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MAURO PERCUDANI: La salute mentale in una grande città

9 Lug 19

A cura di Gerardo Favaretto

L’importanza della dimensione sociale del disturbo mentale è dimostrata da quanta rilevanza sia attribuita ai contesti nelle quali le persone vivono e al peso che questi contesti finiscono per avere nella espressività psicopatologica. Non si parla solo nel modo in cui i problemi si manifestano ma anche di come possono esser gestiti, delle difficoltà dell’interfaccia con i servizi nelle grandi aree metropolitane, dell’intreccio fra le condizioni di marginalità come essere senza casa, senza lavoro, vivere in contesti di violenza etc, uso di sostanze e disturbo mentale. 
A questo va aggiunto che i possibili utenti dei servizi per la salute mentale, e le necessità che questi esprimono, non corrispondono, se non in modo approssimativo, alla loro organizzazione convenzionale.
Il dogma della residenza per esempio cosi indispensabile ai Centri di Salute mentale e alle amministrazioni della AULSS ( i promo per sapere “ a chi tocca” i secondi per stabilire “chi paga” ) appare essere in evidente crisi di rappresentatività. I motivi sono diversi:
  • Nelle aree metropolitane vivono persone che stabiliscono provvisoriamente il loro domicilio per loro ragioni personali, ovvero vi son persone che non hanno più traccia di residenza e ancora vanno migranti, profughi, persone censite o invisibile alle anagrafi che per loro motivi o necessità si trovano in quei contesti
  • Famiglia e comunità, specie in queste aree sono costrutti in rapida e tumultuosa evoluzione. Anche fra chi è dotato di regolare residenza e sempre più frequente incontrare nuclei costituiti da un solo individuo che, perlappunto è solo, di una solitudine amplificata in alcuni momenti cruciali della vita come quello della vecchiaia. E i meccanismi della comunità sono evanescenti come evanescente è il concetto stesso di comunità. A fronte della necessità di interventi di supporto e prevenzione per le persone in difficoltà e a rischio per disturbo mentale solo poche esperienze si raccontano e sanno forniere stimoli e supporti a una discussione seria su quanto accade.
  • Questi fenomeni spingono i contesti sociali e istituzionali a chiedere vecchie e nuove forme di istituzionalizzazione. A creare luoghi dove collocare coloro che non possono stare in nessun posto, che non sono in nessun posto, e quindi o rimangono invisibili oppure debbono essere messi da “qualche parte”
In realtà ciò che accade nelle grandi aree urbane non è che il trailer di quanto prima o dopo accadrà ovunque, e che in parte sta già accadendo nel caso dei richiedenti asilo, anche in quei piccole città e paesi che caratterizzano alcune parti d’Italia.

Mauro Percudani lavora a Milano, è direttore del Dipartimento di Salute Mentale e delle Dipendenze dell’Ospedale di Niguarda e, precedentemente di altri DSM Lombardi. Attualmente coordinatore della SIP Lo (Società italiana di Psichiatria, Sezione Lombarda) è un osservatore attento di questi fenomeni, un esperto conoscitore del modello ella psichiatria di comunità.
Ha approntato un programma di formazione per gli operatori del suo DSM che affronta la questione della salute mentale ponendo attenzione ai temi dell’integrazione e della multidisciplinarietà e dedicando una specifica attenzione ad aree di bisogno emergenti quali gli stati mentali a rischio nei giovani, i disturbi psichici del periodo perinatale, la diffusione di nuove sostanze di abuso, le problematiche della salute mentali nella popolazione migrante. Rispetto a quest’ultimo tema, riporto quanto nel suo programma di formazione per il DSMD propone quest’anno:
 Il Servizio di Etnopsichiatria dell’ ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda di Milano nasce nel 2000, all’interno del Dipartimento di Salute Mentale, per rispondere alla crescente esigenza di fornire assistenza psichiatrica ad una popolazione straniera, proveniente da sempre più massicci flussi migratori che interessano la città. L’Ospedale di Niguarda, per tradizione e “vocazione” è sempre stato l’ospedale di riferimento per questa tipologia di bisogni. Da allora, il Servizio costituisce il punto di riferimento sul territorio milanese e lombardo grazie alla capacità di rispondere ai bisogni sociosanitari di un crescente numero di stranieri portatori di eclatante disagio psichico o in condizioni di forte vulnerabilità.

Gerardo Favaretto:  Quali sono gli interventi che nel tuo dipartimento si mettono in atto per sostenere la domanda si salute mentale che proviene da quella che viene definita “marginalità sociale “?
Mauro Percudani: Milano è una città che sta crescendo, evolvendo e modificandosi molto rapidamente, sia dal punto di vista economico che dal punto di vista sociale. Negli ultimi anni l’accelerazione di questo cambiamento si è avvertita in modo significativo. Nel corso di un decennio sono fortemente cresciute le opportunità, ma al contempo anche le marginalità.  Secondo un’indagine compiuta nel 2018, il numero di persone senza fissa dimora presenti a Milano si aggira intorno ai 2.600 (0,2% della popolazione). Il 73% è rappresentato da stranieri; le donne rappresentano il 6% delle persone senza dimora rilevate in strada. Nonostante il forte calo degli sbarchi avvenuto negli ultimi anni, l’Italia rimane uno dei principali punti di approdo di persone migranti nel Mediterraneo. Nell’ultimo decennio gran parte delle persone giunte in Italia si è fermata e ha formalizzato una richiesta di protezione. I migranti e i rifugiati ospitati a Milano in strutture di accoglienza si stimano essere circa 5.000. Oltre ad essere un luogo importante di “prima accoglienza”, Milano rappresenta anche uno dei principali punti di riferimento per la “seconda accoglienza”, grazie alle opportunità di integrazione che offre.  Nell’ambito di questa popolazione, la percentuale di persone portatrici di disagio psichico è molto significativa (40 % secondo le ultime stime).  Le cause possono essere rintracciabili nei percorsi migratori traumatici, nelle prolungate permanenze nei centri di accoglienza, nell’incertezza sui tempi e sui risultati delle domande di protezione, nella precarietà sociale (assenza di relazioni valide, difficoltà di ingresso nel mercato del lavoro) e nella difficoltà di accesso ai servizi sanitari.
Storicamente il Dipartimento di Salute Mentale dell’Ospedale Niguarda assolve la funzione di accogliere gli utenti con problematiche psichiche senza residenza in città, stranieri e senza fissa dimora.  Affrontiamo questo compito con progettualità specifiche dedicate agli homeless e ai migranti, popolazioni spesso portatori di situazioni psicopatologiche complesse che richiedono una presa in carico multidisciplinare nonché la possibilità di essere accompagnati nel loro processo di inclusione sociale e di autonomia da operatori il più possibile qualificati.
Anche se i cambiamenti in corso e lo scenario complessivo della società in questo momento storico mette in crisi il concetto di “comunità” a cui abbiamo fatto riferimento in passato, e la tendenza alla “individualizzazione” delle problematiche sociali rischia di non favorire l’atteggiamento di solidarietà e di assistenza nei confronti delle persone fragili, la rete sociale e territoriale di Milano è molto forte, sia la rete formale che la rete informale. I progetti dedicati a queste problematiche sono sostenuti da Regione Lombardia, dal Comune di Milano, da Fondazioni e finanziatori privati, e sono realizzati grazie alla collaborazione di Cooperative e Associazioni fortemente radicati nel territorio e con una lunga esperienza di collaborazione con i Dipartimenti di Salute Mentale cittadini
Gerardo Favaretto: Relativamente a questa domanda quanto è significativo l’impatto delle persone migranti, richiedenti asilo e in ogni caso di diversa provenienza culturale e linguistica?
Mauro Percudani: Il Servizio di Etnopsichiatria dell’attuale ASST GOM Niguarda di Milano nasce nel 2000, all’interno del Dipartimento di Salute Mentale, per rispondere alla crescente esigenza di fornire assistenza psichiatrica ad una popolazione straniera, proveniente da sempre più massicci flussi migratori che interessano la città, utenza che non avrebbe avuto accesso se non alle prestazioni di Pronto Soccorso o di ricovero. L’Ospedale di Niguarda, per tradizione e “vocazione” è sempre stato l’ospedale di riferimento per questa tipologia di persone. Da allora, il Servizio costituisce il punto di riferimento sul territorio milanese grazie alla capacità di rispondere ai bisogni sociosanitari di un crescente numero di stranieri portatori di eclatante disagio psichico o in condizioni di forte vulnerabilità. Il mandato del nostro Servizio, sostenuto da progettualità finanziate da Regione Lombardia, Comune di Milano e altri Enti istituzionali è quello di attuare percorsi di cura continuativi, garantendo sostegno psichiatrico, farmacologico, psicoterapeutico, socio-assistenziale, nonché la possibilità di partecipare a percorsi riabilitativi al fine di ridurre gli accessi al Pronto Soccorso ed i ricoveri in SPDC.  L’utenza del Servizio di Etnopsichiatria, attualmente, è rappresentata prevalentemente, da persone portatrici di disagio psichiatrico complesso, inviatici dai Pronto Soccorso e dai Reparti di psichiatria milanesi, da utenti vittime di traumi estremi e sopravvissuti a torture, inviati dalla Commissione Territoriale Richiedenti Asilo, dai Servizi del Comune, dalla Prefettura, dai dormitori, dalle agenzie del privato sociale.
Nel corso del tempo, il Servizio si è andato strutturando intorno ad una equipe formata da psichiatri, psicoterapeuti e psicologi tornati in senso etno-transculturale, vede la presenza di una assistente sociale e di tirocinanti, specializzandi in psicoterapia, in affiancamento agli psicoterapeuti senior. Il servizio opera in un’ottica di equipe multidisciplinare, utilizzando un setting transculturale ed avvalendosi della presenza di mediatori linguistico- culturali, la cui presenza è essenziale non solo per la comunicazione, ma anche per la comprensione della generale condizione di salute del paziente. L’efficacia del setting clinico è dunque, a nostro parere, strettamente legata alla presenza stabile e costante di tutti gli operatori coinvolti (medici, psicologi, mediatori) proprio perchè i nostri pazienti, in grande maggioranza giunti in Italia da poco, spesso reduci da percorsi migratori traumatici, richiedono un alto e specifico livello di attenzione alla matrice culturale di riferimento. Dal 2011 al 2018, l’utenza del Servizio di Etnopsichiatria è passata da 193 pazienti del in carico nel 2011 ai 273 del 2018 (di cui 185 maschi e 78 femmine). Nel solo 2018 sono stati presi in carico 120 nuovi pazienti. Dal 2011 ad oggi, abbiamo assistito ad in incremento percentuale degli uomini rispetto alle donne, fatto da attribuire ai paesi di provenienza, ed al fatto che la migrazione femminile ha caratteristiche particolari. A questi pazienti (ai quali viene posta diagnosi, in prevalenza, di PTSD e PTSD complesso) va aggiunto un numero crescente di persone che arrivano in Italia già con una patologia psichiatrica presentatasi nel paese di origine, e che necessitano, quindi, di un approccio ancor più attento e della formulazione di percorsi terapeutici e di integrazione – ove possibile – ancor più specifici. Un altro dato relativamente nuovo è la presenza, in questi ultimi anni, di pazienti analfabeti, per i quali i percorsi di apprendimento della lingua italiana, di accesso al servizio, sono ancora più complessi. Il campo della psico-traumatologia va, necessariamente, embricandosi con quello della psichiatria transculturale.
Gerardo Favaretto: Quale visione ha della comunità, del territorio un DSM che lavora in un contesto cosi densamente urbanizzato come Milano? E viceversa come viene visto il DSM in questo contesto?
Mauro Percudani: A livello cittadino il Dipartimento di Salute Mentale e delle Dipendenze di Niguarda è considerato una risorsa importante, principalmente per la capacità di garantire accessibilità alle cure a persone con problematiche complesse e per la capacità di portare innovazione nei percorsi di psichiatria di comunità.
L’autorevolezza del Dipartimento a livello cittadino è stata costruita in un percorso di oltre trent’anni di attività che ha visto tanti colleghi impegnarsi in progetti innovativi e di successo, e che in tanti casi hanno rappresentato imprese pionieristiche riconosciute successivamente dall’intera comunità scientifica. Penso all’esperienza di Piano Urbano, di Programma 2000, del Museo d’’Arte Paolo Pini (MAPP), degli attuali progetti sui disturbi perinatali, sui DCA, sull’etnopsichiatria.  In oltre trent’anni si sono succeduti alla guida del Dipartimento colleghi di straordinario valore del calibro di Alberto Giannelli, Antonio Guerrini, Angelo Cocchi, Arcadio Erlicher e Mariano Bassi. Ognuno di loro ha costruito innovazione attraverso progettualità che i colleghi di Niguarda hanno saputo mantenere e sviluppare nel tempo. Questa storia, per certi versi straordinaria, consente al DSMD di Niguarda di godere di attenzione e di credibilità, e consente di attrarre risorse per poter mantenere un livello elevato di intervento e di azione anche in un contesto impegnativo come quello con cui si confrontano i servizi per la salute mentale nell’attualità.
Oggi, la rete delle strutture che afferiscono al Dipartimento e la gran parte dei progetti attivi vede una costante collaborazione con cooperative e associazioni del privato sociale e del terzo settore che operano nel territorio e il pieno sostegno della rete istituzionale regionale e locale.
Due esempi concreti sono il Progetto “Piano Urbano”, nato oltre vent’anni fa e tutt’ora attivo che garantisce un servizio dedicato agli utenti in carico a tutti i centri di salute mentale di area milanese con diagnosi di disturbo mentale grave attraverso un intervento intensivo territoriale/domiciliare a valenza riabilitativa per la promozione di processi di recovery, e il Progetto “aMicittà”, finanziato da Fondazione Cariplo e avviato nel 2018, per sperimentare la metodologia del “budget di salute” e promuovere progetti di reale inclusione delle persone con disagio mentale in alternativa a soluzioni residenziali. Il Progetto prevede l’attivazione della comunità con azioni specifiche di coinvolgimento delle risorse territoriali (associazioni, privato sociale, ecc.) per creare opportunità di benessere e inclusione sociale dei beneficiari.
Vi sono poi i progetti che hanno come punto di forza la collaborazione e l’integrazione tra psichiatria e psicologia clinica e la rete delle strutture dell’area materno infantile e dei consultori territoriali. L’intervento sui giovani e adolescenti, avviato in modo pionieristico da Programma 2000, vede oggi un’equipe multi-professionale operare in un centro di salute mentale dedicato ai giovani, con percorsi specificamente dedicati all’intervento precoce nei disturbi mentali gravi e al riconoscimento e al trattamento degli stati mentali a rischio. Il Centro Giovani di Niguarda è uno dei pochi esempi di struttura psichiatrica accreditata dedicata esclusivamente alla fascia di età giovanile all’interno di una rete di strutture di un dipartimento di salute mentale pubblico e rappresenta, a mio avviso, un esempio positivo di specializzazione nell’area salute mentale. Altri progetti importanti riguardano la prevenzione. Il Progetto “Semola”, da anni attuato nei servizi psichiatrici territoriali del DSMD di Niguarda, ha l’obiettivo di sostenere la genitorialità negli utenti in carico ai servizi affetti da una sofferenza psichica. Da anni offre interventi preventivi a minori a rischio e alle loro famiglie al fine di incrementare i fattori protettivi, promuovere un sano sviluppo e ridurre il rischio di sviluppare disturbi mentali. Recentemente abbiamo pubblicato questa esperienza in un volume edito da Franco Angeli (Famiglie Sospese, Franco Angeli, 2019). La stessa filosofia ci guida nel sostenere i progetti attivi in ambito ospedaliero e territoriale dedicati alla prevenzione e cura dei disturbi psichici del periodo perinatale e ai disturbi del comportamento alimentare.
Queste esperienze positive sono portate avanti in un contesto che presenta comunque criticità sul fronte della capacità di integrazione tra servizi e della disponibilità di risorse da dedicare alla salute mentale. Da anni, le indagini epidemiologiche disponibili nella letteratura scientifica, e fatte proprie dai più importanti organismi internazionali, dicono il bisogno di salute mentale nella popolazione è estremamente significativo e che vi è un gap enorme tra persone che necessitano di assistenza e persone che la ricevono. Molti lavori scientifici dicono che investire in salute mentale ha un ritorno in termini di beneficio sociale più che in qualunque altra area di intervento sanitario. E’ necessario sollecitare l’intera comunità nel sostenerci nella ricerca di nuove fonti di finanziamento ed è necessario che l’intero mondo della salute mentale sappia muoversi in modo unitario nella richiesta di nuove risorse per affrontare gli obiettivi prioritari e più urgenti.
Gerardo Favaretto: Quali son le leve relativamente alla cultura degli operatori e alla organizzazione dei servizi su cui e necessario puntare per dare risposte coerenti ai bisogni di salute mentale di questa popolazione
Mauro Percudani: Da sempre la salute mentale si identifica, per storia e statuto epistemologico come un’area “di confine”, come un ambito di collaborazione tra discipline diverse in grado di muoversi tra ambito sanitario e psicosociale. L’area della salute mentale rappresenta storicamente un ambito di lavoro ricco di integrazioni tra discipline e professionalità diverse, tra percorsi di cura ospedalieri e territoriali, tra interventi sanitari e sociali. I servizi che operano nel campo della salute mentale danno risposte ad un ambito estremamente vasto di bisogni, che riguardano diverse età della vita e problematiche cliniche differenziate in termini di gravità e diffusione nella popolazione.
Riguardo alla cultura degli operatori è necessario sostenere le equipe che operano nei servizi per la salute mentale con ampi programmi di formazione e aggiornamento, mettendo al centro i nuovi bisogni e le problematiche attuali che si incontrano nella clinica. Il DSMD di Niguarda ha avviato quest’anno un ampio programma formativo che abbiamo chiamato “Niguarda for Mental Health 2019” (consultabile e scaricabile dal sito:  www.ospedaleniguarda.it > “Formazione”> Formazione executive)  attraverso il quale abbiamo creato opportunità di formazione e aggiornamento  agli operatori della salute mentale e dei servizi territoriali su tematiche differenziate, che riguardano la presa in carico del paziente con disturbo mentale grave, la prevenzione e l’intervento precoce, la riabilitazione e gli interventi psicosociali, l’integrazione tra psichiatria e psicologia clinica, l’individuazione di situazioni di particolare fragilità nel periodo della perinatalità (gravidanza e postparto), i percorsi di cura dedicati ai pazienti stranieri, di ambito multiculturale e alla drammatica condizione della sofferenza psicologica derivante dai flussi migratori. Inoltre, alcuni esperti di fama internazionale parteciperanno a seminari per approfondire le problematiche più attuali in discussione nel mondo scientifico riguardo alla salute mentale, quali gli stati mentali a rischio nei giovani e adolescenti, le nuove droghe, il drammatico fenomeno del suicidio.
I diversi eventi formativi che si sviluppano nel corso del 2019 sono accreditati per tutte le professionalità che operano nei servizi di salute mentale (medico, psicologo, infermiere, educatore e TERP, assistente sociale) e sono aperti ad operatori di altri servizi ospedalieri, ai medici di medicina generale, ai pediatri di libera scelta e agli operatori dei servizi sociali, delle cooperative e del mondo delle associazioni che intendono approfondire e discutere modelli innovativi di assistenza dedicati a soggetti che soffrono di disturbi psichici e più in generale alla tutela della salute mentale della popolazione. Questa azione ha avuto uno straordinario riscontro da parte degli operatori dei servizi e dell’intera rete cittadina che opera nell’ambito della salute mentale.
Riguardo alla organizzazione, ritengo invece che nel nostro Paese vi sia un enorme ritardo nella necessità di ripensare e riorganizzare i servizi per la salute mentale superando i confini costruiti oltre trenta anni fa e oggi assolutamente non più attuali. Un esempio eclatante riguarda l’intervento nell’area giovanile e adolescenziale dove le competenze e le professionalità di operatori che operano nei servizi di psichiatria, psicologia clinica, neuropsichiatria infantile, servizi delle dipendenze, si trovano ancora a svolgere la propria azione in ambiti clinici differenziati e talvolta poco collaboranti. In quest’area è urgente pensare a nuovi servizi multidisciplinari e integrati che mettano al centro il tema della prevenzione e dell’intervento in una fascia di età unitaria che vada dai 14 ai 24 anni.  Alcune esperienze sperimentali in questo senso sono già avviate e sono positive. In assenza di un pensiero complessivo di riorganizzazione dei servizi, il rischio è che il cambiamento avvenga in modo disordinato, disomogeneo e senza la necessaria programmazione. 
Alcuni elementi positivi in campo tuttavia ci sono e riguardano diversi esempi di leggi e normative regionali sulla tutela della salute mentale che prefigurano scenari nuovi. Nel 2016 Regione Lombardia ha approvato una legge di riordino dell’area salute mentale, dalla quale sono nati i dipartimenti di salute mentale e delle dipendenze, e che definisce importanti obiettivi di sviluppo e di integrazione. E’ necessario ora che il sistema sappia raggiungere gli obiettivi previsti dalla Legge.
 
Gerardo Favaretto: Quanto cambia questo tipo di domanda il lavoro dello psichiatra e la sua necessità di collaborare con altre figure, in particolare con quelle che hanno professionalità in ambito sociale ?
Mauro Percudani: Nell’ambito dell’area salute mentale, la psichiatria è ancora oggi la disciplina più forte, con più strutture, più operatori e maggiori responsabilità cliniche. Negli ultimi anni ha affrontato problematiche gravose, ed è stata capace di fare fronte all’emergenza del disagio giovanile, all’incremento dei disturbi emotivi comuni e di adattamento riconducibile all’emergenza sociale e alla crisi economica, alla crescita delle situazioni acute di intossicazione e abuso di sostanze in comorbidità con disturbi psichici, alla chiusura degli OPG, alla presa in carico di pazienti autori di reato.
La complessità della situazione attuale è legata al gap tra dimensione dei bisogni emergenti e risorse disponibili, che particolarmente in alcune aree geografiche si associa alla difficoltà di reclutamento degli psichiatri, degli psicologi e di altre figure professionali con esperienza nel campo psichiatrico. L’insieme di questi fattori genera il rischio di una crisi di identità e di una tendenza alla deresponsabilizzazione.  Questa situazione deve essere affrontata e risolta sul piano culturale e organizzativo. A mio avviso è necessario evitare l’autoreferenzialità e ogni tipo di chiusura in una logica difensiva professionale o burocratica. E’ invece necessario accettare la sfida dei nuovi bisogni e favorire l’accessibilità degli utenti nei servizi. E cercare nuove risorse e nuove fonti di finanziamento favorendo in ogni modo la collaborazione degli psichiatri con le altre discipline e le altre professionalità, con la consapevolezza che per esperienza, competenze, e capacità scientifica, la psichiatria è la disciplina che meglio di ogni altra può favorire l’integrazione nell’area salute mentale.
Riguardo all’ambito sociale, nell’ultimo decennio ha subito una contrazione di risorse ancora maggiore che quanto è avvenuto nell’ambito sanitario. A seguito di ciò, tante esperienze positive di collaborazione tra servizi di salute mentale e servizi sociali hanno rischiato di essere disperse. L’esempio positivo della città di Milano è quello di investimenti per la collaborazione tra servizi di salute mentale e realtà del terzo settore per la costruzione di progetti principalmente rivolti al sostegno e inclusone sociale degli utenti dei servizi psichiatrici. Questa collaborazione è risultata feconda ed estremate utile a portare innovazione in una rete di servizi fondati sui principi della psichiatria di comunità.

 

 
 

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