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Normalità e follia negli Aborigeni Australiani dopo il loro incontro con i coloni britannici

1 Mag 22

A cura di Luigi Benevelli

Nella letteratura mondiale è riportata un’assai alta incidenza di suicidi nelle popolazioni  native di USA, Canada, Australia e Nuova Zelanda, un fenomeno che in Australia   riguarda  maschi giovani, specie quelli carcerati, che scelgono la modalità dell’impiccagione. Il fenomeno è imputato a marginalità sociale,  carenza di prospettive positive, disgregazione delle reti sociali di sostegno, abusi alcoolici[1].
Sul numero 1 del 2022 della rivista History of psychiatry, è stato pubblicato un articolo sulla salute mentale  degli Aborigeni Australiani nel primo secolo della colonizzazione britannica (1788-1888)[2]. La ricerca è molto interessante perché assai scarsi sono in letteratura dati sull’argomento antecedenti il 1950. Lo studio in questione riguarda in particolare la situazione del Nuovo Galles del Sud (New South Wales- NSW), colonia fondata il 2 aprile 1788.
Nell’aprile 1787 furono emanate le istruzioni circa il modo di rapportarsi con gli Aborigeni nei confronti dei quali si raccomandava di fare il possibile per venire incontro ai loro problemi di salute, vivere in amicizia con loro, ma di considerarli  come potenziali nemici della Colonia britannica.
Nel 1788 i galeotti imbarcati sulle navi che arrivarono nella baia di Sidney  rubavano reti da pesca e canoe ai nativi che reagirono: di qui scontri e scaramucce. Ma il dato più drammatico fu che fra i nativi si diffuse rapidamente il vaiolo (più del 50% ne fu colpito nell’area di Sidney). Assai probabile che la diffusione fosse stata premeditata, ossia che  gli aborigeni avessero ricevuto dai britannici doni infetti, come era già accaduto con gli Indiani del Nord America.
Il capitano Arthur Phillip, primo governatore del NSW, operò secondo le regole e la disciplina di guerra; quanto all’amministrazione civile, fra i suoi compiti vi era la custodia degli idioti, dei folli (lunatics) e delle loro proprietà. Per idioti e folli era prevista la custodia  in carcere. In quei cento anni dal 1788 al 1888 anni raramente i sintomi di disturbi mentali degli aborigeni furono interpretati secondo le categorie in uso per i  britannici. Agli inizi del 1789 i britannici catturarono il primo nativo di nome Arabanoo e ne fecero oggetto di studio per conoscerne la lingua e le tecniche di lotta. Con l’aiuto e le cure di Arabanoo, Nanbaree, un bambino di 9 anni e Boorong, una ragazza di 14 anni guarirono dal vaiolo. Il primo  fu adottato dal Chirurgo capo e la seconda dal prete anglicano Richard Johnson: istituzioni sanitarie e Chiesa costituirono i due elementi posti a fondamento e ragione formale dell’invasione britannica.
Il reverendo Samuel Marsden, in colonia dal 1794 al 1830, prese con sé come servo per educarlo Tristan, un nativo che nel 1807, accompagnando il padrone nel viaggio verso l’ Inghilterra, a Rio de Janeiro si eclissò per ritornare poi nel Nuovo Galles del Sud, ma fra i  suoi connazionali. Marsden ricavò da tale esperienza che i nativi erano come animali che uccidevano senza ragione, non avevano il controllo della propria mente, selvaggi ignoranti, dediti all’alcool e all’ozio. Nel 1795 Marsden ricevette dal Governatore una concessione di 200 acri, poi un’altra  di altri 240 acri  dove pascolavano 480 pecore; nel 1807divenne il secondo allevatore della colonia con 2855 acri, 1184 pecore, 78 bovini, 30 capre e 14 cavalli, bonificò la boscaglia, aprì strade, inquinò le acque. Coloni come il rev. Marsden, con le loro idee razziste, sciamarono per le terre degli aborigeni senza discutere, contrattare, remunerare. I nativi, frustrati, si ritirarono impauriti sempre più all’interno; ma vi fu chi prese in mano le armi e si scagliò contro gli invasori in quelle che nel 20° secolo furono chiamate “guerre della frontiera”. Chi fra i coloni si opponeva alla strage dei nativi era deriso e calunniato.
Un altro religioso anglicano, il Rev. Robert Cartwright, scrisse tra il 1810 e il 1836 otto lettere sotto lo pseudonimo di Philanthropus nelle quali  sosteneva che il Divino Creatore aveva fatto di un unico sangue tutte le Nazioni della Terra, dando per certo che i Nativi del NSW potessero ricevere istruzione e diventare civili e si chiedeva quali fossero i piani da adottare, quali i mezzi da usare, i passi da intraprendere per riuscire a civilizzare ed evangelizzare i Nativi il più rapidamente ed efficacemente possibile. Il monogenismo anglo-cristiano di Cartwright era un dogma che derivava dalle storie bibliche del peccato originale e della redenzione di Cristo che comportavano che tutta l’umanità discendesse da Adamo ed Eva. Questo in contrasto con le tesi poligeniste per le quali gli umani discendevano da antenati diversi, alcuni dei quali qualitativamente “inferiori”, come, ad esempio, gli Aborigeni australiani. Un lettore che si firmava Amicus, in risposta a
 Cartwright, scrisse che, a causa delle caratteristiche di barbarie e indolenza dei nativi, il modo migliore per aiutarli era quello di portare loro via i bambini per educarli tenendoli lontano dall’influenza deteriore dei genitori. La tesi fu condivisa da Cartwright.
Il prete cattolico John Terry (1790-1864) aveva amministrato il sacramento dell’estrema unzione a Tommy, un nativo morente: l’azione fu discussa sul «The monitor» nel 1828. Il giornale difese la scelta del prete che aveva amministrato un sacramento a un pagano che aveva dato il proprio consenso, per la ragione che un pagano continuava ad essere un uomo e non era un folle. L’associazione fra aborigeni e folli fu argomento del  dibattito legale oltre che di quello teologico.
 
La psicologia degli Aborigeni
Con l’espandersi della colonia del NSW, un gran numero di Aborigeni fu ucciso e si affermò il commercio di crani e scheletri che alimentò gli studi frenologici.
Nel 1816, su ordine del Governatore Macquairie  in South West Sidney, in una imboscata furono uccisi 14 nativi (massacro di Appin). Il chirurgo navale Patrick Hill si portò a Edinburgo il cranio di un nativo di nome Cannabayagal e lo fece avere a sir George Mackenzie  che nel 1821 ne scrisse. “le cavità degli occhi sono così profonde e concave in alto che si può ritenere che Cannabayagal non fosse capace di parlare”.
In realtà la competenza linguistica degli aborigeni era molto superiore a quella dei britannici, perché abituati capaci di comunicare tra nazioni che parlavano lingue diverse.
Il cranio di Cannabayagal fu donato da Mackenzie a George Combe (1788-1858), avvocato scozzese, esponente della frenologia britannica che scrisse che “negli aborigeni è difettosa ogni attitudine all’arte del costruire. Il cranio New Holland si colloca poco più su di quello di un Caribe (nativo americano) ma denuncia limiti penosi nelle regioni degli organi intellettuali e morali; gli organi del Numero, abilità a costruire, riflettere  e idealità sono particolarmente carenti mentre quelli delle tendenze animali sono pienamente sviluppati”. Il libro più importante di Combe, The constitution of Man considered in relationn to external objects (1828) ebbe 11 edizioni, un grande successo. Combe non aveva mai visto un nativo da vicino in vita sua.
 
I manicomi
La colonizzazione dell’Australia partì dal NSW percorrendo sempre le stesse tappe:
invasione di militari e coloni, strage degli aborigeni; riconoscimento formale della nuova colonia; costruzione di edifici, fra cui le carceri, di cui i britannici folli erano ospiti; costruzione di asili per i malati di mente.
Nel 1811 fu aperto il primo manicomio a Castle Hill, col trasferimento da Parramatta di 6 pazienti, 1 custode e 1 cuoco.
Nel Queensland,  invaso nel 1824, il  Woogaroo Lunatic Asylum  fu aperto nel 1865 a Brisbane.
Nell’Australia del Sud invasa nel 1836, il primo manicomio fu aperto nel 1852 ad Adelaide.
Il dr. Frederick Norton Manning (1839-1903) Ispettore generale per i folli del NSW presentò nel 1889 all’Intercolonial Medical Congress of Australasia la relazione  su 32  casi di nativi. 18 aborigeni furono ricoverati al Gladesville Hospital di Sidney tra 1868 e 1887.  Il 15% dei pazienti ricoverati dopo il 1870 era registrato come costituito da “nativi”: va però tenuto conto del fatto che il termine “nativo” prese ad essere usato per chiunque fosse nato in Australia. La prima registrazione attendibile risale al 1870, un 34enne, Charles Cosey, ricoverato dall’agosto al dicembre.
 
Alcune conclusioni
Gli Autori dell’articolo su «History of psychiatry» propongono a conclusione alcune considerazioni che ritengo di grande interesse, anche per le nostre psichiatrie “scientifiche” ed avanzate.
La ricerca ha evidenziato che nel caso australiano l’invasione  delle terre fu “ideologica”, oltre che fisica perché i britannici si sentivano superiori, quasi super-uomini a fronte degli Aborigeni. I temi della normalità e della patologia  mentali dei nativi furono di competenza sì di medici, ma soprattutto di militari, uomini di Chiesa, avvocati, antropologi.
Le azioni  militari portavano, come abbiamo visto, alla diffusione di malattie infettive e al rapimento dei bambini provocando negli Aborigeni reazioni negative e grande diffidenza.  L’evangelizzazione forzata, si basava sulla diffusione delle idee di moralità dei pastori della Chiesa d’Inghilterra per i quali la mente degli Aborigeni ignorava principi e nozioni della moralità anglo-cristiana.
Quanto agli aspetti legali, la discussione riguardò la posizione degli Aborigeni rispetto alla legge britannica, in particolare se fossero da considerare o meno come idioti o folli.
La frenologia usò teorie scientifiche e criteri biologici che descrissero i nativi come  esseri diversi, svantaggiati per la loro costituzione e bisognosi di essere civilizzati.
Anche Charles Darwin visitò il NSW nel 1836. Qui il 16 gennaio incrociò un gruppo di aborigeni, diede loro uno scellino e li invitò a esibirsi nel lancio della lancia. Ne diede un giudizio positivo in termini di umore, sagacia e civiltà/barbarie e li collocò pochi gradini sotto ai Fuegini: comunque solo barbari bisognosi della civilizzazione britannica. Poi si recò in Tasmania, dove tutti i nativi furono confinati su un’isola degli Stretti di Bass,  dopo essere stati aggrediti e massacrati nelle loro terre d’origine. 40 anni dopo Darwin imputava il crollo della popolazione dei Tasmaniani  alla depressione seguita all’allontanamento dalle terre native.
Nella seconda metà del XIX° secolo si aprirono i manicomi nei quali i medici si rapportarono agli aborigeni sulla base di pregiudizi stigmatizzanti.
Alla fine del  XIX° secolo ebbero sviluppo le ricerche antropologiche che portarono grande interesse al linguaggio e alla cultura, alle diversità, di solito declinando pregiudizi  etnocentrici e svalorizzanti.
Le opinioni dei britannici riguardo la normalità e le malattie mentali fecero i conti con la varietà delle relazioni fra colonizzatori  e Aborigeni di solito rappresentati come barbari per giustificare la cacciata dalle loro terre. Ma c’erano anche nativi che lavoravano nelle città, continuando a vivere nelle loro terre e provando a misurarsi con le abitudini dei Britannici: facevano da guide, esploratori, accompagnatori, levavano la corteccia dagli alberi, lavoravano nei campi in cambio di cibo, tabacco, te, con cui integravano la cucina tradizionale. Nel privato, molti aborigeni diedero vita a relazioni intime con i colonizzatori che poterono acquisire una grande quantità di conoscenze sulle loro saggezza, umanità, capacità di comprensione, culture. Lo stigma sociale comportò l’opportunità  di tenere nascosti tali legami, che finirono quindi coll’essere poco tenuti in considerazione. Tuttavia, l’amore, il rispetto declinati in tali relazioni nascoste sfidarono le idee e i pregiudizi nei riguardi  degli Aborigeni australiani.
 
In termini generali, la ricerca ha evidenziato il peso degli approcci non medici, in specie quelli militari, legislativi, teologici, antropologici, istituzionali, psicologici  in tema di salute mentale degli aborigeni australiani. La ricostruzione di Raeburn, Sale, Saunders e Kerry Doyle mette a fuoco molte ragioni per cui la condizione dell’aborigeno  malato di mente è rimasta un problema assai grave ancora nel XXI° secolo.
La storia  del colonialismo europeo si concentra sulle brutalità commesse da uomini armati. Ma altri uomini, con la penna, hanno elaborato, diffuso idee, pregiudizi che hanno provocato effetti pari a quelli della violenza fisica.
 

 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 



[1] V. Dinesh Bhugra & Kamaldeep Bhui (eds), Textbook of cultural psychiatry, Cambridge University Press, 2010, p. 262.
[2] Toby Raeburn, Kayla Sale, Paul Saunders and Aunty Kerry Doyle, Aboriginal Australian mental health during the first 100 years of colonization, 1788, 1888: a historical review of nineteenth-century documents, «History of psychiatry», 2022, 1, 3-20.

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