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L’urgenza diagnostica in carcere

1 Giu 14

A cura di Gian Maria Formenti

Uccidersi era una buona soluzione nelle epoche in cui il suicidio era rispettato in quanto protesta o ammissione di sconfitta.
Oggi non significa niente.
Ci si ammazza per disturbi nervosi o per difficoltà finanziarie.
                                                  Ennio Flaiano, Taccuino del Marziano
 
 
                                       
 
La psichiatria in cui ho sempre lavorato, quella con l'attenzione focalizzata sul territorio, porta con se la necessità di interpretare un bisogno, in particolare nelle situazioni critiche. Bisogno che viene dalla domanda di intervento che non è formulata necessariamente dal futuro paziente, ma spesso dal suo contesto: famiglia, vicini, servizi sociali piuttosto che sindaci, parroci, e comunque quanto è parte della rete naturale. 
Bisogno da comprendere,significare, valutare e tradurre dove e come possa corrispondere ad una risposta professionale che faccia parte del nostro bagaglio di conoscenze: e restituire con una realistica ipotesi di fattibilità.
Traduzione necessaria per definire se esista una malattia, un paziente ed un terapeuta. O se piuttosto ci troviamo coinvolti  nella dinamica del paziente designato dalla Dysfunctional Family di cui ci hanno parlato i sistemici.
 
In carcere e' presente quotidianamente un bisogno pressante: la valutazione del rischio auto ed etero aggressivo. Stato di allarme, più che giustificato, che viene affrontato immediatamente all'ingresso del detenuto in carcere. In funzione di questa esigenza, e' attivo in tutti i carceri il servizio Nuovi Giunti, dove all'atto dell'accoglienza viene realizzato uno screening sui detenuti in funzione di profili teoricamente in grado di identificare situazioni e/o gruppi ad alto rischio: dedotti dalle elaborazioni statistiche dei suicidi e degli atti violenti avvenuti negli anni.
All'interno dei profili di rischio, ci si indirizza a pianificare interventi specifici, diversificati da variabili quali patologie psichiatriche pregresse o attive, o comunque sintomi sentinella, intossicazione da sostanze pregressa o in atto, espressioni più o meno velate di intenzionalità autolesiva, povertà di risorse di supporto, oltre alle preoccupazioni soggettive riportate dagli stessi agenti.
Il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria ha sviluppato negli ultimi anni interessanti modelli di lettura del rischio suicidiario, che sono oggi strumenti di integrazione e formazione sul campo tra gli operatori penitenziari, il comparto socio-educativo del carcere ed il servizio sanitario nazionale, cui sono di pertinenza tutti gli interventi di tutela della salute dei detenuti. (1)
Dove viene identificato un teorico rischio, in base ai protocolli, viene richiesta la valutazione dell'equipe del Dipartimento di Salute Mentale operante in carcere.
 
In realtà, questa attribuzione di competenze rischia di produrre un importante bias cognitivo.
Prima dell'entrata in vigore del D.P.C.M. 01/04/2008 che norma il trasferimento al Servizio Sanitario Nazionale dell'assistenza sanitaria negli istituti penitenziari, era compito degli esperti psicologi, dipendenti dall'Amministrazione Penitenziaria, la valutazione di tali rischi: all'interno di una competenza  a valenza medico-legale.
La scomparsa dello psicologo esperto, e la sua sostituzione tout court con l'equipe del DSM, porta a snaturare la funzione clinica dello psichiatra, che come quella di ogni medico ha come fondamento l'alleanza terapeutica: in conflitto evidente con una posizione difensiva, di tutela del sistema in cui si opera.
 
Tradotto in pratica, la prassi in situazioni critiche prevede interventi cautelari, spesso di custodia del detenuto a rischio nella cosiddetta cella nuda, ovvero priva di suppellettili che potrebbero venire utilizzate per mettere in pratica gli acting autolesivo, ed in seconda battuta lavalutazione di incompatibilità ambientale per motivi sanitari, per trasferire il detenuto a rischio altrove: vanificando qualunque possibilità di intervento terapeutico a favore di una logica disciplinare.
 
Rischio che viene focalizzato peraltro sia dal Comitato Nazionale di Bioetica (2)  che dalla Organizzazione Mondiale della Sanità (3) nello psichiatrizzare comportamenti legati a stimoli ambientali, in presenza o meno di patologia psichiatrica raccomandando un approccio che non si concentri solo sui fattori individuali di rischio psichiatrico, ma tenga nella dovuta considerazionei fattori situazionali che possono aggravare lo stress legato alla detenzione, e più in generale il rischio legato ad un ambiente carcerario non adeguato o che addirittura non rispetti la dignità ed i diritti delle persone.
 
Senza cadere nell'errore comunque di ricondurre tale criticità alla specificità dell'organizzazione penitenziaria italiana: in realtà troviamo la stessa problematica nella letteratura internazionale, fatto che ci indirizza a pensare sia un aspetto insito nella dinamica della realtà penitenziaria, indipendentemente dalla patologia e dal degrado ambientale, ma verosimilmente correlata alo stimolo patogeno della carcerazione.
Tanto più che si ritrovano linee guida per la prevenzione del suicidio in carcere praticamente sovrapponibili a quelle del nostro Dipartimento dell'Amministrazazione Penitenziaria in realtà extra nazionali molto più evolute della nostra (4) (5)
 
L'assimilare comunque  tali interventi alla competenza psichiatrica, intesa come intervento clinico diagnostico, porta con se il rischio di snaturare l'intervento professionale costringendolo ad occuparsi di una necessità difensiva dell'istituzione carcere: e mettendo in ombra quello che dovrebbe essere realmente l'intervento sulle specifiche patologie, da tempo identificate ma non considerate: anche perché la maggior parte del tempo disponibile viene assorbito dall'incombenza correlata al rischio.
Ma questo e' un altro capitolo.
 
 
 
Bibliografia
 
1)Ministero della Giustizia-Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria: La prevenzione dei suicidi in carcere – Quaderni ISSP Numero 8 – dicembre 2011  http://www.altalex.com/index.php?idnot=42176
2)Presidenza del Consiglio dei Ministri – Comitato Nazionale per la Bioetica – "La salute dentro le mura", settembre 2013  pg. 20,21   http://www.governo.it/bioetica/pdf/6La%20salute%20dentro%20le%20mura.pdf
3)WHO "La prevenzione del suicidio in carcere"   pg. 19   http://www.who.int/mental_health/resources/resource_jails_prisons_italian.pdf
5)Identifyng andTreating People  with Mental Illness in North Carolina's Jails: a Practical Approach – Appendix H      http://www.ncpls.org/files/mentalhealthmanual.pdf
 
 
 
Ringrazio Francesco Bollorino delle indicazioni bibliografiche e ancor più dei consigli ed incoraggiamenti a proseguire in questa piccola descrizione
 

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