolarmente vivi e attivi nel campo della bioetica, campo a cui la Gpa appartiene di diritto.
Segue qui:
Io, figlia di madre difficile, non vorrei essere nata dalla gestazione per altri
L’ATROCE DESTINO DI SOPRAVVIVERE A CHI AMIAMO. Il senso di colpa di Gianni Boschetti, che impotente ha sentito la moglie ha sentito la moglie morire, è il simbolo di questa nostra assurda guerra
di Claudio Risè, ilgiornale.it, 5 luglio 2016
Impossibile distogliere lo sguardo da Gianni Boschetti, il sopravvissuto. Il marito che si era allontanato un minuto prima dell’agguato e che restò nascosto, fino a quando fu silenzio, nell’alba insanguinata. È impossibile perché siamo tutti un po’ lui, e ci sentiamo tutti in colpa. È doloroso, il senso di colpa, ma è un lievito che fa maturare le coscienze. All’inizio fa male, ma senza di esso è impossibile accettare la realtà e riuscire a viverla pienamente (fu questa, forse la più feconda intuizione della psicoanalisi) e sopravvivere.
La storia di Boschetti, il suo essere ancora vivo, il suo essere rimasto nascosto paralizzato dall’angoscia, mentre dall’interno giungevano rumori e grida, è anche la nostra dopo il primo dispaccio d’agenzia che arriva il televisione e su internet: mio Dio, cosa succede? Il non potere fare nulla, ognuno di noi, come Boschetti, anche se ora si sente in colpa. L’azione di guerra infatti, se non ti uccide direttamente, ti paralizza, puoi solo acquattarti, come lo scorpione quando si accorge che l’hai visto, e finge di essere morto. Si rimane contratti, fino a quando arriva il crampo.
Allora si comincia a capire: siamo in guerra, e dobbiamo muoverci. Siamo straziati, ma dobbiamo reagire, scavalcare i recinti di pseudosicurezza in cui ci siamo rinchiusi, e accettare che in questa guerra il nemico può essere ovunque, coglierci in qualsiasi momento. È difficile, ma questa è la realtà. In questa vicenda Gianni Boschetti, più dei fidanzati sopravvissuti l’uno all’altra al Bataclan, e più della giornalista scampata all’agguato di Charlie Hebdo, ci offre una testimonianza straordinariamente lucida della situazione in cui tutti siamo, più o meno vicini all’orrendo teatro di quello che, ogni volta, è solo l’ultimo massacro, l’ultima strage.
Segue qui:
http://www.ilgiornale.it/news/cronache/latroce-destino-sopravvivere-chi-amiamo-1279163.html
CICLI E RICICLI. Tutti vogliono accarezzare i grillini, inutile sminuirli. Ci resta soltanto il Nazareno?
di Umberto Silva, ilfoglio.it, 6 luglio 2016
Nei sondaggi e nell’anima dei cittadini giorno per giorno inesorabilmente si fa strada il grillino. Si ha un bel dire che è un momento e presto tutto rientrerà, c’è invece da supporre che se i grillini non faranno idiozie supersoniche a loro gli italiani affideranno le sorti del paese, se non altro per il gusto di vedere cosa diavolo combinano, se non altro per dare una sberla a quelli che poco hanno combinato. Si ha un bel dirsi che i grillini sono quel che sono, certo che lo sono, ma il popolo vuole vederli da vicino, sentirli sulla propria pelle, prima di sfotterli a più non posso. Se poi i grillini si rivelassero tutt’altro che fessi, il popolo ci resterebbe malissimo e comincerebbe a rimpiangere i tangentisti. E’ il movimento inconscio dell’oggetto “eccitante e rifiutante” di cui parla il grande psicoanalista scozzese William Fairbairn.
Renzi sminuisce il pericolo ma nessuno gli crede, tutti vogliono accarezzare un grillino, vedere com’è fatto politicamente e umanamente, mal che vada un grande spettacolo comico che Marino se lo sogna. Questa è la sottaciuta attesa, se poi non è così pazienza, da parte mia non ho problemi, con la pensione di psicoanalista incasso cento euro al mese. Sì, non è un refuso, cento euro al mese di pensione, la cifra più bassa dell’intero pianeta. Ne sono fiero, non c’è morte più bella del crepare lavorando, sto studiando da ciabattino, la trovo un’arte sorella di quella analitica. Lavorare sempre, anche da morti, come insegnano Dante, Freud e tanti altri semprevivi, nutrendoci ogni giorno di meraviglie. Se poi tanti rubano a man bassa, peggio per loro, l’unico a giudicarci è il Dio che sta in noi e distribuisce la bella gioia, il santo dolore, la faccia di merda.
Segue qui:
http://www.ilfoglio.it/la-politica-sul-lettino/2016/07/06/cicli-e-ricicli___1-vr-144082-rubriche_c603.htm
I RIVOLUZIONARI NASCONO E SI SVILUPPANO SEMPRE COSÌ. Il dna degli estremisti è unico per comunisti, nazisti, fascisti e, oggi, islamisti
di Daniele Capezzone, italiaoggi.it, 8 luglio 2016
Questo libro di Eric Hoffer («The True Believer», il vero credente) è stato scritto nel 1951, ma sembra pubblicato ieri, ed è tuttora, a mio modo di vedere, il più utile e moderno manuale sulla comprensione di come nascano e crescano movimenti di massa, dai movimenti nazionalisti alle rivoluzioni sociali, passando per i movimenti religiosi. Ovviamente non tutto è identico, ci sono movimenti animati da una carica e da un afflato umanitario, e invece pericolosi movimenti distruttivi e negativi, ma Hoffer individua il denominatore comune, antropologico e sociologico, proprio di tutti i movimenti fortemente ideologizzati, fidelizzati e fanatizzati. Al centro c’è il true believer, il credente assoluto, l’uomo pronto a morire, fanatico, entusiasta, animato da una fede cieca, disponibile al sacrificio di sé, abitato, nello stesso tempo, da una speranza fervente e da un odio intollerante.
Intanto, prima di venire alle caratteristiche del soggetto, Hoffer descrive bene il contesto che aiuta a entrare in questa dimensione fideistica. Una società in crisi e un fallimento personale sono l’ambiente ideale per questa trasformazione. La naturale indisponibilità a riconoscere le proprie incapacità, i propri insuccessi, le proprie colpe, e la corrispondente ricerca di una colpa esterna, portano il soggetto debole a dirsi che il suo fallimento deriva da ciò che lo circonda. Di chi è la colpa dei miei fallimenti? Del mondo, della società, del Paese in cui vivo.
Segue qui:
http://www.italiaoggi.it/giornali/dettaglio_giornali.asp?preview=false&accessMode=FA&id=2099180&codiciTestate=1&titolo=I%20rivoluzionari%20nascono%20e%20si%20sviluppano%20sempre%20così
ESPERIENZE AVVERSE E VITA PSICHICA DEL BAMBINO
di Rosalba Miceli, lastampa.it, 8 luglio 2016
Sono trascorsi 100 anni da quando Sigmund Freud scrisse il saggio Lutto e Melanconia (1915), un testo fondamentale anche per la successiva espansione della psicoanalisi nel campo della teoria dell’attaccamento, perché – ponendosi a un delicato crocevia tra narcisismo, sviluppo dell’Io e relazione d’oggetto – analizza l’importanza della relazione con l’oggetto d’amore nella costruzione dell’apparato psichico. Le relazioni precoci tra caregiver e bambino e i dialoghi che le modellano, qualora gravemente inadeguati o traumatici, lasciano tracce profonde nella vita psichica infantile. Il bambino può vivere esperienze avverse e traumatiche, prima ancora di avere una funzionalità psichica in grado di sostenerle adeguatamente. Tali esperienze possono essere traumatiche in modo evidente, nel caso dell’abuso fisico e sessuale, ma anche riguardare traumi più silenziosi e insidiosi, derivanti da relazioni con genitori e caregivers trascuranti e non disponibili emotivamente (effetti distorsivi della relazione che riguardano il contesto genitoriale e familiare). Già nel corso del secondo anno di vita, la capacità di regolazione emotiva del bambino riflette il rapporto passato e presente con il caregiver primario.
Segue qui:
http://www.lastampa.it/2016/07/08/scienza/galassiamente/esperienze-avverse-e-vita-psichica-del-bambino-m64qJLgkPEvZIiQZooyoQO/pagina.html
QUANDO IL CORPO È UN’IMMAGINE IDEALIZZATA. Possiamo chiudere tutti i siti che vogliamo, ma se manca una comunità adulta educante mancano i veri strumenti di controllo
di Giuseppe Maiolo, ladigetto.it, 8 luglio 2016
C’è un dilagare di immagini che ci attornia. Immagini accattivanti di corpi femminili e maschili, in pose a volte artistiche e altre squisitamente provocanti. Il nudo integrale o quasi sulle riviste patinate o in rete non è una novità. Appartiene al linguaggio della comunicazione, sempre più esplicito e seduttivo. Seduce tutti, infatti. In primis gli adolescenti che stanno crescendo e che, con il proprio corpo, ci fanno i conti in ogni istante in quanto la fisicità è uni dei territori più impegnativi da attraversare durante l’adolescenza.
Segue qui
http://www.ladigetto.it/permalink/55751.html
PARLIAMO DI DONNE, PARDON, DI FEMMINISMO
di Giacomo Properzj, linkiesta.it, 12 luglio 2016
Non molti, forse, ricordano i libri e le tesi di Luce Irigaray filosofa e psicologa molto in voga negli anni ’70 e giù di lì. Il suo successo si fondava soprattutto sulla forte polemica nei confronti di Freud e, di conseguenza, anche nei confronti di Lacan che le valse anche l’espulsione dall’università di Vincennes. Erano gli anni del ’68 e la grande rivoluzione culturale confondeva tutte le cose collocando la filosofa belga in modo indiscriminato tra le truppe genericamente femministe quasi una discendente delle suffragette quando essa era il loro contrario.
Si cominciò solo allora negli ambienti culturalmente più raffinati (v. per esempio Luisa Muraro) a distinguere due forme di femminismo, il primo paritario e dei diritti, il secondo “di differenza”. Il femminismo paritario è integrazionista e afferma che non vi è differenza, sul piano dei diritti, tra uomo e donna: si è partiti, in occidente, dai diritti civili ed elettorali per arrivare a diritti sostanziali e di fatto nella gestione del potere democratico ed economico. I risultati raggiunti sono molto importanti, forse non definitivi, ma, per esempio sul piano politico, attraverso il sistema delle quote rosa si è raggiunta un’integrazione pressoché completa.
Segue qui:
http://www.linkiesta.it/it/blog-post/2016/07/12/parliamo-di-donne-pardon-di-femminismo/24447/
SONO PIÙ IMPORTANTI LE DOMANDE O LE RISPOSTE? È uscito un saggio sul più celebre Q&A di sempre: il questionario di Proust
di Anna Momigliano, rivistastudio.com, 12 luglio 2016
Quando aveva quattordici anni, Marcel Proust rispose così a un’amica che gli chiedeva dove gli sarebbe piaciuto vivere: «Nel paese dell’ideale, o meglio, del mio ideale». Il futuro autore della Recherche, che era ancora un ragazzino ma era pur sempre Proust, riuscì in una delle imprese più difficili per chi è impegnato in una conversazione: dare una risposta intelligente a una domanda stupida. Lo scambio di battute faceva parte di un gioco di società piuttosto diffuso tra le classi benestanti dell’epoca, un album con una serie di quesiti e uno spazio breve per le risposte da sottoporre ad amici e conoscenti per poi conservarlo a mo’ di ricordo. Alla voce “qual è la tua virtù preferita”, Proust scrisse: «Tutte quelle che non appartengono in particolare ad una setta, quelle universali». Alla domanda “quali sono i tuoi eroi preferiti”, invece: «Quelli che sono più un ideale che un modello». Nel 1924, dopo la morte del celebre romanziere, il figlio della sua amica d’infanzia, lo psicanalista André Berge, trovò il questionario in un cassetto e lo fece pubblicare su una piccola rivista letteraria. Così nacque uno dei generi giornalistici più diffusi, quel breve formulario di domande simil-esistenziali poste a varie celebrità, noto ai più, per l’appunto, come “questionario di Proust”.
Segue qui
http://www.rivistastudio.com/standard/questionario-di-proust/
IL VILE EROE. Obama vuole rassicurare i suoi sudditi isolando l’assassino di Dallas e ottiene l’effetto contrario
di Umberto Silva, ilfoglio.it, 13 luglio 2016
Il pistolino, il pistolone, la pistola nascosti o sbandierati qua e là, ma davanti a un poliziotto, specie se nervoso, è piuttosto pericoloso ostentarli come un fallo quando sono solo la maschera di un fallimento, come argutamente indica lo psichiatra Gaétan de Clérambault, da non confondere con Louis Nicolas Clérambault, l’organista di Saint-Sulpice. Studioso di erotomania, davanti a uno dei suoi amati specchi a sessant’anni Gaétan si congedò dal giovane Lacan e dalla psicoanalisi sparandosi alla testa. Ho l’impressione che dei poliziotti americani in Italia non ci si interessi granché, nonostante il clamore dei giornali. Personalmente poi trovo – anche se meno hollywoodiani – più umani i poliziotti italiani. Sono simpatici, pensierosi, baffuti, e prima di estrarre la pistola ci pensano su. Non hanno quei corpaccioni americani, quel muoversi da ippopotami omogeneizzati. Anche da noi però c’è la bestia nera, i tre fratellini poliziotti della banda della Uno bianca, che ammazzarono oltre i civili anche i loro compagni d’arme. Insomma, qui le armi sono ben controllate eppure mi sembra che negli ultimi cinquant’anni si sia fatto più fracasso noi dei cowboy americani.
Segue qui:
http://www.ilfoglio.it/la-politica-sul-lettino/2016/07/13/il-vile-eroe___1-vr-144352-rubriche_c352.htm
È GUERRA AI FIOCCHI AZZURRI E ROSA
di Luciano Mola, avvenire.it, 14 luglio 2016
Un paio d’anni fa avevano suscitato incredulità, stupore e anche un po’ d’orrore le oltre 50 possibilità di risposta offerte da Facebook Usa alla domanda: ‘Di che sesso sei?’. Di mese in mese la grottesca varietà era lievitata fino a raggiungere oltre 70 ipotesi per 70 variazioni sul tema, cioè più o meno 490 interpretazioni della possibilità di andare oltre il desueto e quasi archeologico concetto di maschio e di femmina. Fantasie da social? Niente affatto. Leggiamo quanto scrive un’autorità in materia come il professor Vittorio Lingiardi, psichiatra e psicoanalista, docente di Psicologia dinamica alla Sapienza di Roma, che nell’ambito del portale nazionale lgbt si è occupato della sezione ‘identità’ (sesso, genere e orientamento). «Orientamento sessuale, identità sessuale, identità di genere, espressione e ruolo di genere sono quindi concetti diversi, spesso intrecciati, ma decisamente non sovrapponibili. Ciascuno di noi (eterosessuale, omosessuale o bisessuale che sia) può esprimere il proprio genere in molti modi – spiega l’esperto, autore di molti testi su gay, omosessualità, diritti e psicoanalisi – più o meno aderenti alle aspettative culturali e sociali di mascolinità-femminilità. Ci sono uomini omosessuali molto ‘maschili’, donne omosessuali molto ‘femminili’, uomini eterosessuali molto ‘femminili’, donne eterosessuali molto ‘maschili’ … e così via».
Segue qui:
http://www.avvenire.it/Cronaca/Pagine/Basta-con-i-nastrini-rosa-e-azzurri-per-i-beb-Prendiamo-esempio-dalla-civi.aspx
MASSIMO RECALCATI SU SCUOLA ED EDUCAZIONE SESSUALE. Lo psicanalista e saggista riparte dal ruolo dell’incontro con la parola del “maestro” nelle aule
da it.aleteia.org, 15 luglio 2016
Dall’intervento di Massimo Recalcati, Il naufragio educativo: per un’erotica dell’insegnamento, tenuto nel corso del festival Popsophia – Filosofia del Contemporaneo a Pesaro, lo scorso 10 luglio:
“L’educazione sessuale nelle scuole] così come concepita è per lo più orribile, si spiegano i corpi come fossero macchine. L’educazione alla sessualità si fa attraverso la letteratura e le poesie, leggendo Dante, Petrarca, Flaubert, Proust, che sono l’unica forma di educazione all’erotismo che può funzionare a scuola. Solo così si può contrastare l’intolleranza e educare a non separare troppo la passione erotica dall’amore, in qualunque forma esso si manifesti” (Gli scritti).
L’intervento nel video e queste poche ma nette parole di Massimo Recalcati sono una utilissima e condivisibile riflessione sulla sfida educativa e su quale siano le direttrici da seguire per riportare i ragazzi al centro di uno sforzo che non può che essere collettivo, quello di renderli protagonisti delle proprie vite.
Vai al link:
Massimo Recalcati su scuola ed educazione sessuale
(Fonte dei pezzi della rubrica: http://rassegnaflp.wordpress.com)
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