Se si va in coppia, bisogna avere le spalle ben solide e un ottimo affiatamento, per non uscire distrutti da questo splendido film di Paolo Genovese. Le discussioni tra uomo e donna all’uscita dal cinema rischiano di essere in effetti prolungate.
La storia è quella classica di una cena tra amici, aggiornata ai giorni nostri, dove la fa da padrone lo smartphone (detto prosaicamente cellulare). Il gioco di gruppo è di lasciare ognuno il proprio cellulare acceso sul tavolo, aperto ad ogni chiamata e con l’impegno di rispondere in viva voce senza dire che non si è in intimità. In pratica è un gioco al massacro.
Le sceneggiature del gruppo di amici, o di familiari, o ex-compagni di classe che si ritrova insieme, offrono in genere la possibilità di esplorare le psicologie di ognuno, rivelando i tratti belli di ciascuno ma soprattutto rivelando le miserie di molti. Questo film non sfugge alla regola e devo dire che una particolare stoccata va alla psicoanalista, del tutto incapace di gestire l’adolescenza della figlia, di accettare la propria corporeità e soprattutto colpevole di un rapporto extramatrimoniale con l’amico stretto del marito. Inoltre, è anche la responsabile della proposta di fare il gioco del cellulare, sentendosi al sicuro dato che l’amico non può telefonarle perché è a cena con loro. Cosa ci vuole dire Paolo Veronese? Attenti a coloro che si ergono a giudici e terapeuti degli altri, chiusi nella propria torre d’avorio professionale ed incapaci in realtà di risolvere i propri problemi!
Ma il tema del film è un altro, e di vasta portata. Come ha modificato la nostra vita l’uso del cellulare? E’ un quesito che è centrale nel nostro vivere quotidiano. Tutti hanno segreti, e nel film tutti, anche coloro che affrontano impavidi il gioco, scoprono in realtà di avere qualcosa da nascondere.
Un primo spunto di riflessione è proprio questo. Il cellulare contiene la nostra memoria e la nostra coscienza. E’ il backup esterno dei nostri pensieri. Tutto ciò che ci riguarda passa da lì ed è a disposizione di tutti, o almeno di quanti vogliono conoscere il contenuto della nostra vita. E il risultato è che possiamo anche credere di avere una vita passabilmente lineare ed onesta, ma in realtà è inevitabile che ci sia qualcosa di nostro che è indefinito, nascosto, in costruzione, soggetto a mutamenti, e che se viene espresso con parole scritte assume significati diversi da quelli che sono rappresentati nella nostra testa. Nel film ci sono diversi esempi di questo tipo, dove frasi scritte che compaiono sui piccoli schermi si prestano a significati che non sono quelli veri, e che devono poi essere spiegati a voce. Ma il fatto stesso che i messaggi siano arrivati, costringe anche a una critica sui comportamenti propri che sono alla base dei messaggi. Nel film ad esempio vi è Carlotta che si è informata, senza dire niente al marito, della possibilità di mettere in casa di riposo la suocera. O Bianca che dà consigli disinteressati di comportamento al suo ex.
Un secondo punto importante è invece quello del tradimento coniugale vero e proprio. Non è certamente un caso l’altissimo tasso di separazioni nella nostra società. Che non è dovuto solo al fatto di essere scoperti attraverso i messaggi del cellulare, ma anche e soprattutto al fatto che questo strumento demolisce il filtro tra pensiero cosciente ed azione. Il fatto che il rapporto sia tra me e il mio cellulare fa sì che se io ho un pensiero, lo scrivo su una parte di me (il cellulare) – e quindi continua ad essere solo mio – , ma poi lo invio verso un’entità altra che comunque è a distanza, a volte una distanza rassicurante. Se il messaggio è amoroso o di natura sessuale, ciò può apparire come un non-tradimento del compagno, anche se di fatto lo è. Le possibilità di giochi erotici e confidenze intime sono infinite, da quelli con persone conosciute, a quelle con sconosciuti tramite facebook e chat varie. Carlotta in effetti ha un gioco erotico a distanza con un uomo che non ha mai incontrato, mentre il marito Lele riceve immagini erotiche da un’amica. Queste possibilità sono talmente diffuse da costituire quasi non dico la norma, ma certamente una quota non piccola dei comportamenti connessi alla sessualità. Se non ci fosse il cellulare (e non lo abbiamo avuto per millenni), ci vorrebbe tanta fatica in più per incontrare altre persone, e con possibilità di scelta molto più limitate. Mi chiedo, se la disponibilità di una tecnologia ci porta ad utilizzarla in questo modo, allora significa che molti nostri comportamenti istintuali non si sono potuti realizzare solo per carenze tecniche, e dovremo perciò aspettarci un sempre maggiore prevalere di comportamenti collegati a spinte ed impulsi profondi man mano che la tecnologia permetterà la realizzazione di tali impulsi, senza troppa interferenza dei nostri meccanismi critici, guardiani della lealtà e della eticità.
Non è facile rispondere a queste domande perché, come dice Paolo Genovese nel film, noi siamo frangibili. Quale è il limite etico tra un fuggevole pensiero (di cui non possiamo essere, in una buona parte dei casi, accusati) ed una successiva azione (che è sotto la nostra responsabilità) nel momento che le due parti sono collegate solo da un rapido movimento di pollici su uno schermo? Forse qualche differenza però ancora esiste. Nel film Rocco, il marito della psicoanalista, è ad esempio un ottimo padre che sa parlare, anche per telefono, alla propria figlia.
E allora si può dire che, nonostante e anche grazie alla telefonia mobile, è ancora possibile costruire rapporti affettivi validi. Sappiamo come usare la tecnica ed anche come abusarne, ma ancora adesso i rapporti umani più soddisfacenti sono quelli di chi non utilizza il cellulare per frammentare la propria vita in tanti pezzi che devono essere nascosti.
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