SE IL FRATELLINO E IL TROPPO LAVORO SCONVOLGONO IL SONNO
di Elisa Paricelli, Luigi Ballerini, avvenire.it, 14 ottobre 2015
Mio figlio di tre anni e mezzo da qualche tempo non vuole mettersi a dormire la sera. Mi fa penare con richieste di ninna nanna, baci e carezze che però si protraggono troppo a lungo e finiscono sempre per farmi perdere la pazienza. Si tratta di un bambino che è sempre andato a dormire molto agilmente la sera, ma probabilmente l’arrivo del fratellino (che ora ha sei mesi) ha rivoluzionato molti dei suoi spazi e, comprensibilmente, delle attenzioni che prima riceveva. Ora si addormenta solo quando è veramente stremato senza riuscire (a mio avviso) a riposarsi bene, essendoci la sveglia presto al mattino…
Ecco un buon esempio di come guardare a una questione aperta con il proprio figlio: non ci si concentra e non ci si fissa solo su di lui alla ricerca di strategie risolutive, ma si considera attentamente cosa accade e come si vive tutti in famiglia. Qui si tratta della questione di un bambino di tre anni che ha smesso di addormentarsi con facilità la sera. Di lui sappiamo che, prima, lo faceva bene. Due sono i fattori che entrano in gioco, ben identificati dalla mamma che ha tenuto aperto il campo della sua analisi: la nascita del fratellino sei mesi fa, evento che certo ha scompigliato le carte familiari, e il lavorare (tanto) dei genitori. Quando arriva un fratellino o una sorellina, nonostante i nostri tentativi di convincere preventivamente il primogenito che sarà una bellissima evenienza (anzi tanto più quanto più ci sarà enfasi su questo), egli farà ben presto esperienza che in realtà le cose vanno diversamente: il tempo dei genitori gli viene sottratto, gli sguardi e le attenzioni sono puntate sul nuovo venuto, le necessità di cura e accudimento del neonato sono tali da esaurire (quasi) tutte le risorse disponibili.
Il seguito della lettera e della risposta sono qui:
http://www.avvenire.it/rubriche/Pagine/Giovani%20storie/Se%20il%20fratellino%20e%20il%20troppo%20lavoro%20sconvolgono%20il%20sonno_20151014.aspx?rubrica=Giovani+storie
IL COMICO IGNAZIO. Collezionista di gogne da esibire come trofei, Marino dispensa godimento a tutti a noi
di Umberto Silva, ilfoglio.it, 14 ottobre 2015
Il sindaco chirurgo Ignazio Marino mi dà l’opportunità di sindacarlo e chirurgicamente analizzare il suo estro comico, ben superiore a quello del grande Benigni, ché se Woody Allen avesse avuto la possibilità di conoscere Ignazio avrebbe girato con lui un film assai più divertente del famigerato “To Rome with Love”. Roma è ben più geniale e folle di quella cinematografica derisione, e Marino è irresistibile: se non fosse che per noioso patriottismo devo (dovrei) preoccuparmi delle sorti della città eterna e, al pari di tanti, lamentarmi dei cassonetti e di altre sciocchezze – sciocchezze, sì, Roma è eterna grazie ai sontuosi Papi e non certo ai prudenti sindaci – sottoscriverei volentieri l’encomio dei cinquantamila fedelissimi marinati. Naturalmente per ragioni opposte alla loro: non perché penso che Marino sia un super sindaco ma perché lo stimo un grande attore comico, il che è meglio, molto meglio, in tempi di svago. Ma siccome mala tempora currunt, capisco anche chi vuole sbatterlo fuori dal Campidoglio a pedate, scena anch’essa assai sfiziosa, alla Chaplin.
Cosa di Ignazio Marino lo consegna alla gloria? Molti hanno inteso e sottolineato la sua voglia matta di farsi del male, tuttavia io non penso che sia il male che Ignazio cerca, quanto un simpatico godimento che dispensa a noi tutti; senonché preoccupati lo respingiamo e condanniamo questo godimento, frutto della sua arte, in tal modo mostrando quanto il nostro tetro moralismo possa risultare deprimente.
Segue qui:
http://www.ilfoglio.it/la-politica-sul-lettino/2015/10/14/il-comico-ignazio___1-vr-133811-rubriche_c250.htm
DON GIOVANNI. KIERKEGAARD AL "BIVIO" TRA LIBERTINISMO E GRAZIA
di Luigi Campagner, ilsussidiario.net, 14 ottobre 2015
La prima raccolta delle Opere di Kierkegaard in lingua italiana usci a cura di padre Cornelio Fabro nel 1972. In essa il Don Giovanni (1843), titolo in breve del saggio appassionato di Kierkegaard sugli Stadi erotici immediati ovvero il Musicale erotico, dedicato al Don Giovanni di Mozart (1787) non venne incluso. Così come escluso dalla raccolta fu anche Il diario del seduttore (1843), l'opera semi biografica con la quale Kierkegaard catturava e allo stesso tempo respingeva le attenzioni della sua Copenaghen, la "cittaduzza" dove scelse di vivere nonostante vi si trovasse a suo agio non più di un pescecane in laguna. L'immagine del pescecane è quella utilizzata da Kierkegaard per indicare la peculiarità della sua dialettica che egli aveva imparato dal padre prima ancora che dall'amato Socrate e dall'odiato Hegel. Essa consisteva nel ribaltare all'ultimo l'argomento dell'avversario dopo averlo favorito nell'esporlo e dunque nell'esporsi. "Il pescecane che vuole afferrare la preda deve rovesciarsi sul dorso poiché tiene la bocca sotto il ventre; il suo dorso è scuro il suo ventre argento. Spettacolo magnifico vedere questo cambiamento di colore che alle volte getta dei bagliori così vivi da far quasi male agli occhi e la cui vista non di meno dà tanto piacere (Diari, 18341855)". Nella stessa rete dialettica di lusinghe e respingimenti, di blandizie e cattiverie Kierkegaard aveva catturato, seducendola spiritualmente, per poi disfarsene con religioso disprezzo, la giovanissima fidanzata Regine Olsen, eminente rappresentante della società danese nella sua qualità di figlia del primo ministro. La scelta di Fabro lasciò libero spazio all'editoria laica che si fece un vanto di far conoscere al grande pubblico le opere giovanili di Kierkegaard. La scomposizione poi della cultura italiana in appartenenze politiche, così di moda in quegli anni, favori anche la canonica ricapitolazione dell'opera di Kierkegaard in parti a sé stanti, dialetticamente contrapposte: la parte estetica e quella religiosa, mediate dalla cerniera dell'etica (protestante e capitalistica).
Segue qui:
http://www.ilsussidiario.net/News/Cultura/2015/10/14/DON-GIOVANNI-Kierkegaard-al-bivio-tra-libertinismo-e-grazia/2/646504
CHE COS’È LA GRAZIA? COSÌ RISPONDONO I FILOSOFI. A Trieste un convegno sul ruolo dell’armonia dalla lettura alla politica. Fra gli ospiti Massimo Cacciari, Umberto Curi e Luce Irigaray
di Cristina Benussi, ilpiccolo.gelocal.it, 15 ottobre 2015
Nel congresso internazionale di Filosofia, promosso dal Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Trieste in collaborazione con l’Università del Litorale (Capodistria), e che si svolgerà domani e giovedì al Dipartimento di Studi Umanistici, sarà affrontato un suggestivo tema: l’idea di ‘grazia’ nei suoi molteplici significati (poetici, estetici, teologici, economico-politici) vagliandone il significato nel pensiero contemporaneo con speciale riguardo allo charme, all’improvvisazione, alla trasfigurazione e alla gratuità. A tale convegno, a cui parteciperanno tra gli altri Massimo Cacciari e Umberto Curi, interverrà anche la filosofa belga Luce Irigaray, che conquista una notorietà mondiale nel 1975, allorché pubblica “Speculum. L’altra donna”, opera che mette in discussione le teorie di Freud e di Lacan e che le costa la sospensione dall’incarico di insegnante presso l’università di Vincennes. Anche grazie al suo contributo, è diventata di dominio comune l’opinione in base alla quale i valori della cultura e della tradizione filosofica occidentale non sono neutri, ma declinati in prospettiva maschile sicché la donna è stata fortemente penalizzata.
Segue qui:
http://ilpiccolo.gelocal.it/tempo-libero/2015/10/14/news/che-cos-e-la-grazia-cosi-rispondono-i-filosofi-1.12267408
IL SENSO DELLA GITA DI CLASSE. Il ragazzo morto e ciò che rende concreta la compagnia
di Luigi Ballerini, avvenire.it, 16 ottobre 2015
Un’altra tragedia in gita. Un altro ragazzo morto, caduto di notte dalla finestra senza che nessuno se ne accorga. Un fatto clamoroso e doloroso che ci lascia sconcertati riempiendoci di dubbi e domande. Ma come vivono i ragazzi? E queste gite, vanno davvero fatte? Non sarebbe meglio abolirle in nome della sicurezza? Anche in questo caso i compagni hanno infatti ammesso che in camera si era bevuto e fumato, sebbene convenga ora astenersi dal fare speculazioni su cosa sia realmente accaduto. «Ma i ragazzi l’hanno sempre fatto in gita!», si sente dire da più parti con un certo fatalismo e l’idea dell’inevitabilità di tali comportamenti. Può darsi, ma in questi tempi c’è un elemento nuovo da considerare: stare insieme non è più scontato.
Segue qui:
http://www.avvenire.it/Commenti/Pagine/il-senso-della-gita-di-classe.aspx
OLIVER SACKS, ANTROPOLOGO DELL’AUTISMO
di Pietro Barbetta, doppiozero.com, 16 ottobre 2015
Il ricordo di Sacks da parte di Marco Belpoliti mi spinge a scrivere di una parte importante del suo lavoro clinico e sociale. Maestri indiscussi di Oliver Sacks, per sua stessa ammissione, furono Alexander Romanovič Lurija (1902-1977) e Kurt Goldstein (1878-1965). Lurija fu tra i primi ad avere l’idea, ora in disuso, di fare il neurologo con competenze storico-culturali, che gli costò un’epurazione dall’Istituto dove lavorava da parte dei pavloviani. Di lui, tra le altre illuminanti indagini scientifiche, rimane il caso clinico del mnemonista, pubblicato nel 1968, ventiquattro anni dopo il racconto Funes el memorioso di Borges, a indicare di quanto la letteratura preceda la scienza. Goldstein fu il primo neurologo a mettere in discussione le semplificazioni pavloviane e a leggere la fenomenologia delle condotte umane patologiche come rivelatrici di un equilibrio sui generis, influenzando, tra l’altro, l’opera filosofica di Maurice Merleau-Ponty e quella medica di Georges Canguilhem.
Già nell’Uomo che scambiò sua moglie per un cappello, Sacks si occupa di una sindrome rara: la Gilles de la Tourette. Scrive, vado a memoria, di un uomo – Ray dei mille tic – che suona la batteria in un gruppo musicale, con eccellenti risultati, ma ha continui problemi lavorativi legati all’insistenza della sindrome, che produce coprolalie sporadiche di varia intensità e conseguenti licenziamenti. La diagnosi di sindrome di Tourette era da tempo caduta in disuso – il povero Tourette era morto in manicomio, ripudiato dalla famiglia – le persone con questa sindrome venivano erroneamente scambiate, sopratutto dagli psichiatri, come psicotiche. La nota farmacologia ex-adiuvantibus diceva che, poiché trattati con un noto neurolettico reagivano positivamente, e poiché lo stesso farmaco “funzionava” anche su pazienti con diagnosi di psicosi, allora si trattava di psicosi. Elementare, come spesso è l’ideologia psichiatrica.
Segue qui:
http://www.doppiozero.com/rubriche/336/201510/oliver-sacks-antropologo-dellautismo
FIDUCIA E SFIDUCIA EPISTEMICA NEL BAMBINO E NELL’ADULTO
di Rosalba Miceli, lastampa.it, 16 ottobre 2015
Negli ultimi anni sono emersi con sempre maggiore chiarezza importanti legami tra stili di attaccamento, esperienze traumatiche infantili, sviluppo di personalità e patologia. Come ha osservato Hegel (1807), è solo attraverso la conoscenza della mente di un altro che il bambino sviluppa il pieno possesso della natura degli stati mentali. Questo processo ha una natura intersoggettiva: il bambino cerca di conoscere la mente del genitore così come il genitore prova a comprendere e a contenere gli stati mentali del bambino.
Quindi è possibile ipotizzare che una relazione di attaccamento “sicuro” fornisca al bambino il contesto ideale per esplorare la mente del genitore e sviluppare la capacità di mentalizzazione (la capacità di rappresentare e riflettere sull’esperienza mentale propria ed altrui, di spiegarsi il comportamento e, in qualche misura, di prevederlo, fondamentale per l’auto-organizzazione e per la regolazione affettiva) mentre, al contrario, tale capacità potrà risultare inadeguata, deficitaria o inibita qualora il bambino sperimenti esperienze di attaccamento in un ambiente fortemente disturbato (interazioni caotiche, intrusive o connotate da mancanze di cure, maltrattamenti e abusi), predisponendolo verosimilmente allo sviluppo di un disturbo di personalità.
Sulla base di tale ipotesi Fonagy e Bateman hanno elaborato un modello terapeutico dei disturbi di personalità (primariamente riferito al disturbo borderline), basato sul potenziamento della capacità di mentalizzazione del soggetto (MBT, Mentalization Based Therapy, 2004). Fonagy, autorevole psicoanalista, Freud Memorial Professor of Psychoanalysis allo University College of London (UCL) e direttore di ricerca al “Anna Freud Centre” di Londra, intervenendo al convegno internazionale “Attaccamento e trauma 2015”, organizzato dall’Istituto di Scienze Cognitive (25-26-27 settembre 2015, Roma), ha proposto una riformulazione della sua posizione teorica, mettendo l’accento sul ruolo della fiducia epistemica in relazione all’attaccamento e della resilienza, nei disturbi di personalità.
La “fiducia epistemica primaria” è definita «l’atteggiamento per il quale il bambino assume un orientamento pedagogico verso la comunicazione ostensiva dell’altro, trattandolo come il depositario di una conoscenza culturale rilevante» (G. Gergely, Z. Unoka,Attaccamento e mentalizzazione negli esseri umani, in E. L. Jurist, A. Slade, S. Bergner (2008), a cura di, Da mente a mente. Infant research, neuroscienze e psicoanalisi, trad. it. Milano, Raffaello Cortina, 2010, p.74). In altri termini, il bambino è in grado di individuare quale, tra le diverse figure adulte che costituiscono il suo mondo di riferimento, sia più affidabile nel fornire indicazioni sconosciute. Dunque presuppone la disponibilità a dipendere da un’altra persona, a rendersi vulnerabile, a fidarsi dell’altro.
Segue qui:
https://www.lastampa.it/2015/10/16/scienza/galassiamente/fiducia-e-sfiducia-epistemica-nel-bambino-e-nelladulto-bgEVNtlSOUVfdi3faRRqnK/pagina.html
IL RESPIRO LIBERATORIO DELLA POESIA. INTERVISTA A WALTER SITI
di Mariagloria Fontana, Micromega, 16 ottobre 2015
“Cara vita che mi sei andata perduta, con te avrei fatto faville se solo tu non fosti andata perduta”. Sono gli ultimi versi di una poesia di Amelia Rosselli contenuta ne “La voce verticale. 52 Liriche per un anno” (Rizzoli), un’antologia di 57 poesie (in ultima stesura, l’autore ammette di averne inserite altre cinque) scelte e commentate da Walter Siti, Premio Strega 2013, scrittore, accademico, saggista, critico. La raccolta contiene le poesie che Siti ha selezionato ogni domenica per i lettori di “Repubblica”. Nella conversazione che segue, svoltasi telefonicamente, Siti racconta a MicroMega la sua concezione estetica di poesia e bellezza.
Che cos’è la voce verticale?
Verticale è un vettore verso l’alto o verso il basso: soprattutto nella poesia lirica (succede anche nella narrativa, ma qui è più caratterizzante) vale l’impressione che il poeta “sia parlato” molto più di quanto non decida lui di parlare. Cioè che si senta il trascrittore appunto di una voce che può provenire dall’alto, da Dio, per chi ci crede, o dall’Assoluto naturale, oppure emergere dall’inconscio, per chi nel Novecento si è avvicinato alle teorie freudiane, comunque qualcosa di cui lui non è perfettamente padrone. Per cui la poesia arriva a dire cose che magari il poeta non sapeva di poter dire. In questo momento storico, in cui la letteratura tende a correre dietro al giornalismo, a essere molto controllata e molto impegnata politicamente, quindi molto legata alla volontà, forse è bene non dimenticarsi che la letteratura spesso gioca i propri effetti sull’ambiguità, sulle contraddizioni, sul dire quello che uno non vorrebbe dire o sul dire cose tra loro contraddittorie.
Quali sono stati i parametri con cui ha selezionato le poesie?
“La voce verticale’’ non ha dei criteri precisi, da antologia tradizionale che esemplifichi un panorama o una tendenza. Ho scelto capricciosamente, affidandomi al gusto personale, alla varietà cronologica e geografica, qualche volta al caso che non è mai del tutto cieco. Volevo mettere a disposizione del lettore, in un momento in cui la poesia è in una strettoia e si leggono solo pochi autori classici, o in cui una novità interessante come il rap conta su ritmi e rime semplificate al massimo, volevo mettere a disposizione, dicevo, un ventaglio di risultati che allargassero i polmoni.
La poesia si occupa solo di temi ‘alti’?
Una delle false idee che si hanno sulla poesia è che questa ci trasporti verso una dimensione di purezza e di sentimentalità, che ci faccia sentire migliori. Così si fa un uso gastronomico della poesia. Invece, nelle 57 liriche che ho presentato si parla di incesto, pedofilia, violenza, rivoluzione, impotenza, anticlericalismo, dissezione di cadaveri. E’ uno scandaglio che può rivelare anche cose terribili di noi e della società in cui viviamo; non è un caso che i poeti, più spesso che i narratori, si suicidino o diventino pazzi. A forza di stare attenti a una voce che viene da altrove si finisce, letteralmente, per “sentire le voci”. Diceva Victor Hugo, paragonando la poesia al lavoro di miniera, “il arrive des accidents, là-bas”.
Potrebbe essere adottato nelle scuole il suo libro?
Mi piacerebbe che lo fosse, perché scrivendolo ho recuperato il gusto di insegnare, che avevo un po’ perduto negli ultimi anni da professore universitario. Prendere un solo testo e provare a sezionarlo, guardare la metrica, le parole usate, il ritmo, mi sembra un buon esercizio per imparare a distinguere un testo bello da uno brutto. La peggior nemica della poesia è la cattiva poesia. Leggere poesie appartenenti a tradizioni nazionali diverse, e a momenti storici lontanissimi tra loro, può essere un buon antidoto alla noia, e abitua i ragazzi a trovare le costanti in mezzo a molte variabili; il testo originale, almeno per le lingue che i ragazzi conoscono un poco, mostra con l’evidenza di un caso concreto l’idea generale di “intraducibilità della poesia”.
Qual è il compito della letteratura?
Da quasi settantenne, ricordo che negli anni Sessanta e Settanta si discuteva tantissimo di teoria letteraria, si litigava perfino, e ci si poneva una domanda ovvia e importantissima, “che cos’è la letteratura ?”. Ora nessuno se lo chiede più, si dà per scontato che la letteratura sia ciò che la maggioranza considera tale, un dato statistico e stop. La letteratura è per prima cosa un genere di intrattenimento e di consumo, lo è sempre stata; ma io insisto a credere che sia (anche e soprattutto) una forma di conoscenza del tutto peculiare, diversa dalla scienza e dalla storia. Credo che sia una trappola di parole che serve a far emergere contenuti repressi o rimossi dall’individuo e dalla società, e che il divertimento che procura sia una specie di “piacere preliminare” per far digerire verità imbarazzanti o dolorose. Per questo, non può essere ridotta a puro contenuto, come fanno praticamente sempre i media, ma dev’essere compresa e giudicata in base alla sua organizzazione formale, allo stile. Ti chiedono sempre che cosa racconti, ma nessuno più si interessa di come lo fai. Perfino ripetendo lo stesso elenco posso dire cose molto diverse: se scrivo “il signor Giovanni ha sedotto più di mille donne in Spagna” esprimo unicamente condanna, se scrivo “ma in Spagna son già mille e tre, mille e tre” mescolo alla condanna un indubbio senso di ammirazione.
Segue qui:
http://temi.repubblica.it/micromega-online/il-respiro-liberatorio-della-poesia-intervista-a-walter-siti/
SETSUKO KLOSSOWSKA DE ROLA: “BALTHUS HA ACCAREZZATO LA MIA VITA E L’HA DIPINTA SU UNA TELA INVISIBILE. L’artista di nobile famiglia giapponese che sposò Balthus a 21 anni: “Bono Vox cantò ai suoi funerali. Quel giorno ricevetti il battesimo. Mi fece da padrino e mi è stato molto vicino”
di Antonio Gnoli, repubblica.it, 19 ottobre 2015
Per 16 anni Balthus ha vissuto a Roma. Svolgendo il ruolo di direttore dell’Accademia di Francia in un luogo unico: Villa Medici. Ha amato e conosciuto questa città. Con leggerezza e sapienza. Giuliano Briganti, che di Balthus era amico, andò un giorno a trovarlo e raccontò di un signore elegante e bello – con una storia culturalmente straordinaria alle spalle vissuta tra Rilke e Artaud – senza idolatrie per il passato. Balthus (il cui nome era in origine Balthazar) sposò in seconde nozze una giovanissima giapponese che aveva conosciuto a Kyoto. Fu come se due forme di bellezza, di grazia e di cultura si incontrassero per caso e armonizzassero di necessità. Setsuko Ideta è stata la compagna della seconda metà della vita di Balthus. Era uno spettacolo – ricorda chi li ha conosciuti – vedere i loro kimoni intonarsi perfettamente con i colori di Roma. Città così bella e distratta da sembrare un sogno felliniano. Più niente oggi somiglia a quello scampolo di vita intensa e trasandata. Non è tanto la volgarità e la suprema sciatteria a rendere questo paesaggio di storie culturali tramontato, ma il fatto che manca la sostanza umana. E forse fu questa la ragione che spinse Balthus e Setsuko a lasciare Roma per andare a vivere in un grande chalet a Rossinière. È qui che la vedova prolunga le giornate di allora con quelle di oggi e lavora ai progetti della Fondazione, al suo ruolo di ambasciatrice dell’Unesco e alla preparazione della grande mostra che le Scuderie del Quirinale ospiterà delle opere di Balthus a partire dal 24 ottobre (a cura di Cécile Debray, catalogo Electa).
Con Balthus vi siete conosciuti nel 1962 e sposati nel 1964. Tra voi c’erano 35 anni di differenza. Le ha mai pesato?
“Non è mai stato un ostacolo. Imbevuta di letteratura francese, russa e inglese sognavo da giovane una storia d’amore drammatica come le eroine di quei romanzi. Anch’io avrei voluto incontrare un uomo a cui dedicarmi completamente”.
Balthus come viveva questa distanza di età?
“Non era indifferente. Durante il nostro primo incontro a Kyoto mentì sulla sua vera età, togliendosi qualche anno”.
Le parlò mai della famiglia e del fratello Pierre Klossowski?
“Lo faceva spesso. Aveva una grande stima di Pierre e del suo lavoro di scrittore. Gli piacevano molto anche i ritratti che Pierre aveva fatto di George Bataille e di André Gide. Due figure anch’esse familiari che amava ricordare”.
Un’altra figura fondamentale è stata quella di Baladine, la madre. Come la ricordava Balthus?
“Una donna straordinaria capace di vivere con intensità il meglio che la cultura dei primi decenni del Novecento seppe esprimere. A unirli, poi, c’era il medesimo temperamento artistico”.
Una passione esclusiva?
“Come per Baladine, l’unica cosa importante per Balthus era la pittura e come dipingere quello che vedeva. Tutto il resto passava in secondo piano”.
Tra Baladine e Rainer Maria Rilke ci fu un’importante storia d’amore. Il poeta rivestì mai il ruolo di padre per Balthus?
“Rilke fu una presenza importante nella vita di Balthus. L’affetto tra loro era molto forte. Nonostante questo non ha mai avuto un ruolo paterno. Se c’è una cosa che fece soffrire Balthus fu la separazione dei genitori”.
Il padre di Balthus, Erich Klossowski, aveva origini tedesche.
“Tedesche certo, ma anche polacche. La famiglia del padre proveniva dalla casata dei Rola”.
Per questo il suo nome per esteso è Setsuko Klossowska de Rola?
“Sì”.
Erich Klossowski fu anche storico dell’arte e pittore. Quando si separò da Baladine?
“In maniera definitiva mi pare nel 1917”.
Gli anni parigini, prima della Grande Guerra, furono segnati dalla presenza di numerosi artisti.
“Erano in molti a frequentare la casa dei genitori. Tra questi Henri Matisse e Pierre Bonnard. Una volta, guardando un quadro appeso al muro, Bonnard disse a Baladine: “Non mi ricordo più quando ho dipinto questo quadro”, e Baladine rispose: “Ti confondi Pierre, sono io che l’ho dipinto””.
In che misura la pittura di suo marito deriva anche dalla grande esperienza artistica italiana?
“È stata una presenza fondamentale. A 17 anni Balthus fece un lungo viaggio in bicicletta attraverso la Toscana, copiando le opere di Masaccio e Piero della Francesca. Osservando l’evoluzione del lavoro di Balthus si vede chiaramente che dal punto di vista della materia pittorica i suoi quadri si avvicinano agli affreschi del primo Rinascimento”.
Cosa pensava dell’arte contemporanea?
“Ha frequentato molto i pittori suoi contemporanei: Derain, Miró, Picasso, Bacon, Guttuso. Nel 1963 il primo artista che Balthus mi portò a conoscere, in Svizzera, fu Giacometti”.
Che impressione ne ricavò?
“Molto intensa. Lo conobbi nella casa in cui era nato, insieme con la madre che mi apparve una figura emblematica della sua scultura. Durante quei giorni trascorsi insieme restai colpita dalla forza e la profondità con cui Balthus e Giacometti parlavano del loro lavoro. Un ritratto fotografico di Giacometti è appeso al muro dell’atelier di Rossinière, dietro la poltrona su cui Balthus lavorava”.
Volevo capire meglio il giudizio di suo marito sull’arte contemporanea.
“C’è poco da capire. La sentenza era lapidaria. Negli ultimi tempi era solito dire che non esisteva più la pittura e che lui era stato davvero l’ultimo pittore”.
Di Picasso cosa pensava?
“Ne pensava bene. Era felice che Picasso avesse acquistato un suo quadro. Scambiarono una lunga conversazione sulla pittura. Ma non credo avesse la medesima intensità di quella vissuta con Giacometti”.
Ho scoperto che tra i collezionisti dei quadri di Balthus c’era Jacques Lacan. Lo ha conosciuto?
“Certo, quando veniva a Roma ci si frequentava. Balthus lo ha anche ospitato qualche volta a Villa Medici. E, per contraccambiare, Lacan lo invitò a un convegno di psicologi da lui presieduto. Dopo aver ascoltato alcune relazioni, Balthus chiese: “Ma a voi interessa il problema della guarigione?””
Segue qui:
http://www.repubblica.it/cultura/2015/10/19/news/setsuko_klossowska_de_rola_balthus_ha_accarezzato_la_mia_vita_e_l_ha_dipinta_su_una_tela_invisibile_-125419325/
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CONSIGLI IN PILLOLE – GENITORI IN CERCA DI LAVORO (PER I FIGLI): COME AIUTARLI CON IL CV
di Luigi Ballerini, job24.ilsole24ore.com, 19 ottobre 2015
Vai al link per il video:
http://bcove.me/hf2057zl
I più recenti pezzi apparsi sui quotidiani di Massimo Recalcati e Sarantis Thanopulos sono disponibili su questo sito rispettivamente ai link:
http://www.psychiatryonline.it/rubrica/4545
http://www.psychiatryonline.it/rubrica/4788
Da segnalare anche la rubrica "Mente ad arte, percorsi artistici di psicopatologia nel cinema ed oltre, di Matteo Balestrieri al link
http://www.psychiatryonline.it/rubrica/4682
(Fonte dei pezzi della rubrica: http://rassegnaflp.wordpress.com)
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