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MAMME A OLTRANZA

25 Set 17

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L’opposizione delle madri ai vaccini, una sfida alla medicina per affermare il proprio primato nella difesa della salute dei figli, è accompagnata dalla crescita dei casi di Sindrome di Münchausen per procura (MSP). Un genitore, tipicamente la madre, inventa malattie a carico di un figlio, o arriva a provocarle, per sottoporlo a estenuanti, inutili, pericolosi, accertamenti e trattamenti. Capita anche che usi una reale malattia del figlio per entrare in competizione, sviluppando una certa conoscenza sul tema, con i medici che non riescono a venirne a capo.
In questo tipo di madre, in apparenza attenta e scrupolosa, ma maltrattante, nei fatti, l’accudimento puntuale copre un’inconfessabile odio. Ben inteso, ogni madre arriva a odiare il figlio. L’odio rende vero e solido il loro amore -lo protegge da un idillio pericoloso che ignora i conflitti e le differenze- e le consente di uscire dallo stato di devozione il cui eros non può soddisfare il suo desiderio di donna.
Diverso è l’odio che la madre prova per il suo bambino quando esso diventa una fonte di tensione che lei non riesce a gestire -per motivi di sofferenza psichica o fisica personale o per difficoltà oggettive- e di cui vuole solo liberarsene. È un odio slegato dall’amore perché la madre non è in condizioni psicofisiche che le consentano di amare. In casi estremi la madre afflitta da una ferita pregressa nel suo desiderio, si ritira dal livello profondo delle relazioni: teme che il coinvolgimento possa creare dentro di sé il crollo di un terremoto, un’emorragia erotico/affettiva. Resta fisicamente presente, ma è psichicamente assente. La sua dissociazione dalla profondità del coinvolgimento, che avviene quando il bambino sta per coinvolgerla, viene da quest’ultimo percepita come morte, sua madre non c’è più.
La madre psichicamente assente, “morta”, odia il bambino perché con la sua spontaneità  tende a coinvolgerla in modi intensi e imprevedibili. L’odio la protegge dall’amore che la espone a un dolore che prende il posto del piacere. Questo dolore lei non sa gestirlo se non con la fuga dai suoi desideri e sentimenti che lo scatenano.
L’amore è contradetto, sospeso, ma è pur sempre presente come potenzialità. L’odio espulsivo, di cui la madre non ha consapevolezza, perché troppo destabilizzante per la sua affettività, è sostituito da un accudimento devoto ma “operativo”, l’unica possibilità di amare il proprio figlio continuando a rigettare la sua spontaneità. La madre “operativa” incastra il figlio in un rigido sistema di cure materiali: lo tratta come psichicamente morto per mantenerlo fisicamente sano. La cosa le può sfuggire di mano, come accade nei casi di MSP. La sanità fisica non copre il vuoto di vita vera e la malattia fisica da curare le appare necessaria per continuare a inseguire l’abbaglio di una propria funzione salvifica.
La madre può proiettare sul figlio il suo senso di morte interna e vederlo morto. Gli chiede di smentire questa sua percezione e lo tratta come pupazzo che lei solo può animare, far nascere veramente, far rinascere. La moda delle “bambole rinate”, l’adozione, sempre più frequente, di pupazzi perfette imitazioni di bambini veri, rende esplicita la natura nascosta  dell’accudimento “operativo”: ridurre a un credibile automa di animazione i figli, ottenere una sembianza di vita che rassicura la madre morta dentro che può far rinascere i morti, che può da sola, come araba fenice, rinascere.
La violenza visibile nei confronti della donne è la punta di iceberg di una vita sociale che le ferisce sempre di più, costringendole ad essere mamme a oltranza dissociate dalla loro femminilità.

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