di Silvia Fois
Vorrei aprire questa rubrica con un approfondimento su una tipologia di Neurofeedback non ancora molto diffusa in Italia, il Neurofeedback con le InfraSlow Fluctuations. Le ISF sono delle onde cerebrali, più propriamente degli oscillatori, molto lenti: sotto lo 0.1Hz.
Solo da pochi decenni alcuni tra gli amplificatori in commercio sono in grado di misurarli e di utilizzarli per il lavoro con il Neurofeedback.
Il metodo prevede l’individuazione di una Frequenza Ottimale all’interno della banda ISF, che è unica per ogni individuo. Questa Frequenza viene utilizzata durante il training e l’impatto è evidente anche durante la singola sessione.
Il lavoro con le ISF ben si sposa con il lavoro clinico in Psicoterapia e consente una profonda regolazione a livello di Sistema Nervoso Autonomo. Molto utile quindi per coloro che presentano un quadro clinico accompagnato da disregolazione a livello Autonomico, ad esempio le persone con disturbi dell’ Umore, Trauma Psichico, Disturbi Dissociativi, disturbi del Sonno, disturbi a carico dell’Apparato Digerente, Dolore Cronico, Autismo ecc.
Ho intervistato colui che ha sviluppato il metodo, Mark Smith. Mark è stato anche uno degli sviluppatori, insieme a Thomas Collura, e dei primi utilizzatori nella clinica per quanto riguarda il Neurofeedback con gli Z-scores. Dirige il centro Neurofeedback Services of New York.
Ciao Mark, sono molto felice che tu abbia accettato questa intervista, spero davvero che possa aiutare il Neurofeedback ISF (Infra Slow Frequencies) ad essere maggiormente conosciuto in Italia. Sto apprezzando molto questo metodo, e anche i miei pazienti! Penso sia uno strumento prezioso da avere nella “cassetta degli attrezzi” di un clinico che lavora con il Neurofeedback.
Vorresti presentarti? Qualcosa sul tuo percorso personale e professionale, so che è molto interessante.
Grazie Silvia per l’opportunità di questa intervista. Tu hai seguito i miei workshops, c’è anche qualcun altro in Italia che ha partecipato, spero davvero che possiamo diffondere maggiormente ISF nel mondo attraverso questa intervista!
Ho cominciato con il Neurofeedback 21 anni fa.
Era l’inizio del nuovo millennio quando ho cominciato a orientarmi prima al Biofeedback e poi al Neurofeedback, perché avevo l’emicrania. In particolare avevo l’emicrania a grappolo. Molte persone non la considerano una vera e propria emicrania, comunque era una sofferenza davvero debilitante. Ho provato a prendere farmaci, ho fatto yoga, meditazione, tutto quello che potesse aiutarmi ad alleviare il dolore. Qualcosa ha funzionato ma nulla toglieva davvero il dolore. E’ qui che ho cominciato a fare un po’ di Biofeedback e Neurofeedback per cercare di gestire questa sofferenza.
Era l’inizio del nuovo millennio, ho studiato con gli Othmer e BrainMaster e loro al tempo stavano utilizzando un approccio in cui si muovevano fra diverse frequenze. Io ero partito da un protocollo con la banda 12-15Hz ma mi faceva sentire malissimo! Quindi ho portato la loro attrezzatura a casa e ci ho giocato un po’, ho scoperto che mi sentivo molto meglio quando andavo giù con le frequenze. Così ho continuato ad andare sempre più giù.
Col tempo ho realizzato che avrei potuto andare ancora più giù di quanto potessero andare loro, perché avevo un altro tipo di amplificatore. Loro avevano un EEGer, io avevo un BrainMaster che ha una frequenza cutoff più bassa. Per quelli che non sanno cosa significa, è la frequenza minima che un amplificatore può raggiungere. Quindi sono potuto andare più giù come Frequenze ed è stato davvero utile per me e per i miei clienti. E semplicemente ho continuato a farlo.
A quel tempo facevo una terapia basata sul dialogo. Ho cominciato ad associare il Neurofeedback nella mia pratica, introducendo allo stesso tempo anche lo Z-score Neurofeedback, ed ho capito che molte persone guarivano più velocemente se facevamo talk-therapy integrata col Neurofeedback. Consentiva un processo molto più veloce.
Piano piano mi sono spostato dalla pratica della talk-therapy al lavoro unicamente con Neurofeedback ma allo stesso tempo mi accorgevo che più andavo giù con le frequenze nel mio lavoro con le Infraslow, più il segnale si appiattiva, si muoveva pochissimo. Questo era un problema perché i bambini, con cui lavoravo molto all’epoca, si annoiavano, e anche gli adulti. Sai all’epoca non avevamo la possibilità di usare i DVD come feedback, quindi loro si annoiavano, non c’era molta azione visto che il segnale non si muoveva. A quel punto BrainMaster mi ha dato un amplificatore Atlantis, e quell’amplificatore aveva la capacità di associare la Corrente Alternata (AC), che è quella delle Frequenze Infraslow, con la Corrente Continua (DC). Quindi avevo a disposizione entrambi i tipi di corrente: una solitamente più indicata per i motori o i dispositivi che noi solitamente usiamo (AC), una utilizzata più per l’illuminazione e via dicendo (DC).
Grazie al mio background come elettricista -l’ho fatto per anni prima di diventare uno Psicoterapeuta- ho capito che avrei potuto metterle assieme, e questo avrebbe potuto rendere il segnale delle ISF più vivo, che è ciò che è successo. Quindi ho cominciato a utilizzare questa modalità ma a questo punto il segnale era molto scostante, molto difficile da usare, perché il segnale DC è molto molto ampio. Perciò ho lavorato con Tom Collura in BrainMaster per qualche tempo e abbiamo riorganizzato il segnale DC nel processo di amplificazione, rendendolo così più maneggevole.
Finalmente ho potuto sviluppare un metodo per l’utilizzo e in qualche anno, come tu sai, ho sviluppato una procedura sistematica per trovare la Frequenza Ottimale di ogni persona.
Dopo abbiamo sviluppato l’approccio con sLORETA (standardized Low Resolution Electromagnetic Tomography) , che non si basa sull’ottimizzazione della frequenza specifica all’interno delle ISF ma utilizza l’intera banda.
Questa cosa ha portato a tanta ricerca, c’è già un quantitativo interessante di studi, e speriamo di farne ancora. Insomma sembra che il Neurofeedback con le Infraslow stia decollando un po’ ovunque a livello mondiale. Molto in Europa, come tu sai in Germania, spero presto in Italia, ci sono clinici in Spagna ed in Inghilterra che sono formati in ISF. Spero davvero che riusciamo a diffondere la tecnica perché è qualcosa che sento fortemente e soprattutto la ricerca sta sostenendo questa sensazione, confermando ISF come strumento importante per il lavoro col Neurofeedback. Abbiamo visto per esempio che le Infraslow sono molto implicate in una tipologia di comportamenti, diciamo quelli maggiormente dettati dall’attivazione del Sistema Nervoso Autonomo, regolando quest’ ultimo in maniera davvero profonda. Per questo è stato molto importante per i miei clienti.
Potresti spiegare in breve cosa sono esattamente le ISF?
Sì, sai c’è molto dibattito su questo nel campo, e sta ancora evolvendo. Ad esempio si indaga su quali cellule del cervello le producano. Le producono anche i neuroni? Sono solo le Glia a produrle? C’è anche qualche disputa su questi temi. In realtà mano a mano che la ricerca viene fuori e gli studi aumentano sempre più, appare sempre di più chiaro che siano prodotte sia dai Neuroni che dalle Glia.
Hanno una funzione pervasiva nella corteccia, che organizza il modo in cui la stessa corteccia viene eccitata e il modo in cui si calma, quindi come i neuroni “sparano” o come invece si calmano, la loro eccitabilità. Quindi, quando lo stimolo viene presentato, certe parti del cervello vengono eccitate nel connettersi delle Infraslow con quella specifica area, poi si calmano quando la persona entra maggiormente in un contatto con se stessa.
Questa è solo una delle funzioni di ISF, ce ne sono molte altre che abbiamo scoperto, per esempio sono strettamente implicate nelle risposte Autonomiche, e la prima persona che l’ha scoperto era una donna, una ricercatrice nell’ Ex Unione Sovietica, che si chiamava Nina Aladjalova. Ora è deceduta ma stava conducendo le sue ricerche negli anni ’50, tanto tempo fa. E lei ha associato le ISF con la risposta Autonomica nel senso di risposta di riparazione che il cervello provava a generare. Lavorava con gli animali, quando erano feriti lei trovava che l’ Ipotalamo divenisse molto attivo, e l’ Ipotalamo si attivava per l’attivarsi delle Infraslow!
Questa è una descrizione limitata di cosa sono le ISF ma sembra ad esempio dalle ricerche che abbiamo condotto recentemente sul craving, in donne in sovrappeso, che ci sia una correlazione tra le Infraslow e frequenze più alte. Abbiamo trovato che le frequenze più alte siano incorporate nelle Infraslow e quando queste cambiano la fase, anche le frequenze alte salgono e scendono. Quindi c’è una connessione tra questa attività ISF e processi che accadono costantemente nel cervello.
É qualcosa che si può vedere molto bene durante le sessioni, la risposta Autonomica che cambia, che reagisce al training.
Si puoi notarlo visivamente! Si vedono le guance dei pazienti che cominciano a diventare rosa, si vedono i muscoli del loro viso e delle loro spalle lasciarsi andare, il loro respiro che rallenta. Dei cambiamenti molto profondi.
In quali situazioni cliniche pensi che lavorare con ISF faccia davvero la differenza?
Penso che mano a mano che capiamo meglio cosa accade nei diversi tipi di Neurofeedback, possiamo capire come usarli nel modo più efficace. Per esempio abbiamo fatto diverse ricerche con training di ISF e il training di SMR. Quello che abbiamo scoperto è quello che hai appena descritto: abbiamo monitorato il training con i sensori per il Biofeedback e i parametri si abbassavano, il ritmo cardiaco rallentava, le mani si scaldavano, la variabilità cardiaca cambiava di frequenza, la conduttanza cutanea diminuiva indicando il rilassamento e l’attivazione della risposta Autonomica. Mentre lavorando con SMR questo non accadeva. Questo non significa che lavorare con SMR non sia efficace, ma che si sta lavorando con processi fisiologici completamente diversi. Quindi questo è quello che possiamo dire al momento, vorremmo utilizzare ISF come fondamento del lavoro con il Neurofeedback. Quando ad esempio un paziente arriva ed è molto ansioso, o profondamente depresso, potremmo usare ISF per primo e poi seguire con altre forme di Neurofeedback. Perché sappiamo che impatta sul Sistema Nervoso Autonomo, e vogliamo prima che il paziente sia regolato a questo livello, per poi passare magari ad altri tipi di lavoro.
Come hai detto prima, anche sLORETA con ISF sta portando a sviluppi interessanti. Qual è il valore aggiunto di lavorare con sLORETA per quanto riguarda ISF? Come sai nella quotidianità è più impegnativo lavorare con la cuffia multicanale, è più costoso, richiede tempi maggiori per collocare i sensori.. quindi sLORETA cosa aggiunge a ISF, o cosa consente di fare?
Sì stai parlando della differenza tra il training in bipolare, per quanto riguarda il montaggio dei sensori, e sLORETA che richiede invece i 19 canali, la “full cap”. In parte mostrano effetti simili, perché anche con sLORETA si lavora con il Sistema Nervoso Autonomo e ci sono delle ricerche che lo stanno dimostrando, ed è anche quello che stiamo vedendo nella pratica clinica quando monitoriamo con i sensori per il Biofeedback: il respiro si fa più profondo, le mani si scaldano, si riduce il sudore, le persone cominciano a rilassarsi, il segnale HRV indica rilassamento più profondo, questo ci dice che sono processi molto simili. Come tu hai suggerito sono però metodologie molto diverse e lavorando con sLORETA in realtà si lavora in modo più simile a come si lavora con il Neurofeedback tradizionale, nel senso che, mentre lavorando con ISF “bipolar” lavoriamo per cercare la Frequenza Ottimale, non ci interessa se il segnale va su o giù, con ISF sLORETA cerchiamo invece di promuovere un innalzamento di ISF, utilizziamo una Threshold (soglia) per decidere quando il paziente va premiato, insomma molto più come facciamo durante i training con il Condizionamento Operante tradizionalmente, come ad esempio quando lavoriamo con SMR, con Z-score training o altri tipi di protocolli classici di Neurofeedback.
Per cosa pensi sia più indicato?
Non so se sia più indicato per qualcosa in particolare, ma voglio dire che le ricerche che stanno venendo fatte al momento in Nuova Zelanda sono state molto utili per noi in termini di popolazioni cliniche. Saranno pubblicate delle ricerche sul dolore cronico l’anno prossimo, delle ricerche sui disturbi dell’umore, quindi ansia, depressione, che stanno rendendo evidente che ISF sLORETA potrebbe essere la seconda cosa che scegliamo di fare quando il nostro lavoro con ISF bipolare non sia stato completamente efficace.
Potremmo utilizzarlo per specifici tipi di protocolli, ad esempio al momento stiamo lavorando a quello che chiamiamo ISF-C, cioè ISF Cognitive. E’ un approccio davvero interessante dove si introduce un lavoro di tipo cognitivo durante il training di Neurofeedback. Il paziente fa degli esercizi al computer mentre è esposto a un protocollo di tipo cognitivo con ISF sLORETA, che lo aiuta con il lavoro che sta facendo al computer. E’ molto efficace clinicamente, dobbiamo ancora pubblicare le ricerche ma sembra molto promettente.
Un aspetto importante è che, non essendoci il processo di ottimizzazione, sLORETA in qualche modo è più facile da impostare. Quindi mentre dal punto di vista tecnico è più impegnativo posizionare i 19 sensori per sLORETA, il bipolare richiede un lavoro maggiore nel trovare la Frequenza Ottimale del paziente.
Quindi le due cose sono in qualche modo diverse ma molto simili, penso che alla fine troveremo che ISF sLORETA possa lavorare a problemi più specifici, mentre ISF bipolar possa lavorare ad aspetti più globali e profondi, soprattutto quelli che riguardano le risposte Autonomiche.
Hai la possibilità di andare in aree più specifiche, specifiche ROI (Regions of Interest).
Esattamente, o puoi lavorare a specifici Networks. O addirittura accoppiare i Networks.
Per esempio adesso stiamo lavorando con ISF sLORETA a un modo per separare diverse risposte, stiamo lavorando con aCC e pCC (Corteccia Cingolata Anteriore e Posteriore) per disaccoppiarle, di modo che non siano mai attive contemporaneamente. Nel comportamento abnormale c’è un impatto profondo che deriva dal fatto che i due rami del Sistema Nervoso Autonomo si attivano in modo non funzionale, ad esempio si attivano sia il sistema Nervoso Simpatico che quello Parasimpatico allo stesso tempo, oppure si disattivano contemporaneamente. Oppure si rimane bloccati nel ramo Parasimpatico, o ancora nel ramo Simpatico. Questo protocollo è un modo per differenziarli. E stiamo scoprendo che è molto potente clinicamente.
Sempre rispetto a queste due aree -una collegata al SN (Salience Network), aCC, per la risposta Simpatica, l’altra l’hub principale del DMN (Default Mode Network), pCC, per la risposta Parasimpatica-, stiamo scoprendo dalla ricerca che il Default Mode Network diventa dis-aggregato in disturbi gravi. Quello che vogliamo fare quindi è ricollegare assieme le aree del DMN, mentre contemporaneamente gli insegniamo a funzionare in modo indipendente dal Salience Network, di modo da non facilitare la sua disgregazione ma agevolare il suo funzionamento come un’unità integrata, mentre si alterna al Salience Network.
Molto, molto interessante. Bene, stai lavorando a qualcosa attualmente? Quali sono i tuoi progetti futuri?
Quello che stiamo facendo adesso è provare a rendere il processo del ISF bipolar più semplice per quei professionisti che potrebbero avere difficoltà durante il training. Per esempio tu sei venuta ai miei workshops. Tu sei una terapeuta con un importante background in Psicoterapia e credo che le persone come te lavorino molto bene con l’approccio che si usa durante il training con ISF bipolar, perché occorre essere molto connessi al paziente, c’è il contatto visivo, si pongono domande e c’è una risposta dalla persona, un comunicare e ricevere feedback, un metodo Socratico se vuoi, per capire esattamente cosa sentono e regolare l’intervento per trovare cosa davvero vada bene per loro. Non dovrà essere troppo “caldo”, troppo “freddo”, ma giusto per loro. Questo richiede competenze cliniche. Ma durante i corsi noi formiamo anche Terapeuti Occupazionali, Terapeuti in discipline più fisiche, Ostetriche, Medici, che potrebbero non avere lo stesso tipo di competenze cliniche. Quindi quello che stiamo facendo è introdurre le misurazioni con i sensori per il Biofeedback, di modo che abbiano a disposizione delle misure oggettive per capire come sta reagendo il loro paziente. Questo risulta molto utile.
Tu come Clinico lo sai, molte persone arrivano in terapia e parte della loro Psicopatologia è proprio collegata al fatto che non sanno come si sentono.
Inoltre a volte il processo di rilassamento può essere difficile per coloro che sono spaventati dal rilassarsi. Quindi abbiamo bisogno di esserne consapevoli nel momento in cui loro cominciano ad andare verso una maggiore regolazione Autonomica, anche quando magari quello che riportano è: “non riesco a respirare” e paradossalmente la loro ansia sale.
In questi casi possiamo utilizzare le misure oggettive e da lì essere consapevoli che quella frequenza è forse quella giusta per loro, invece che modificarla pensando che non vada bene. Quando loro saranno maggiormente pronti a sentire quello che sottende la loro risposta dissociativa, potranno lasciarsi andare al rilassamento profondo.
Penso che questo possa essere particolarmente vero con i pazienti Traumatizzati ad esempio.
Sì, assolutamente, non c’è dubbio.
Questo è uno dei progetti attuali. L’altro è quello di cui ti parlavo prima, le ricerche che stanno andando avanti a Otago (Nuova Zelanda). Sono molto interessanti perché abbiamo delle evidenze dai dati preliminari che ISF è efficace ed è una valida alternativa ai trattamenti farmacologici per persone con dolore cronico. Lo vedrai, al momento i dati non sono ancora stati pubblicati, mi spiace parlarne già ma siamo molto ottimisti visti i primi feedback. Abbiamo lavorato con il dolore da osteoartrite al ginocchio ed ora ci stiamo spostando al dolore alla schiena, siamo molto entusiasti.
Un altro progetto a cui ti accennavo prima ha a che fare con quelli che a Otago hanno descritto come Disturbi Internalizzanti, è un modo diverso di pensare rispetto al mio ma il punto è che comprendono un ampio numero di disturbi Psicopatologici ai quali non corrispondono dei comportamenti esterni, degli acting out, collegati al disagio. Ad esempio il Disturbo Bipolare come Disturbo Esternalizzante, mentre Ansia e Depressione ad esempio, come Disturbi Internalizzanti. Anche di questi studi pubblicheremo presto le evidenze. Questi progetti per me sono davvero interessanti al momento.
Sì, senz’altro lo sembrano!
Sì, è la cosa più entusiasmante è che forse sta finendo questa Pandemia quindi mi sarà di nuovo possibile venire in Europa per i miei corsi.
Sì spero davvero che vorrai organizzare presto qualcosa in Italia.
Sì e non solo online. Quest’anno abbiamo sviluppato una piattaforma che adesso è davvero efficace per i corsi online. Ho tenuto un corso di Bipolar ISF lo scorso fine settimana, ne terrò uno di sLORETA il prossimo fine settimana. Ne ho fatto tanti lo scorso anno, le persone hanno imparato tanto ed è stato per loro conveniente, sono diventate effettivamente in grado di applicare il metodo. Sai che questa non è la mia preferenza, ma funziona!
Bene, allora se sei disponibile possiamo organizzare presto qualcosa per l’Italia.
Lo adorerei!
Grazie Mark per il tuo tempo.
Grazie per avermi ospitato.
BIBLIOGRAFIA/PER APPROFONDIRE:
- https://www.neuroregulation.org/article/view/20310
- https://www.nature.com/articles/s41598-018-30181-7
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