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MANLIO CONVERTI = CODICE 285.3

3 Set 13

A cura di Manlio Converti

Mi hanno accolto con questa scritta anonima  i primi giorni di specializzazione in Psichiatria dentro un ‘diario di bordo’ in genere firmato, che esprimeva quell’inconscio collettivo che oggi riversiamo sui social network. Avevo fatto l’internato in Cardiologia e non conoscevo i codici della Salute Mentale, inoltre all’Università in modo improprio si parlava di DSM mentre l’Italia utilizza appunto l’ICD, creandomi confusione nella ricerca del significato di quella scritta bizzarra ed esoterica.. Ci misi dei mesi per capire che significava che ero un malato di mente a causa della mia omosessualità e che questo imbarazzava tutti i miei colleghi, che appunto non ne volevano parlare mai in modo esplicito.
 
All’epoca mi esercitavo per la cintura nera di Karate (colpa di mia sorella, non di Rambo), studiavo molte lingue (oggi ne parlo cinque), cercavo di recuperare il gap culturale in psichiatria, esploravo la sottile linea tra libertà sessuale ed innamoramento, studiavo la complessità delle interazione delle persone psicotiche, seguivo musiche e teatro elitari. Mi ci volle poco a diventare il centro di discussioni infinite perché ero due volte imbarazzante e le mie idee Basagliane da neofita non mi hanno mai giovato meno del mio orientamento sessuale. Capii subito la relazione che Foucault spiega meglio di tutti tra rapporti politici e microcosmo relazionale e famigliare.
 
Solo nel 93 l’OMS aveva dichiarato normale l’omosessualità, e ancora oggi l'Italia lo ignora, nel 94 si tenne in Italia il primo Gaypride, solo nel 96 il secondo nella nostra città, cui io partecipai in prima persona, lasciando solo mio padre all’ignoto, mentre io mi specializzavo tra il ‘94 e il ‘98. Lui lo seppe solo in occasione del Gaypride mondiale a Roma nel 2000 ma mia sorella non era stata meno accorta con lui nel tacere la sua vita sessuale e sentimentale, tanto che gli disse del fidanzamento l’anno dopo e solo con chi aveva già fissato la data del matrimonio
 
Scusate sto tergiversando: mi sono innamorato di un collega di specializzazione appena conosciuto, coevo ma più anziano di età, che mi invidiava già per il mio rapido successo nel cursus honorum. Mi maltrattò arrivando all’apartheid esplicito: usciva dalla stanza dove stavo e si alzava dal tavolo della mensa se io mi sedevo con i colleghi, senza parlarmi mai. Sono stato malissimo due volte, che sono diventate tre perché lo incontravo nei locali gay a limonare con ragazzi molto più giovani. La sua tortura finì solo quando mi confessò di essersi innamorato di un ragazzo di 17 anni e di gestire stavolta alla rovescia la sua vita libertina di bisessuale impenitente, ma rigorosamente nascosto al mondo.
 
Uno dei colleghi specializzandi  ‘biologisti’ più preparati, provocato da un altro collega  eterosessuale ma omofobo, in modo esplicito rispose che avrebbe trattato con neurolettici e carbolitio ogni omosessuale che gli avesse chiesto consulenza… giacché la schizofrenia e la psicosi bipolare si curano così ,qualunque sia l’orientamento sessuale del paziente.
Ho baciato sulla bocca, approfonditamente, un altro collega più anziano esperto di fenomenologia, molto affascinante, soprattutto all’epoca, che pensava di sfidare le convenzioni ed il muro della mia libertà di fatto solo verbalizzata davanti ai colleghi fino ad allora: a me è piaciuto tantissimo.
 
Degli 8 colleghi specializzandi del mio anno 2 erano donne, 1 maschio eterosessuale, quello della battuta omofoba, 1 ossessivo grave ed incapace di avere rapporti sessuali ed emotivi stabili con chiunque, 3 GAY e 1 BISESSUALE:. Negli altri anni forse c’erano due colleghe lesbiche e non so bene di un paio di colleghi evanescenti: eppure per tutti e quattro gli anni c’ero e ci sono stato solo io “storicamente” e nelle “cronache”, né alcun altro collega si è mai dichiarato in seguito, che io sappia. Ancora oggi il collega che baciai si vanta di aver dimostrato l’infondatezza delle mie ’teorie’ omosessuali’perché il collega bisessuale da qualche anno si è sposato, ovviamente con una donna.
 
L’ostracismo e l’imbarazzo dei professori fu invece maggiore: per quelli biologisti era facile escludermi per motivi politici, a causa del mio ’credo’ post-basagliano. Le stesse case farmaceutiche non mi hanno mai preso in considerazione o invitato a convegni per molti anni e successivamente mai a quelli più importanti e mai fuori dalla provincia di Napoli.
La sfida dai professori psicoanalisti fu portata, invece, sul campo razionale! Scoprii così il paradosso omofobo di Wazlawitch, le torture ai prigionieri pedofili, la confusione nel merito dell’opinione di Freud, comunque censurato in Italia nella traduzione in voga dagli anni ’50 e tante altre amenità.
 
Accompagnato dal sorriso maligno del primario dell’SPDC, unica struttura collegata ai policlinici che insegnano così in modo “folle” la Salute Mentale, ovvero creando negli studenti un’idea del tutto inadeguata, subordinata ad stigmatizzante dei sofferenti psichici, venni spesso aggredito verbalmente dagli infermieri. La scena peggiore avvenne con il peggiore dei suoi sorrisi malevoli, mentre ci riposavamo, apparentemente, nella tisaneria del reparto: l’infermiere anziano in piedi sentenziò di punto in bianco, dopo averli vantati, che se uno dei suoi quattro figli maschi fosse stato omosessuale, lo avrebbe ucciso con le sue mani o con l’aiuto degli altri tre.
 
Trovai finalmente una storia sentimentale stabile alla fine dei miei studi, meravigliosa, con uno spagnolo più anziano che lavorava per l’ambasciata. Da lui ho imparato tantissimo e lui da me si fece trascinare al Gaypride mondiale a Roma, per amore. Divenni ufficialmente, nelle rare occasioni pubbliche cui potevo partecipare, il suo fidanzato, ma il miracolo di Zapatero era lungi da venire e quando lui dovette cambiare Paese ed io vinsi il concorso in Psichiatria dopo anni di precariato, dovemmo scegliere tra la nostra dignità umana e professionale e diventare l’uno per l’altro un cameriere, con il rischio, soprattutto in Italia, di perdere tutto, per rigurgiti giuridici cattolici o fascisti.
 
Siccome non avevamo futuro, nessuno dei miei fidanzati, anche successivi è stato presentato in famiglia, ma io conobbi la sua, andando spesso in Galizia e dipingendo insieme la sua casa a Barcellona, dove avevamo progettato di andare a vivere nel caso fosse quanto meno passata una legge sui Pacs, allora già in discussione in Spagna.
 
Tutte le mie storie con italiani successive si sono interrotte, dopo un periodo più o meno lungo di prova, quando era ormai evidente che la ‘paura’ per l’omofobia in famiglia e nella società era maggiore dell’ ‘amore’ per me. Forse non ho pazienza, ma ho un’idea romantica e liberatoria dell’amore che non si concilia con alcuna forma di oppressione reale o paranoica da parte di alcun compagno, collega o amico.
 
Mio padre era  medico. Fu l’unico ad accogliermi in modo sereno, tra tutti i miei colleghi, nel 2000, in piena contrapposizione Gaypride-Family day, scegliendo me al di sopra di ogni convenzione, ma raccomandandomi ogni precauzione per il rischio HIV ed MTS. Pochi anni fa, prima della morte, sottolineò la sua totale adesione al mio stile di vita libero ed emancipato regalandomi un pullover ed una camicia rosa confetto, che, sinceramente fuori moda, non penso che avrei mai messo altrimenti.

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