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PENSIERI SOPRA “LE CONFESSIONI” DI ROBERTO ANDÒ

24 Apr 16

A cura di Gianni Guasto

Ieri sera, a caldo, all'uscita dal cinema, ho scritto su Facebook che "Le Confessioni" di Roberto Andò, secondo me, merita l'Oscar.
Pur non avendo letto alcun giudizio critico sul film (non è mia abitudine farlo), sono certo che moltissimi non condivideranno un giudizio tanto entusiasta. Provo a mettermi nei loro panni, e mi rendo conto che il film si presta a vari piani di lettura, alcuni dei quali non mi soddisfano per nulla, perché mi paiono superficiali.
Della vicenda, abbondantemente diffusa dai media, dirò soltanto che riguarda una riunione dei ministri della finanza dei paesi del G8 cui partecipa un monaco italiano, interpretato da Tony Servillo. Il leader dei convenuti gli chiede di essere confessato, e dopo una conversazione durata alcune ore, si suicida. Tutti i partecipanti alla riunione saranno sconvolti all'idea che il monaco sia in possesso di un terribile segreto di politica finanziaria mondiale che non deve assolutamente trapelare.
Fin qui la trama in sintesi: il resto lo lascio al vostro piacere.
Fra i tanti possibili livelli di lettura del film, il primo e più ovvio è quello di uno scontro fra una presunta etica cattolica (molto distante, qui, da quella dello IOR e del card. Bertone) e la finanza, intesa come moloch cieco e assassino.
Il richiamo a San Francesco che ammansisce il lupo (nella forma di un cane simile a un minaccioso rotweiller), poi, è fin troppo scontato, così come lo saranno i più che probabili richiami a Papa Bergoglio, il cui potere dirompente, però, non raggiunge mai, nella realtà, l'incredibile forza del protagonista del film.
Ciò che del lavoro di Andò mi ha maggiormente affascinato, o, per meglio dire, addirittura elettrizzato, renderebbe semmai più legittimo il paragone fra il protagonista e un supereroe della Marvel, che getta lo scompiglio fra le truppe nemiche con la semplice forza di uno sguardo volutamente e del tutto inespressivo.
Ma l'aspetto più affascinante riguarda la psicologia dei non-protagonisti, ovvero la paranoia che dilaga fra i membri del G8, al semplice sospetto che il suicida abbia rivelato al confessore i dettagli di un piano finanziario che equivarrà a una catastrofe mondiale, piano che dovrebbe essere messo in atto per salvaguardare l'economia dei paesi più ricchi a scapito di quella dei paesi più poveri con conseguenze apocalittiche.
Il clima da tragedia shakespeariana, di angoscia e di minacciosa ostilità che si genera attorno al monaco è impressionante: tutti troverebbero assolutamente normale, anzi obbligatorio, che lui infrangesse il segreto della Confessione per dir loro quel che il morto gli ha comunicato, ma lui non tenta neppure di sottrarsi: semplicemente resta a guardarli in silenzio, e questo li fa sempre di più impazzire. Quando essi cercano di interpretare in maniera paranoica un disegno nel quale il monaco ha tracciato un uccellino (fanno ricerche sulla tipologia del volatile, ne ascoltano il canto registrato per vedere di trarne un possibile messaggio); oppure quando lui mostra loro un algoritmo che in realtà non significa nulla, e che il morto aveva sempre usato per imporre la propria volontà ai colleghi suoi subalterni e ai politici di tutte le nazioni, si respira l'atmosfera di una follia potenzialmente omicida che invade tutti i signori che governano le finanze mondiali. Sono uomini (e anche donne) la cui vita affettiva è andata incontro a gravi e volontari fenomeni dissociativi che li hanno portati a una disumanizzazione totale. I sensi di colpa che non sono più in grado di sentire, sono in realtà a un passo da loro, e il semplice sguardo silenzioso del monaco li scatena, al punto che, alla fine la loro compattezza si sbriciola, il panico si impadronisce dei più feroci tra essi, e il progetto criminale fallisce.
Un dettaglio che mi ha colpito enormemente, nel film, è la totale assenza di paura del protagonista. Devo dire che mi sono sorpreso a invidiare Servillo e a desiderare di essere al suo posto, per poter indossare, anche soltanto per qualche ora, quell'abito, non soltanto materiale (a un certo punto se lo toglie per fare un bagno di mare sotto gli occhi infuriati di qualcuno che vorrebbe strappargli il segreto del confessionale), per poter provare a stare dentro quella condizione mentale nella quale non esiste la paura della morte; una morte niente affatto improbabile, dal momento che l'assassinio del protagonista sarebbe stato un modo semplice ed efficace per "rimettere le cose al loro posto" ("Lei è la scatola nera di un disastro", gli viene detto a un certo punto. Soltanto lei conosce ciò che lo ha determinato"). Il monaco Salus sembra non temere alcuna minaccia: non perché sia muscoloso o bene armato, ma perché forse è già morto, è "al di là" della paura. Irreale e disumano, certo; ma lasciatemi sognare, lasciatemi desiderare infantilmente di essere qualcun altro più forte di quello che sono nella realtà. Mi sono rivisto in tante esperienze professionali concretamente vissute in cui avrei dovuto, per necessità, ammansire un lupo, e nelle quali ho avuto una paura forte, paralizzante, incontrollabile; un'esperienza spiacevole e frustrante. Lasciatemi, per favore la libertà di sognare gli ultrapoteri senza per questo dover essere considerato un baciapile.
"Bella, immortal, benefica fede ai trionfi avvezza"? Di certo non mancherà chi vorrà vedere nel film una favola banalmente buonista e manzoniana in cui la cattiveria e la peste vengono sconfitte dal Vangelo. Ma a me la storia è sembrata un tantino più complicata. E affascinante. Buona visione.

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