“Povero come un gatto del Colosseo”, solo, “come i cani nella Chiesa”, in questa dimensione semi-umana di psichiatra semi-giovane, mi aggiro tra i resti di servizi psichiatrici pubblici smantellati, respirando l’aria di smobilitazione generale della sanità italiana. Come i pastori nomadi kirghisi che ispirarono Leopardi, mi ritrovo per nascita e stato in una sopravvivenza vagabonda, in continua migrazione tra anni universitari dolenti, anni di specializzazione violenti ed una rassegnazione che prendo a calci come un vecchio e sgonfio Super Santos. Un bambino invecchiato che in modo oppositivo-provocatorio cerca di proteggere la candela fragile del senso, di un lavoro subordinato, di una quotidianità sospirata. Di questa professione paradossalmente frantumata pur non avendo mai avuto forma. Atomizzata in metanalitiche cyber-convinzioni, promettenti intuizioni psicoterapeutiche, autoritarie critiche socio-ideologiche. Un disincantato che vorrebbe avere “l’ale da volar su le nubi” e guardare dall’alto questa pozzanghera lacustre in cui si è impantanato il suo vecchio sogno, entrare nelle case illuminate, nutrirsi di storie, ricucire le trame lise delle vite degli altri.
Ma forse erro dal vero. Forse lo sguardo della mucca che guarda il treno passare non è la nostra immagine-simbolo. E allora proviamo a fare massa d’urto, a partecipare, senza indifferenza, a condividere, storie, riflessioni, considerazioni pratiche. Ad uscire dalla noia dell’isolamento, scambiando le minime esperienze. Aspettando che dalla palude nasca un terreno fertile per il cambiamento.
Citando Kürnberger, nella sua Minima Moralia, Adorno scriveva che la vita non vive. Che siamo una società inumana. Ma chissà, forse l’uomo nasce a fatica, ma nasce, non solo al termine dei nove mesi.
Ma forse erro dal vero. Forse lo sguardo della mucca che guarda il treno passare non è la nostra immagine-simbolo. E allora proviamo a fare massa d’urto, a partecipare, senza indifferenza, a condividere, storie, riflessioni, considerazioni pratiche. Ad uscire dalla noia dell’isolamento, scambiando le minime esperienze. Aspettando che dalla palude nasca un terreno fertile per il cambiamento.
Citando Kürnberger, nella sua Minima Moralia, Adorno scriveva che la vita non vive. Che siamo una società inumana. Ma chissà, forse l’uomo nasce a fatica, ma nasce, non solo al termine dei nove mesi.
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