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Persecuzioni : Storie di sgomento, Professori, leggi razziali e Università

23 Mag 19

A cura di Gerardo Favaretto

Giulia Simone e  Pompeo Volpe  pubblicano con l’editore  Padova University Press  un libro prezioso cui danno il titolo estremante indovinato di “Posti Liberi : leggi razziali e sostituzione dei docenti ebrei alla università di Padova”. Si tratta di Donato Donati ordinario di diritto costituzionale e preside della facoltà di Scienze politiche, Marco Fanno ordinario di economia politica, Adolfo  Ravà ordinario di filosofia del diritto, Tullio Terni ordinario di anatomia umana normale e Bruno Rossi ordinario di fisica sperimentale; 5 dei 67 professori ordinari allora in servizio a Padova,  tutti direttori di Istituto. Nel libro si può trovare la puntuale ricostruzione del congedo e delle sostituzioni di questi docenti, posti repentinamente in quiescenza perché ebrei. In particolare, nella seconda parte curata da Pompeo Volpe si prendono in analisi i fatti legati al reintegro, nel dopoguerra, dei docenti assieme a un puntuale esame  su quale debba essere l’atteggiamento col punto di vista di oggi, relativamente alle responsabilità, specialmente quelle morali, in questa vicenda. Volpe, che si interroga anche sul comportamento di chi sostituì questi professori  , utilizza la categoria della colpa morale che prende  direttamente da  Karl Jaspers   ( La questione della colpa, Milano, Cortina, 1996) .
Alle leggi razziali contribuì in modo determinante quel manifesto sulla razza degli scienziati Italiani il cui primo firmatario fu Arturo Donaggio, Presidente della Società Italiana di Psichiatria. Solo nel 2017 la SIP giunge a fare pubblica ammenda di questa presa di posizione. Sulle circostanze in cui avviene l’ammenda  e, in generale,  al tema della persecuzione  dei pazienti psichiatrici Paolo Peloso  ha dedicato tre bellissimi interventi su questa rivista cui rimando :

1938-2018. Ottant’anni dal Manifesto degli scienziati razzisti.

PSICHIATRIA E NAZIFASCISMO. Un convegno accompagna l’apertura della mostra a Udine

LA MOSTRA DI ROMA E IL “MEA CULPA” DELLA PSICHIATRIA.

Ma che cosa successe praticamente nelle Università in seguito alle leggi razziali? Quali furono le esperienze ed i vissuti  delle persone improvvisamente allontanate e colpite nella loro identità personale e professionale? Per rispondere a queste domande è necessario riepilogare, brevemente, alcuni dei principali passaggi delle leggi razziali. Scelgo di riportare alcune parti dei decreti affinchè possa essere chiaro ed evidente il loro intento :

  • REGIO DECRETO-LEGGE 5 settembre 1938-XVI, n. 1390: Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista che nell’  Art. 3 recita :   
A datare dal 16 ottobre 1938-XVI tutti gli insegnanti di razza ebraica che appartengano ai ruoli per le scuole di cui al precedente art. 1, saranno sospesi dal servizio; sono a tal fine equiparati al personale insegnante i presidi e direttori delle scuole anzidette, gli aiuti e assistenti universitari, il personale di vigilanza nelle scuole elementari. Analogamente i liberi docenti di razza ebraica saranno sospesi dall'esercizio della libera docenza.
 
Fu in  base a questo primo  decreto i professori  vennero congedati il 16 ottobre del 1938. questo stabilì il definitivo  e irreversibile allentamento dal loro incarico.  In realtà il provvedimento non ebbe un consenso unanime anche all’interno del governo e del PNF ( S.Gentile La legalità del male Utet , Torino 2013)  dove le stesse leggi razziali, che all’epoca riguardavano circa 50.000 persone, erano viste da alcuni con perplessità. Le prime indicazioni date dal ministero comportarono la possibilità che fossero ottenute delle “discriminazioni” ovvero che alcune delle persone allontanate potessero essere “discriminati “ sulla misura delle limitazioni sociali e civili che li riguardavano. Le indicazioni fornite ai Rettori da parte del ministero comportavano la ricezione di una domanda da parte degli interessati che il Rettore avrebbe fatto pervenire al ministro dell’istruzione Grandi. Nella domanda dovevano essere elencati tutti gli elementi  di particolare merito  che dimostrassero la rilevanza straordinaria del profilo scientifico, culturale e civile  dei singoli professori ovvero la loro partecipazione  agli eventi bellici ( la prima guerra mondiale o le guerre coloniali o altri eventi ritenuti di rilevanza patriottica).
Gli interessati a Padova, come in altre Università presentarono tutti la domanda, forse in una situazione in cui non era ancora chiaro da quali svantaggi la "discriminazione" li avrebbe protetti.
Poco dopo però, a metà novembre, un nuovo decreto sistematizza e definisce in modo più preciso la natura dei provvedimenti e dei limiti che riguardavano gli ebrei: 
  • REGIO DECRETO LEGGE n. 1728 17 Novembre 1938   disciplina  la questione in due articoli  il 13:
Non possono avere alle proprie dipendenze persone appartenenti alla razza ebraica:
a) le Amministrazioni civili e militari dello Stato;
b) il Partito Nazionale Fascista e le organizzazioni che ne dipendono o che ne sono controllate;
c) le Amministrazioni delle Province, dei Comuni, delle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza e degli Enti, Istituti ed Aziende, comprese quelle dei trasporti in gestione diretta, amministrate o mantenute col concorso delle Province, dei Comuni, delle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza o dei loro Consorzi;
d) le Amministrazioni delle Aziende Municipalizzate;
e) le Amministrazioni degli Enti parastatali, comunque costituiti e denominati, delle Opere nazionali, delle Associazioni sindacali ed Enti collaterali e, in genere, di tutti gli Enti ed Istituti di diritto pubblico, anche con ordinamento autonomo, sottoposti a vigilanza o a tutela dello Stato, o al cui mantenimento lo Stato concorra con contributi di carattere continuativo;
f) le Amministrazioni delle aziende annesse o direttamente dipendenti dagli Enti di cui alla precedente lettera e) o che attingono ad essi, in modo prevalente, i mezzi necessari per il raggiungimento dei propri fini, nonché delle società, il cui capitale sia costituito, almeno per metà del suo importo, con la partecipazione dello Stato;
g) le Amministrazioni delle banche di interesse nazionale;
h) le Amministrazioni delle imprese private di assicurazione.
L’  Articolo 14 che definisce le eccezioni a tali disposizioni
Il Ministro per l'Interno, sulla documentata istanza degli interessati, può, caso per caso, dichiarare non applicabili le disposizioni dell'Art 10, nonché dell'Art. 13, lett. h):
a) ai componenti le famiglie dei caduti nelle guerre libica, mondiale, etiopica e spagnola e dei caduti per la causa fascista;
b) a coloro che si trovino in una delle seguenti condizioni:
1) mutilati, invalidi, feriti, volontari di guerra o decorati al valore nelle guerre libica, mondiale, etiopica e spagnola;
2) combattenti nelle guerre libica, mondiale, etiopica, spagnola che abbiano conseguito almeno la croce al merito di guerra;
3) mutilati, invalidi, feriti della causa fascista;
4) iscritti al Partito Nazionale Fascista negli anni 1919-20-21-22 e nel secondo semestre del 1924;
5) legionari fiumani;
6) abbiano acquisito eccezionali benemerenze, da valutarsi a termini dell'Art.16.
Nei casi preveduti alla lett. b), il beneficio può essere esteso ai componenti la famiglia delle persone ivi elencate, anche se queste siano premorte. Gli interessati possono richiedere l'annotazione del provvedimento del Ministro per l'Interno nei registri di stato civile e di popolazione. Il provvedimento del Ministro per l'Interno non è soggetto ad alcun gravame, sia in via amministrativa, sia in via giurisdizionale.
Le disposizioni da cui eventualmente il “discriminato”, sul parere del ministro dell’ Interno ,  sarebbe stato escluso riguardavano  queste eventualità :
a) prestare servizio militare in pace e in guerra;
b) esercitare l'ufficio di tutore o curatore di minori o di incapaci non appartenenti alla razza ebraica
c) essere proprietari o gestori, a qualsiasi titolo, di aziende dichiarate interessanti la difesa della Nazione, ai sensi e con le norme dell'Art. 1 del Regio decreto-legge 18 Novembre 1929-VIII, n. 2488, e di aziende di qualunque natura che impieghino cento o più persone, né avere di dette aziende la direzione né assumervi comunque, l'ufficio di amministrazione o di sindaco;
d) essere proprietari di terreni che, in complesso, abbiano un estimo superiore a lire cinquemila;
e) essere proprietari di fabbricati urbani che, in complesso, abbiano un imponibile superiore a lire ventimila. Per i fabbricati per i quali non esista l'imponibile, esso sarà stabilito sulla base degli accertamenti eseguiti ai fini dell'applicazione dell'imposta straordinaria sulla proprietà immobiliare di cui al Regio decreto-legge 5 Ottobre 1936-XIV, n. 1743. Con decreto Reale, su proposta del Ministro per le Finanze, di concerto coi Ministri per l'Interno, per la Grazia e Giustizia, per le Corporazioni e per gli scambi e valute, saranno emanate le norme per l'attuazione delle disposizioni di cui alle lettere c), d), e).
ed anche:
h) le Amministrazioni delle imprese private di assicurazione.

Richiedere la “discriminazione“, quindi,  significava ottenere  la possibilità  di accedere all’esclusione della applicazione di tale normativa ricevendo dei relativi benefici in relazione alla esclusione sociale.
E’ evidente che il significato emotivo e psicologico di tale richiesta di discriminazione  era anche quello di tentare una, seppure limitata nei fatti, “ riabilitazione “ della propria identità
 Tutti questi professori , che già erano sospesi , stilarono una domanda che comprendeva non solo il loro curriculum accademico, che era davvero molto rilevante per tutti, ma anche considerazioni biografiche, in qualche caso anche sulla propria famiglia, dichiarazioni di fede politica e di onestà intellettuale nei confronti del regime, testimonianza, per quasi tutti  di una fedeltà e alle idee del fascismo.  La stessa cosa che fanno, anche per opportunità politica, le comunità israelitiche quando nell’ottobre del 1938 firmano un documento di fedeltà e adesione al fascismo.
Il Rettore  raccolse  tali domande e  le doveva trasmettere al Ministro in virtù di  indicazioni ancora provvisorie. Le trasmise  il  3 novembre del 38. Il regio decreto che norma   i provvedimenti  razziali è  del 17 novembre, di conseguenza le domande trasmesse dal Rettore furono ritornate al mittente perché dovettero poi essere reinoltrate direttamente dagli interessati attraverso la Prefettura al Ministero dell’Interno. La stessa prefettura che prevedeva la denuncia e la registrazione delle persone come appartenenti alla “razza israelitica “
Uno dei tanti paradossi della tragica vicenda delle persecuzioni razziali  fu quindi di  definire  domanda di discriminazione  il  produrre istanza di essere escluso dalle discriminazioni cui si sarebbe stato oggetto perché di razza ebraica. Si chiedevano ai perseguitati dei distinguo  dopo averli definitivamente identificati nelle loro caratteristiche  razziali come all’art 8 recita i regio decreto del 17 novembre che puntualizza chi fosse da considerare ebreo e chi no e che in questo modo compiva una vera e originaria discriminazione.
Il fatto è che nelle richieste di discriminazione traspaiono evidentemente sgomento, stupore, perplessità, insomma molte emozioni e vissuti sui quali credo valga la pena di soffermarsi.
In primo luogo è necessario  dire che tutti i professori, ad esclusione del più’ giovane, Rossi, fisico poco più che trentenne, potevano contare su un passato di combattenti e di sostenitori della ideologia fascista nonché di attivi aderenti al regime e al partito fascista. Più l’identità fascista  e il passato da combattente sono netti  più le domande sembrano, fra le righe, porre la questione di quanto sia  davvero impensabile  che la  persona descritta  fosse la stessa che le  leggi imponevano di allontanare. Come potevano, loro,  gli  ideatori del Sistema essere a loro volta esclusi dal Sistema?
Nella sua  domanda il prof Ravà, per esempio,   fa appello  alla storia della sua famiglia. Documenta  l’esistenza di patrioti e combattenti per l’Italia fra i suoi antenati; come è possibile che una persona e una famiglia intrisa di   Italianità possa essere lo stesso soggetto poi indicato  come un  nemico della patria?
La posizione   esposta   nella  domanda  di un altro dei protagonisti di questa vicenda,  Fanno,  approfondisce ancora di più tale sgomento attraverso una negazione: io sono così italiano, dato  che non son ebreo, visto che non mi comporto da ebreo; mia moglie è cattolica, e io non ho nessun rapporto con la religione ebraica e con la comunità israelitica. Nel dirlo commette, come Ravà, una importante omissione, forse anche con sé stesso, ovvero  che il senso del provvedimento e della intenzione repressiva della politica razziale erano  identitari ossia  non legati a ciò che le persone avevano fatto o meno bensì, in modo primario alla loro identità.  A quella identità definita per legge  non a quello che loro avevano pensato o scelto di essere. Certamente non a quella continuità della loro esperienza che loro consideravano identità.
Ed è questo a generare un  conflitto ovvero il confronto fra quanto dice  la Legge,   con la sua inappellabile autorevolezza  e con la forza di un dovere interiore non  trattabile, che  dichiara queste persone  “fuorilegge” ed un percepito che attraverso la propria attività e professione invece li renderebbe esemplari.
Su questo si innesta la profonda contraddizione della normativa  che prevede la “discriminazione”. Come dice Gentile, la Legge chiede  ad alcuni ebrei di essere un po’ meno ebrei, senza però poterlo essere perché la legge dà dell’identità una definizione categoriale, assoluta. E in questo caso l’ identità “ razziale” per definizione costituisce una colpa originale.
Come ognuno di loro ha vissuto  la propria “ colpa” nel trovarsi soggetto a provvedimenti così improvvisi e degradanti?  Questa domanda  si potrebbe  allargare alle vittime di ogni persecuzione ovvero quale è la percezione di  chi,  perseguitato, ha della propria condizione di estromissione e dell’essere definito colpevole  non per una azione ma per l’essere  essere portatore  di una identità.
Nelle biografie e nello  sgomento delle domande di discriminazione continua ad insinuarsi questa profonda inquietudine: se io dico  di essere ciò che affermo di essere ovvero un coerente seguace del regime  anzi un intellettuale che ne ha implementato  le basi morali e culturali come faccio a non comprendere e condividere la scelta della mia soppressione che da quelle stesse basi è generata?
In pratica le possibilità di difendersi  da questa colpa sono davvero limitate e nei casi esaminati da Simone e Volpe si riconducono a tre tipologie o meglio a tre livelli di intensità nella considerazione di Sé e del proprio operato:
Nel caso di una totale identificazione con la colpa  è possibile difendersi negando completamente l’identità colpevole: non sono ebreo, non sono quel tipo di persona;  un secondo livello  è quello di manifestare una senso di inadeguatezza, di depressione   che potrebbe significare: per quanto io sia colpevole di essere ciò che sono  le mie azioni possono redimermi. Infine una  terza possibilità sembra essere quella di esibire una fiducia nelle proprie azioni così consolidata da rendere inutile il dubbio sulla identità che, francamente in una prospettiva di eccellenza, getta una ombra di legittimità sulla stesse Legge. A  maggior ragione se supportati da referenze , dai  pareri degli altri , dalla solidarietà degli altri . Quella solidarietà  fu però molto presente nella  relazioni personali ma nulla negli atti formali.  
Quello che non accadde mai fu la trasformazione della percezione dell’ingiustizia della colpa in  accusa a chi applica l’ esclusione, nessuna  protesta e nessuna  rivolta. Questo probabilmente non poteva accadere ma porterà un vivo rammarico, dopo,  fra i molti che assistettero al fatto .
Rossi , unico fra tutti , non accettò il reintegro nel ruolo dopo la guerra e, anche non troppo velatamente serbò, nei confronti dell’Università di Padova un comprensibile rancore.
La riflessione sulla colpa, quella morale in particolare ( Jaspers) porterebbe il ragionamento a interrogarsi sui vissuti di chi ha sostituito questi docenti. Su quegli altri docenti che accettarono di buon grado di prenderne il posto. Che magari rimasero anche in buoni rapporti con coloro che erano stati cacciati e che, una volta che questi furono reintegrati  convissero e collaborarono come se non vi fosse stato nulla. Solo qualche allusione e molto silenzio.
E’ lo stesso silenzio che abbiamo riscontrato intorno alle più gravi persecuzioni comprese quelle della deportazioni di pazienti dagli ospedali psichiatrici italiani (vedi oltre agli interventi di Peloso ,  G.Favaretto : Tra documenti ed eventi storie di deportazione dall’ospedale psichiatrico di Treviso “ in “La psichiatria italiana fra ottocento e novecento” a cura di M.Aliverti Roma 2018
Quel silenzio è uno stimolo a pensare a tutto ciò che allora non poteva essere detto ; che detto oggi per allora probabilmente è non adeguato, ma che pensato oggi per oggi potrebbe essere davvero molto importante.
 
 
 

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