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Marzo 2016 III – Sovranità? Guerre e bambini

10 Apr 16

A cura di Luca Ribolini

AMMANITI: «QUESTA È L’ERA DELL’ANSIA PERENNE IL LORO OBIETTIVO È LA NOSTRA PARALISI». «Si cade in una sorta di “evitamento passivo”, si evita cioè la ripresa della normalità»

di Paolo Conti, corriere.it, 23 marzo 2016
 
Professor Massimo Ammaniti, famoso psicoanalista e psicopatologo: qual è il pericolo che corre l’inconscio collettivo dell’Occidente dopo questo nuovo attacco del terrorismo nel cuore dell’Europa?
«Il pericolo più ovvio è lo stesso osservato dagli esperti di psicoanalisi negli Stati Uniti dopo l’11 settembre: l’istinto di chiudersi in casa, il rifiutarsi di uscire per guardare ossessivamente le notizie in tv, l’isolarsi dalla vita quotidiana. Il fenomeno, studiato con attenzione, riguardò migliaia di persone. Si cade in una sorta di “evitamento passivo”, si evita cioè la ripresa della normalità e si lascia spazio alla paura e all’ansia…».
Sembra il progetto del terrorismo così come lo stiamo conoscendo.
«Non c’è dubbio. Il progetto dell’Isis è la paralisi dell’Occidente. Il piano è convincerlo della sua impotenza. Una vera guerra psicologica. L’obiettivo è bloccare l’economia che è alla base del nostro modello: in questo caso gli spostamenti legati agli affari, al turismo, allo studio, alla nostra vita quotidiana. L’aeroporto, la metropolitana».
Colpiscono i tempi, progettati in perfetto automatismo: l’arresto di Salah Abdeslam proprio a Bruxelles, immediatamente dopo l’atroce attentato.
«Anche qui il messaggio è trasparente. Avete compiuto mille sforzi per arrestare Salah, avete mobilitato tutte le polizie d’Europa, lo avete cercato ovunque, finalmente lo avete trovato e tirate un sospiro di sollievo con l’illusione di averci fermati… Invece ecco qui la dimostrazione che ci siamo. Tutto questo suscita un’ondata di paura, direi soprattutto di ansia molto forte, di terrore».
 
Segue qui:
http://www.corriere.it/politica/16_marzo_23/questa-l-era-dell-ansia-perenne-loro-obiettivo-nostra-paralisi-3c51b2c0-f07c-11e5-b1a2-f236e4ccb109.shtml

COME REAGIRE AL TERRORISMO ISLAMICO? COME GLI INGLESI IN BIBLIOTECA DOPO LE BOMBE TEDESCHE

di Beniamino Andrea Piccone, linkiesta.it, 24 marzo 2016
 
Dopo l’ennesimo attentato da parte dei terroristi islamici – questa volta, dopo Parigi, a Bruxelles – il centro dell’Europa e degli uffici della Commissione Europea, ci si chiede come reagire. Non uscire più di casa non ha senso, la vita va avanti.
A parte la necessità di coordinamento delle polizie europee e dell’intelligence (quella belga lascia a desiderare, vedi lo scandalo Dutroux), penso che a livello individuale sia necessario costruire strategie per contenere l’ansia. Come ha detto lo psicoanalista Massimo Ammaniti sul Corriere della Sera di ieri “di fronte a un terrorista che costituirà purtroppo una presenza costante, ci dobbiamo equipaggiare suo piano psicologico per non soccombere all’ansia”.
Ammaniti suggerisce – e mi trova concorde – di prendere come modello di riferimento la Gran Bretagna guidata da Winston Churchill, tenace Prime Minister durante la battaglia contro Hitler: “Ho in mente un’immagine legata alla Seconda Guerra mondiale, la biblioteca (di Holland Park, ndr) dove ci sono persone che, tra le macerie, cercano libri per leggerli. E’ una bellissima rappresentazione di ciò che si dovrebbe fare oggi”. Sta in noi reagire in modo costruttivo. Ma siamo in guerra. Ricordiamocelo. Diamoci da fare.
 
http://www.linkiesta.it/it/blog-post/2016/03/24/come-reagire-al-terrorismo-islamico-come-gli-inglesi-in-biblioteca-dop/24047/ 

È TRA ZERO E TRE ANNI CHE SI DIVENTA QUALCUNO. Quanto conta la prima infanzia? Moltissimo, perché nei primi mesi di vita si formano definitivamente le nostre mappe cognitive e affettive. Tutto ciò che segue, allora, è colpa dei genitori? No, ma resta, nel bene e nel male, una loro responsabilità

di Roberto Branca, Umberto Galimberti, D Repubblica, 26 marzo 2016
 
Ritenevo che l’infanzia avesse un’influenza fondamentale per il futuro adulto e le sue caratteristiche, finché non ho letto Conversazioni di Iosif Brodskij, che in proposito dice: «Il mio atteggiamento potrà forse apparire semplicistico, ma non riesco ad apprezzare tutta l’importanza che Freud dà a questa fase della vita. Non credo che vi risiedano tutte le risposte ai comportamenti dell’adulto. Piuttosto parlerei di fuga dall’infanzia. Della psicoanalisi è proprio questo
a darmi fastidio: ricorrere all’infanzia per creare nel soggetto uno stato mentale di vittimismo. In un certo senso riversa la responsabilità su altri, liberando l’individuo dal dovere di rispondere dei propri atti.Così crea una cultura della vittima, e con il suo indice accusatorio gira a 360 gradi in cerca di qualcuno da incolpare». Da una parte mi viene voglia di rifiutare brutalmente questa affermazione, da un’altra mi sembra illuminante nella sua forza provocatoria rispetto a certe degenerazioni della psicanalisi da talk show.
Roberto Branca
roberto_branca@libero.it
Quando veniamo al mondo non disponiamo di nessun codice per orientarci. Percepiamo solo il seno di nostra madre, che non riconosciamo neppure come persona altra da noi. Solo a poco a poco e molto lentamente cominciamo a distinguere noi stessi dalle persone che ci circondano, e ancor più lentamente cominciamo a conoscere, negli oggetti con cui entriamo in contatto, la differenza tra ciò che è morbido e ciò che è duro, ciò che è dolce o salato, ciò che è pericoloso e pericoloso non è. In altre parole iniziamo a costruirci delle mappe cognitive per orientarci nel mondo e delle mappe emotive che registrano l’impressione che le cose del mondo suscitano in noi. Secondo Freud la costruzione di queste mappe avviene nei primi sei anni di vita. Oggi le neuroscienze ci dicono che queste mappe raggiungono il loro compimento definitivo nei primi tre anni di vita. Non che a tre o sei anni si concluda la nostra conoscenza del mondo, ma certamente si conclude il nostro “modo” di conoscerlo.
 
Segue qui:
http://d.repubblica.it/dmemory/2016/03/26/lettere/rispondeumbertogalimberti/194lette20160326691940194.html 

GLI ORRORI DELLA GUERRA E IL “METODO” GANDHIANO: UN SAGGIO DI MASSIMO DI FORTI

di Renato Minore, spettacoliecultura.ilmessaggero.it, 27 marzo 2016
 
Ci sono saggi che tendono naturalmente a essere bulimici, l’una o al massimo le due idee su cui sono stati costruiti tendono a diluirsi, smozzicarsi, ripetersi fino alle due- trecento, ipertrofiche, pagine, fidando sull’efficacia della ridondanza, sul potere moltiplicatorio di una assai modesta dotazione di partenza. “Un futuro senza nemici” è di tutt’altra stoffa: il suo autore, Massimo Di Forti, giornalista culturale di razza, firma del nostro giornale che i lettori da anni ben conoscono, come saggista è asciutto, concentrato, anche essenziale mentre infilza come con uno spillo le sue idee.
Spinto dalla natura di lettore onnivoro di scienza, arte, psicoanalisi, filosofia , economia, massmediologia, va a segno e queste (molte) idee con cui alimenta “Un futuro senza nemici” sono intelligentemente miniaturizzate in un’ottantina di dense pagine. E lì, in quel format scandito in nove capitoli assai simmetrici, trovano la pista giusta in cui ognuna è chiamata a una performance d’eccellenza con interrogativi e scenari di discussione e dibattito che rendono assai viva la lettura , trascinata dalla passione e dalla competenza di chi l’ha scritto, per nulla improvvisata, di lungo corso.
 
Segue qui:
http://spettacoliecultura.ilmessaggero.it/libri/massimo_di_forti_orrori_della_guerra_libro-1635483.html 

I GENITORI PERFETTI NON ESISTONO

di Valentina Pigmei, internazionale.it, 27 marzo 2016
 
Se la vita dei genitori dovesse essere misurata in base alla popolarità di un modo di dire, questo sarebbe senza dubbio “come fai sbagli”, vero mantra di una madre oggi. Come fai sbagli è anche il titolo di una fiction di Rai Uno: la prima puntata è andata in onda domenica 20 marzo ed è già campione di share nonché hashtag di successo. Basata sul format francese Fais pas ci, fais pas ça, è la storia di due famiglie romane, una più liberal, gli Spinelli, che educano i figli all’insegna della fiducia reciproca, l’altra più conservatrice, i Piccardo. Gli uni si oppongono al modello di educazione severa ricevuta, gli altri lo riproducono. I primi si preoccupano che i figli siano “felici”, i secondi, come facevano i nostri genitori, esigono semplicemente che siano “bravi”. Le (apparenti?) differenze tra le due famiglie, vicine di casa, sono evidenti già dai nomi dei figli: Zoe e Diego da una parte; Giulio, Irene e Chiara dall’altra.
Ma è proprio così? Bastano dei nomi un po’ alternativi a fare la differenza? In ogni caso, il risultato non cambia: quando escono i quadri, i figli liceali di entrambe le famiglie hanno tutti tre debiti e decidono di lasciare la scuola per andare a lavorare. Il tema non è nuovo. Ricordate Carnage, il capolavoro di Roman Polanski in cui due coppie di genitori si incontrano e litigano per tutta la durata del film per colpa di un diverbio un po’ violento tra la loro prole? Il film, del 2011, tratto da una pièce di Yasmina Reza, metteva in luce il grado di follia dell’essere genitori nella nostra società, con un finale che ne era la metafora perfetta: i quattro genitori affranti e immobili nel salotto e i bambini che scorrazzano al parco riappacificati. Tuttavia non stupisce che il tema dell’educazione dei figli e dei dilemmi che ne conseguono conquisti oggi una larga fetta di pubblico – oggi più che mai, verrebbe da dire.
Basta fare un giro su internet per capire che è una vera ossessione collettiva: si moltiplicano in maniera esponenziale i corsi per genitori, i manuali, le “10 dieci regole per crescere figli felici”. In Francia c’è un centro di sostegno in una clinica di Montpellier per aiutare i genitori di figli tirannici. Del resto anche il padre Spinelli della fiction, quello apparentemente più alternativo, di mestiere giornalista web squattrinato, si mette in testa di scrivere un libro: “Manuale di autodifesa per genitori disperati”. Ma perché questi genitori (in altre parole noi) sono così ossessionati dalla felicità dei figli? Perché empatizzano con l’inadeguatezza, il vuoto esistenziale, le dipendenze dei loro ragazzi? “L’adolescenza è una malattia normale. Il problema riguarda piuttosto gli adulti e la società: se sono abbastanza sani da poterla sopportare”. A dirlo è stato nientemeno che lo psicoanalista inglese Donald Winnicott, quello della “madre sufficientemente buona” e del “falso sé”. Insomma a volte il problema dei figli sono i genitori. Vediamo come e perché.

Segue qui:
http://www.internazionale.it/opinione/valentina-pigmei/2016/03/27/famiglia-tecnologia-educazione-figli

PARLARE DI TERRORISMO AI FIGLI

di Giuseppe Maiolo, ladigetto.it, 28 marzo 2016
 
Spiegare ai bambini cos’è il terrorismo non solo si può, ma si deve fare
Spiegare in questo momento ai bambini cos’è il terrorismo non solo si può, ma si deve fare. Quando la paura e più ancora il terrore, circolano nella nostra mente, alimentati di continuo dalle immagini degli attentati e dalle notizie di possibili nuovi atti di terrore, abbiamo il dovere di tranquillizzare i nostri figli. Non è una cosa facile perché già gli adulti vivono una terribile stagione di ansia che sta facendo vacillare le sicurezze collettive, e sta modificando in modo consistente i comportamenti di tutti e la fiducia della gente. Ovunque domina l’idea che non siamo più sicuri da nessuna parte. Nei bambini l’angoscia è un’esperienza ancora più paralizzante. La loro lettura della realtà è fortemente condizionata dalle immagini a cui sono esposti, anzi sovraesposti.
 
Segue qui:
http://www.ladigetto.it/permalink/52662.html 

QUESTO BLOG CHIUDE. ECCO L’ULTIMO POST: PSICANALISI O PSICOTERAPIA?

di Marco Cavani, posta-del-cuore-d.blogautore.repubblica.it, 29 marzo 2016
 
Del disagio psichico si fanno carico sia la psicanalisi, sia le psicoterapie.
Fra le due pratiche, però, c’è un’enorme differenza.
Lo psicoterapeuta crede che ci si possa promuovere padroni del sapere e si possa intervenire con il senso a puntellare l’identificazione del soggetto. Insomma: quando il soggetto è dilaniato dal sintomo, il terapeuta si autorizza a essere colui che ha le chiavi dell’interpretazione, e spaccia quindi come senso universale il particolare taglio che dà lui alle cose. Operazione che in certi casi può procurare un effetto immediato ma effimero di sollievo.
Vediamo ora l’approccio psicanalitico. La psicanalisi evita accuratamente d’imboccare la strada del senso, perché è una strada che non finisce mai: si potrà sempre aggiungere altro senso al senso. Il senso è un oceano. E prima o poi i sintomi torneranno a galla.
Lo psicoterapeuta utilizza dosi massicce di suggestione: deve far passare il messaggio che il padrone del senso è lui. Mentre la psicoterapia lavora sul senso, la psicanalisi lavora sul godimento. Lo psicanalista si limita, cioè, a far capire che il sintomo è il godimento (seppur infernale) del soggetto. Meglio ancora: che il sintomo rappresenta l’unico strumento in dotazione al soggetto per recuperare il godimento (se vi è oscuro il concetto di godimento, provate a pensare alla simbiosi figlio-mamma da quando siamo nel grembo fino a quando cominciamo a parlare). Quando cominciamo a parlare il godimento è andato perduto, ma nella perdita qualcosa viene recuperato: il sintomo, appunto. Ciò che appare disfunzionale – il sintomo – è invece funzionale a colmare la perdita. La psicanalisi, dunque, non aggiunge altro senso al senso, ma cerca la causa del senso. Cominciando a parlare, il godimento si perde – qualcosa si pietrifica – e il sintomo, stampatevelo nella mente, non è altro che il nostro tentativo di recuperare quel godimento perduto.
Un’altra differenza: le psicoterapie sono infinite, mentre la psicanalisi arriva a un punto finale. “Parlate e starete meglio”, dice la psicoterapia. La parola diluirebbe dunque il peso del trauma, a sentire il terapeuta.
Segue qui:
http://posta-del-cuore-d.blogautore.repubblica.it/2016/03/29/ultimo-post-psicanalisi-o-psicoterapia/ 

GUERRE TRA POVERI. Come punire uno che si è fatto esplodere pensando di andare in uno splendido paradiso?

di Umberto Silva, ilfoglio.it, 30 marzo 2016
 
Il kamikaze di per sé non è un delinquente. Che l’amore per la propria patria possa spingere ad atti estremi è sempre avvenuto nel corso dei secoli. La salvezza o la gloria del proprio popolo potevano esigere questo sacrificio di sé e dell’altro, il gettarsi contro le schiere o le mura o le navi nemiche pur sapendo con certezza che si sarebbe morti. Muoia Sansone con tutti i filistei. Quella del kamikaze è la guerra dei poveri, di chi non ha altre risorse, di chi pensa che morendo potrà fare del male ai nemici e del bene ai propri cari; la qualcosa naturalmente è tutta da dimostrare.
Altrove il discrimine, e il crimine: nell’ammazzare con consapevolezza e determinazione civili, bambini, invalidi, donne e vecchi e malati e medici. E’ un delitto, un peccato mortale e un reato: ci sono religioni che condannano tutto ciò e leggi di guerra che dicono come non tutto sia permesso. Anche i soldati catturati in battaglia vanno rispettati, sicché la condanna di Karadzic a quarant’anni di prigione è una piccola pena rispetto alle stragi di prigionieri che costui ha perpetrato. Che poi sia psichiatra e paranoico al contempo, dice che non c’è sapere, vero o presunto, che preservi dall’odio. Aveva potenti smanie di purificazione dagli islamici, Karadzic, così come tanti islamici hanno smanie di purificazione dai cristiani. Grazie Adolf.
 
Segui qui:
http://www.ilfoglio.it/la-politica-sul-lettino/2016/03/30/kamikaze-estremismo-islamico-jihadisti-attentato-bruxelles-lahore___1-vr-140007-rubriche_c246.htm

UMBERTO GALIMBERTI: “SALVIAMO IL LAVORO CHE LA TECNICA HA UMILIATO”. Il filosofo al Mast protagonista oggi di un incontro su impiego e realizzazione di sé. E avverte: “Dobbiamo decrescere”

di Valerio Varesi, bologna.repubblica.it, 30 marzo 2016
 
TI guadagnerai il pane col sudore della tua fronte” disse Dio ad Adamo cacciato dal paradiso. Il lavoro fu la prima maledizione per l’uomo, ma ora è una benedizione quando lo si ha. E di lavoro si parlerà al Mast di via Speranza 42 che, con la fondazione Giangiacomo Feltrinelli, ha organizzato oggi alle 18,30 un incontro sul tema di cui saranno protagonisti il sociologo Stefano Laffi e il filosofo Umberto Galimberti (prenotazione obbligatoria sul sito http://www.mast.it).
Galimberti, lei ha molto approfondito nelle sue riflessioni il tema heideggeriano della tecnica che allontana l’uomo dalla propria umanità. Questo avviene soprattutto nel lavoro?
“Sì visto che facciamo coincidere la nostra identità con il ruolo. Il lavoro non come realizzazione di sé, ma come elemento funzionale alla tecnica e all’impresa. L’uomo diventa così sempre più simile alla macchina che non si ammala, non s’innamora, non rimane incinta… La tecnica è l’espressione estrema della razionalità e persegue il massimo dello scopo con il minor impiego di mezzi. Se questo è il comandamento, tutto ciò che ostacola tale obiettivo, ogni irrazionalità come i sentimenti, per fare un esempio, va eliminato”.
 
Segue qui:
http://bologna.repubblica.it/cronaca/2016/03/30/news/umberto_galimberti_salviamo_il_lavoro_che_la_tecnica_ha_umiliato_-136586645/ 

L’INTERVISTA. LO PSICOANALISTA LUIGI ZOJA. Non siamo capaci di dare il giusto senso alle cose, non siamo in grado di leggere i dati, di scorporare l’emotività dalla ragione. E allora, quando accadono crimini terribili…

di Francesco Comina, altoadige.gelocal.it, 30 marzo 2016
 
Non siamo capaci di dare il giusto senso alle cose, non siamo in grado di leggere i dati, di scorporare l’emotività dalla ragione. E allora, quando accadono crimini terribili come quelli di Bruxelles entriamo nel panico, leviamo l’ancora della demagogia, diamo fiato alle parole più irrazionali, facciamo leva sugli istinti più bassi e assolutizziamo ogni elemento che ci passi per la testa perdendo bussole e banderuole. Luigi Zoja è uno psicanalista che ha il vizio di entrare nel profondo dei problemi che attanagliano l’umanità. Non si ferma alla superficie, non risponde a comandi mediatici o a logiche commerciali. Scava, entra nella storia, confronta le notizie, analizza gli effetti psicologici, li compara ad altri, lavora sulle statistiche e cerca di avere una rappresentazione pluralistica e globale dell’informazione privilegiando le analisi del New York Times o della Süddeutsche Zeitung a quelle dei nostri quotidiani. Chi ha intenzione di seguirlo rimane affascinato dai suoi libri, alcuni dei quali hanno aperto comprensioni nuove sulla percezione dell’individuo con se stesso e con gli altri. Pensiamo a “La morte del prossimo” sulla fine della relazione con l’alterità intesa secondo il modello evangelico dell’amore per il prossimo o l’analisi ampia, forte, intensa sulla paranoia politica nel libro “La paranoia”, la follia che fa la storia o ancora la riflessione sulla violenza nell’opera dal titolo “Contro Ismene”. Considerazioni sulla violenza o le sue “Utopie minimaliste”. Ed è proprio nell’ambito dell’utopia che Luigi Zoja è stato invitato a parlare a Bolzano domani, giovedì, alle ore 18 alla Libera università dal Centro per la pace e dall’Upad con la sua Accademia del dialogo interculturale. Il tema è suggestivo: “Utopia, distopia, follia. La fame di nemici”. L’abbiamo intervistato.
Luigi Zoja, il terrore è tornato prepotentemente a colpire il cuore dell’Europa. Gli attentati di Bruxelles riaccendono il dibattito sulla sicurezza, sulla paura, sulla fragilità di un mondo interconnesso. C’è chi grida alla guerra, chi soffia sulla fuoco dello scontro religioso e di civiltà, chi se la prende con le politiche di apertura agli immigrati. C’è tutto e il contrario di tutto.
«Questa è la paranoia di cui parlo nel mio libro. Se prendiamo i dati reali degli attentati che si sono scatenati in questi ultimi anni in Francia e in Belgio ci accorgiamo che essi equivalgono a un quinto della percezione che si è insinuata nella testa del cittadino medio. La percentuale dei musulmani fanatici e pericolosi è infinitamente più bassa della percentuale di musulmani che vivono, girano e lavorano nei nostri Paesi in assoluta serenità e integrazione. Però se noi chiediamo a un cittadino medio cosa pensa dei musulmani dirà che sono tutti o quasi tutti pericolosi. C’è una sopra-valutazione della paura che crea i fantasmi dell’inconscio collettivo, un inconscio che si sente aggredito da una minaccia incombente da combattere con tutti i mezzi possibili. Ecco la paranoia che dorme in ciascuno di noi».
 
Segue qui:
http://altoadige.gelocal.it/tempo-libero/2016/03/30/news/l-intervista-lo-psicanalista-luigi-zoja-1.13212668
 

MASSIMO RECALCATI A “PANE QUOTIDIANO”

da rai.tv, 31 marzo 2016
 
Psicosi, nevrosi e perversione: sono queste le principali figure della psicopatologia alla base del lavoro di Jacques Lacan. A Pane Quotidiano, lo psichiatra Massimo Recalcati ripercorre il lavoro del suo maestro e la sua ripresa della lezione freudiana, ricordando che l’analisi è uno spazio radicale di libertà dove il soggetto può incontrare le impronte del proprio destino.

Vai al link per il video:
http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-2d641f38-746f-4e01-b4bf-7c7715e85f29.html#p=
 
 
I più recenti pezzi apparsi sui quotidiani di Massimo Recalcati e Sarantis Thanopulos sono disponibili su questo sito rispettivamente ai link:
http://www.psychiatryonline.it/rubrica/4545
http://www.psychiatryonline.it/rubrica/4788
 
Da segnalare anche la rubrica
"Mente ad arte, percorsi artistici di psicopatologia nel cinema ed oltre, di Matteo Balestrieri al link 
http://www.psychiatryonline.it/rubrica/4682
 
 
(Fonte dei pezzi della rubrica: http://rassegnaflp.wordpress.com

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