Ancora di più nel campo dei disturbi di personalità occorre riconoscere la centralità dell’adolescenza come snodo non solo esistenziale ma anche dello sviluppo psicologico e della definitiva strutturazione delle funzioni mentali. L’adolescenza è una fase importantissima nel dispiegarsi delle traiettorie evolutive che possono aprire ai sintomi e ai comportamenti del disturbo borderline di personalità.
Riconoscere questi fattori il prima possibile deve consentire di attivare gli interventi precoci orientati a far abortire la sindrome o comunque attenuarne l’evoluzione. Le prospettive di disabilità psichica nell’adulto si riducono solo anticipando diagnosi ed interventi. Il gap, fin qui considerato “naturale” tra anni di malattia e inizio del trattamento ha conseguenze spesso irreversibili. E quando parliamo di interventi precoci sui disturbi di personalità non dobbiamo pensare solo ed elettivamente a pesanti terapie individuali, ma soprattutto a operazioni sui contesti, la famiglia in primo luogo e azioni volte a ridurre fattori ambientali di sicuro effetto sullo sviluppo dell’impulsività.
Penso quindi ad alcune priorità: partire dai sintomi più gravi presenti in adolescenza fin dai 14 anni: DCA, autolesionismo, abuso di sostanze e dalle diagnosi di ADHD e dei disturbi oppostivi. Progettare interventi sulle famiglie target che mettano insieme le competenze della NPIA dei Ser.t e dei CSM per realizzare interventi sui contesti: programmi psicoeducazionali e di skills training per le famiglie; interventi individuali psicoteraputici per migliorare le funzioni di mentalizzazione e le competenze individuali nell’interazione sociale.
Molto importanti sono anche le strategie per ridurre il consumo e l’abuso di sostanze psicoattive, che a quell’età rischiamo ad avere un effetto patoplastico sulla struttura della personalità. Esitare di fronte a situazioni che già presentano un elevato di sofferenza, comportamenti a rischio, difficoltà nella gestione dello stress con manifestazioni gravi di ansia, stati di rabbia incontrollati equivale a favorire la definitiva strutturazione del disturbo di personalità.
Una maggiore attenzione, inoltre deve essere riservata alla diagnosi, sono ancora tanti i ragazzi che pervengono all’attenzione dei servizi dell’adolescenza già con marcate difficoltà nell’area della regolazione emotivo affettiva. Il timore di psichiatrizzare, spesso ancora inibisce la formulazione di un coretto indirizzo terapeutico e lascia il ragazzo e soprattutto la sua famiglia nell’incertezza del che cosa si tratti. A quell’età interventi con i familiari, sulla comunicazione, il problem solving e la gestione dello stress, potrebbero ancora modificare il decorso di un tracciato altrimenti segnato. E’ per questo che i giovani con disturbo borderline di personalità e le loro famiglie hanno bisogno che si superino gli steccati che separano la NPIA dal Centro di Salute Mentale e dal Ser.T. Del resto anche ai servizi degli adulti non può che fare un gran bene confrontarsi con le situazioni evolutive, piuttosto che con la cronicità.
Oggi non ci sono ragioni scientifiche che osteggino la coalescenza tra i servizi dedicati agli adolescenti e quelli agli adulti, Una felice sintesi la stanno trovando alcuni dipartimenti italiani lavorando sulla fascia 14 – 25. E’ chiaro che i margini di questi limiti sono e saranno sempre arbitrari, ma sicuramente individuare una terra di mezzo, diversa dall’abituale drammatico spartiacque dei 18 anni, può aprire nuove prospettive di intervento e di prevenzione della disabilità psichica. E’ un discorso che porta lontano, tocca l’organizzazione dei servizi, i ruoli dei professionisti, la formazione e la ricerca. Tanto per fare alcuni esempi delle questioni che inevitabilmente si aprono in questa prospettiva, quali possono essere i contributi degli psicologi allo sviluppo di servizi di Salute Mentale per i giovani. E’ possibile, e secondo me sarà necessario, uscire dalla stretta alternativa, tra sussidiarietà nei confronti dei medici e ipotesi di autonomia professionale gestionale.
Occorre sperimentare, invece, modelli di interazione e interdipendenza capaci di promuovere e premiare la professionalità di dirigenti non medici in funzioni di primaria importanza come la prima consultazione, le psicoterapie, gli interventi psicoeducazionali. Né si può ignorare la questione delle risorse, che anzi viene prima di tutte. Per realizzare programmi di salute mentale per i giovani, occorre investire. E’ vero che abbiamo raschiato il fondo del barile e la guerra tra poveri competitors non è mai bella. Ma nella salute mentale abbiamo ancora ampie sacche di residenzialità presunta riabilitativa, che in realtà corrisponde a meri obiettivi di stabilizzazione (ma anche regressione) della disabilità psichica. Partiamo dal riconoscimento della natura sociale e non sanitaria di questi bisogni, per un programma di salute mentale diretto ai giovani.
Complimenti per l’articolo,
Complimenti per l’articolo, sono d’accordo con la maggior parte degli argomenti esposti. Ma il problema di base è che allo Stato Italiano conviene il malato e non la prevenzione. Siamo in un’ epoca storica sanitaria dove non ci sono fondi per la medina di emergenza figuriamoci per la prevenzione. Essendo che tutti i disturbi psichiatrici sono multifattoriali ed eterogeneii abbiamo bisogno di un approccio multidisciplinare al trattamento, ed anche queato l’Italia ancora non lo ha capito. Essendo che il disturbo borderline di personalità è un fallimento dell’attaccamento genitoriale oggi i casi sono cresciuti esponenzilmente. Prima di trattate i bambini, bisognerebbe trattare i genitori e poi, forse, i figli. Non credi?
Trattare “senza” domanda di
Trattare “senza” domanda di trattamento e’ evidentemente “un costo” inutile. Che cosa “sollecita” invece ad “investire” per un cambiamento ? Che cosa sollecita “un lavoro” individuale ? Investire nel “sollecitare” offre buone prospettive, l’articolo e’molto interessante !