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Mestiere di tenebre: quel che succede tra le mie e le tue parole

30 Ott 17

A cura di Maria Ferretti

Mentre lavorava nei laboratori di Los Alamos nel 1950, alla mensa del laboratorio Enrico Fermi prese parte a una conversazione con alcuni colleghi, tra cui Edward Teller. La conversazione verteva su un recente avvistamento di UFO riportato dalla stampa, preso in giro da una vignetta satirica.
La conversazione si protrasse su vari argomenti correlati, finché improvvisamente Fermi esclamò: «Dove sono tutti quanti?» («Where is everybody?»).
Il paradosso di Fermi sorge nel contesto di una valutazione della probabilità di entrare in contatto con forme di vita intelligente extraterrestre.

STELARC: TERZO ORECCHIO (2007)
 
Siamo soli in stanza d'analisi o c'è qualcuno con noi?
Siamo noi e noi, o siamo noi e l'altro?
Esiste qualche altra forma di vita oppure la vita siamo noi?
Quando ero più giovane pensavo ingenuamente che la cura consistesse soprattutto nella relazione tra analista e paziente, cosa che ancora penso però con sfumature differenti.
Penso che il controtransfert ovvero ciò che è inconscio in noi analisti e che si gioca nei confronti dell'inconscio del paziente possa esser paragonato al concetto di riverbero in acustica ovvero a un'azione di rimbalzo dell'onda sonora contro un ostacolo, un "muro" .
Il controtransfert come "muro riverberante".
Per eliminare il riverbero del suono in uno spazio si utilizzano pareti fonoassorbenti in modo tale che il suono non crei disturbo.
 Ma il nostro muro non deve avere pareti che lo eliminano il riverbero poiché esso produce la percezione della profondità del suono e  del discorso oppure mette in mostra un disturbo una interferenza. In analisi ciò che è disturbo o inciampo può essere la prima traccia da seguire nel linguaggio aggrovigliato dell'inconscio.
 Il muro non può avere pareti fonoassorbenti troppo spesse altrimenti ciò che rimbalza è il nulla. Qualcuno direbbe che è questo nulla con cui dobbiamo fare i conti. Ma per qualcuno il nulla è sempre esistito fin dalla nascita ed allora ci vuole molta attenzione sull'uso appropriato "delle pareti fonoassorbenti"!
In analisi l'udito dell'analista deve avere le caratteristiche più vicine a quelle dell'orecchio di una madre con il suo piccolo: un sentire che ha a che fare con l'interpretazione di segni e suoni che creano una percezione polifonica dell'altro.
Ogni paziente una polifonia. Mi viene in mente la canzone di Jannacci, "Perché ci vuole orecchio" :
 
Perché` ci vuole orecchio
bisogna avere il pacco
immerso, immerso dentro al secchio,
bisogna averlo tutto,
anzi parecchio…”
 
Si bisogna avere il pacco immerso metterci il pacco per sentire!
Esser dentro significa "sentire che li ci siamo anche noi" . Sentirlo!
Sentire i nostri pensieri soprattutto.
Sentire il ritmo del nostro pensare le nostre interferenze.
Sentire e differenziare, sentire e differenziare, sentire e differenziare mi disse l'orecchio del vecchio. E poi amalgamare.
Un operazione complessa e stancante.
Freud la chiamava "perlaborazione" un lavoro continuo di impasto scrive Alberto Semi.
Alla fine della seduta ci si deve sentire un po' stanchi. Sempre un buon segno per noi e per il paziente.
Eh si "lavorare stanca" diceva Pavese .
La stanchezza è la misura del nostro lavorare in silenzio, scegliendo con "cura" le parole i gesti e i suoni' . Ogni paziente un gesto, un suono, un ascolto diverso . Ogni paziente un pezzo di noi che riverbera tra la nostra parete curata e la nostra parete "non curata".
L'oscillazione tra le nostre due pareti è creativa e produce sempre nuovi legami tra tracce presenti e passate. L'atto creativo dell'oscillazione dell'analista produce la percezione della profondità, del movimento, del tempo della parola che traccia la via d'uscita da un tempo passato .
L'atto creativo del sentire bene dell'analista produce una traccia da percorrere, una traccia di movimento, una traccia di vita. Finalmente si sa dove si desidera andare, finalmente ci si orienta. Finalmente si torna a casa propria.

Francisca Aguirre detta anche Paca classe 1930, nata ad Alicante. Figlia della guerra una delle voci poetiche più belle della Spagna, ha iniziato la sua produzione artistica dopo i 40 anni, ed è forse la poetessa della memoria e di ciò che "resiste " quando ti han tolto tutto.
 Un resto di dittatura. Infanzia immersa nella guerra, solo due cose le erano rimaste la parola e la musica.
Il Flamenco il primo pianto della prima notte , ostinato come i Semi , Flamenco come resto di vita ostinata.
Poeta resistente, poeta della sopravvivenza . Si, perché alla fine ciò che rimane son le parole i suoni, tratti primordiali della nostra esistenza. Riverberi come ricordi di una vita che fu.
 La traduzione fa parte del libro “Paesaggi di carta” (Multimedia Edizioni).
Ed ecco come la poesia riesce a descrivere bene per me ciò che è il lavoro dell'analista in rapporto al paziente.
 
 
 
Mestiere di tenebre
di Francisca Aguirre

 
Questo mestiere, Dio mio, così precario
di andare coniugando sguardo e verbo,
questo mestiere così ambizioso e scarso,
così a tentoni, così nell’ombra
che insegue la luce come un annegato,
questo mestiere di viscere che ignorano
e tuttavia sentono,
questa rivoluzione di trogloditi
in cerca dell’unione tribale,
Dio mio, che audacia irrimediabile,
che destino necessario
trasmettere la vita di bocca in bocca,
difendere l’albero come fosse un uomo
e difendere l’uomo come fosse un pianeta,
come un astro da cui dipende
l’equilibrio della costellazione,
Signore,
e difenderlo con onomatopee,
con sillabe, parole.
Parole nient’altro, gemiti, lamenti.
Che mestiere, fratello, che impresa.
Che mestiere tanto umile e ambizioso,
che meta irraggiungibile,
che bel mestiere
a cui dedicarsi tutta la vita
 

 
 
 

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1 commento

  1. maveardo

    D’accordo su tutto nella
    D’accordo su tutto nella sostanza e nella forma! E già, esiste anche la psicoanalisi-psicoterapia-psichiatria del nulla, dell’ascolto vuoto, della mancanza di riverbero. Esiste anche la poesia del nulla, dei poeti poetanti, diceva Sanguineti. Esiste la relazione anemica e un po poco umana.
    Allora viva la relazione che riverbera, che aggiunge senso a partire da frammenti di emozioni e di storie e costruisce rinnovamento. Come la poesia della sopravvivenza, della resistenza a tutti gli oltraggi della vita, che spesso senza colpe ci sommergono, soprattutto i più vulnerabili fra noi.
    Trasmettere “la vita di bocca in bocca, difendere l’albero come fosse un uomo( e l’uomo come fosse albero, l’uomo come fosse un pianeta”. Coniugare sguardo e verbo, senso e suono, come fa la madre, sufficientemente buona, con il bambino quando rimanda senso vitale ai primi vagiti e legge nelle prime lallazioni, l’origine delle parole e della musica; o l’inventa. Come disse l’argentino Racker, uno dei più grandi studiosi del controtransfert e della psicoanalisi del ‘900.
    Che bel mestiere a cui dedicarsi tutta la vita, senza mai dimenticare coloro che hanno perso la parola, anche perché a loro la parola è stata negata.

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