Percorso: Home 9 Rubriche 9 Editoriale 9 PIETA’ E SILENZIO PER VERONICA

PIETA’ E SILENZIO PER VERONICA

10 Dic 14

A cura di FRANCESCO BOLLORINO

 

Ove le accuse nei confronti di Veronica Panarello si rivelassero fondate credo che alcune riflessioni siano necessarie…
Cosa si deve dire di fronte ad eventi come questo?
Di fronte a tragedie come quella di Santa Croce Camerina le persone si domandano e chiedono un perché soprattutto quando, come in questo caso, non stiamo parlando di una spirale ingravescente di violenze, in un degrado umano che può contenere il primum movens ma di un gesto che sembra comparire dal nulla, senza prodromi significativi nel rapporto madre figlio o forse sarebbe più giusto dire dalle tenebre della mente.
Serve a qualcosa “l’anamnesi” del caso?
Forse che non ci sono tante storie simili che non sfociano in un delitto?
Io credo che solo il silenzio sia possibile in casi come questo.
Silenzio e pietà per una persona, Veronica, che dovrà convivere, se colpevole, per sempre col ricordo di ciò che è avvenuto.
Silenzio e pietà difficili da chiedere forse.
Parlarne, analizzare il fatto, infatti, è solo un modo per porre lontano da noi in un “altro” da noi un fatto che più che non comprensibile va a incrociare i nostri sentimenti e incrinare le nostre certezze rendendole fragili, mettendo a nudo il fatto incontrovertibile che non esistono famiglie in stile “Mulino Bianco” che non sono MAI esistite e MAI esisteranno essendo da sempre il pabulum di grandi dolori accanto sia chiaro a grandi gioie  e che  appunto siamo  fragili e  il lato oscuro è in ognuno di noi anche se non necessariamente si manifesta in gesti così disperatamente irreparabili.
Scorreranno fiumi d’inchiostro e di parole videotrasmesse in questi giorni, non so quanto sincere o quanto volte all’aumento dell’audience: io vorrei che si alzasse solo una cortina di silenzio e che la fame catartica di spiegazioni e notizie fosse sostituita dall’umana pietà.
Chiedo troppo?
Vado controcorrente?
Elicito fantasmi presenti in ognuno?
Forse, ma non so nè voglio dire altro: PIETA’ E SILENZIO

PS: Un'utile lettura di approfondimento può essere rappresentata dal contributo di Massimo Recalcati a suo tempo pubblicato sulla rivista, IL COMPLESSO DI MEDEA, raggiungibile seguendo il link.
 

Loading

Autore

5 Commenti

  1. sansoni.riccardo

    Non vorrei contravvenire
    Non vorrei contravvenire all’appello di pietà e silenzio…
    Se possibile una notazione, giusto per chiarire meglio le idee col vostro aiuto, l’atteggiamento aggressivo di chi condanna la violenza urlando “la devi pagare” a mio avviso è paradossale. La violenza contro un assassino (presunto) é comunque violenza, di per se parte della medesima natura malvagia che si disdegna. Quindi vorrei capire e dall’articolo lo intuisco: la sua funzione é catartica? Nella mente di chi si lascia andare al linciaggio dell’aguzzino c’é l’ idea di ripulire l’ambiente in cui vive?

    Si anche se il gesto è atroce ci vuole molta pietà per chi dovrà vivere per sempre col ricordo di quanto avvenuto. …….e mi permetto di notare che forse sarà ancora piu straziante ricordare il fatto della morte senza avere memoria della condotta di cui si viene incolpati e di cui (forse) si è autori.

    Rispondi
  2. kharban@virgilio.it

    Parole condivisibilissime
    Parole condivisibilissime quelle di Francesco Bollorino, che ben possono capire tutti i colleghi psicoterapeuti, medici e psicologi, quotidianamente impegnati nel compito impossibile di lavorare all’elaborazione di traumi inaccettabili alla mente di chi ne è vittima oppure responsabile.
    Di fronte a una madre il cui figlio viene assassinato, abbiamo un’idea sia pure approssimativa dell’orrore, della disperazione e del lutto che seguiranno. Ma di fronte alla madre assassina della propria progenie, spesso ci rifiutiamo di pensare, scacciandone violentemente l’immagine e seppellendola sotto una catasta di maledizioni.
    Per questo, soltanto chi abbia il compito di aiutare un paziente a ri-connettere esperienze dissociate collegandole al resto dell’esperienza, sa quanto la ferita della madre assassina sia più devastante e irrimediabile di chi di tale violenza è stata soltanto vittima. E sa anche come ogni possibile “verità” circa l’accaduto possa scaturire soltanto all’interno di una relazione empatica fatta di riserbo, rispetto e segretezza.
    I mezzi di informazione, e in particolare la televisione, invece, si stanno incaricando ancora una volta di dare il peggio di sé, ammassando cascami di notizie da ogni fonte e assemblandoli in un pot-pourri che viene ad assumere il carattere grottescamente “autorevole” di verità ufficiale: “l’ha detto la televisione”. Ma solo chi può confrontare le verità scoperte nell’ambito di una relazione di intimità sa quanto, il più delle volte, le storie rese pubbliche dagli organi di informazione siano gravemente distorte.
    Taciamo, dunque. Soprattutto se siamo considerati degli “esperti”.

    Rispondi
    • simonetta.putti

      Francesco Bollorino in
      Francesco Bollorino in questo denso editoriale invita al silenzio ed alla umana pietà. Se prendessimo alla lettera il messaggio dovremmo astenerci anche dai commenti, ma credo ci si debba situare in sintonia allo ‘spirito’ della richiesta, che mi sembra piuttosto reclamare lo smorzamento degli eccessi ed il ritorno ad una più pacata visione dei fatti. Nonché ad un vissuto auspicabilmente più equilibrato in ognuno di noi.
      Il nostro sembra essere il tempo degli eccessi: concordo pienamente nel desiderio di un silenzio massmediatico, soprattutto confesso che vivo con ribrezzo le non poche trasmissioni televisive che utilizzano la tragedia come scoop, il dolore come ingrediente di successo.
      Il nostro sembra essere anche il tempo delle ambiguità e delle rimozioni, e spesso ne vediamo gli esiti paradossali.
      La morte esorcizzata e rimossa ma anche spettacolarizzata; i buoni sentimenti esaltati ma anche dismessi nel prevalere di una indifferenza sociale. Mi viene in mente il bel libro di Marco Politi.. ‘Senza vergogna’. Nella nebbia grigia della prevalente indifferenza, si sono smarriti anche il rispetto della dignità umana, ed il pudore inteso come senso del limite. La nebbia sembra spezzarsi a tratti in presenza di improvvise tragedie o atti violenti: allora gran parte del paese prende a commentare, ad esprimere posizioni pregiudiziali…improvvisi flash di luce apparente, che perdurano sino all’appalesarsi di un nuovo fatto efferato.
      Potrei continuare a scrivere, come persona e come analista, ancora a lungo…ma già forse ho superato i limiti editoriali. Mi piacerebbe (ma questa forse è la mia utopia) che noi si raggiungesse quella adeguata distanza emotiva dai fatti stessi, quella distanza che ci salva dal diventare ‘giustizieri’ o ‘buonisti’. Grazie, Francesco, per le tue riflessioni.

      Rispondi
  3. info_1

    Leggendo vari articoli e
    Leggendo vari articoli e commenti sull’omicidio di Stival, noto che si vanno pericolosamente ingrossando le fila
    degli opinion-articolisti i quali, mancando quasi sempre delle minime ( e necessarie) nozioni di clinica differenziale,
    producono un dire che sconfina, involontariamente, in una sorta di giustificazionismo a-critico involontario, o forse no, sparando cartucce retoriche che sono state risparmiate in tanti altri casi di cronaca ma che vedono in questo caso ( la madre in difficoltà e il sospetto omicidio) un bersaglio elettivo di esibizione, che raffazza elementi teorici presi qua e là, mescolati ad un antico e malriposto spirito di condivisione di una male interpretata idea di ‘ maternità condivisa’, per la quale la difficile condizione di mamma dovrebbe portare chi conosce questo stato dell’essere, a condividerne anzitutto le pene, lasciando per strada quella che è la scelta unica ed irrinunciabile di ognuno di noi. ‘ Ah, noi che siamo madri, possiamo ben capire cosa sia successo nella mente di quella donna’.

    Si propaga in rete un desiderio dell’articolessa da produrre ed esibire per innescare dibattiti generalisti ( giacchè la verità deve ancora essere acclarata), che sconfina a volte in retorica allo stato puro,
    altre volte ancora in pseudo psicologismi da quattro soldi gettati li, tanto per dire che ,in fondo, ‘ qualcosa c’era, lo si poteva scorgere’. Questi articoli, dei quali ci si bea ( hai visto quanti applausi ho pigliato?) sovente rasentano il grottesco, altre volte ancora nascondono notti di letture affrettate di formule cliniche che sono sparate su un fatto di cronaca, così, tanto per scrivere.

    In molte di queste prolusioni la donna è , tout court, ‘ammalata’ ( così è definita la sospetta in un editoriale dell’Huffington Post) .Ritenuta cioè aprioristicamante affetta da una qualche patologia dell’animo senza un benchè minimo appiglio di diagnosi effettuata da chichessia.
    E’ vittima, ancor prima che carnefice.
    Più del bambino, dimenticato tra le righe,

    Nessuno , dico nessuno, ancora ha abbozzato un minimo di indagine critica,
    solo ci sono in giro stralci presunti della vita della suddetta, dedotti ora da una dichiarazione di un congiunto , ora da ‘ conversazioni telefoniche’.(!)
    In questo modo frasi quali ‘ quella la era violenta sin da piccola, aveva sensi di persecuzione.. ‘ viene presa come verità oggettiva, ( ‘l’hanno detta senza sapere di essere intercettati, dunque è vero’) o come punto diagnostico assoluto ed indiscutibile da masanielli schierati pro o contro, sulla quale fondare la loro arringa e le loro deduzioni.

    Quando l’analisi si fa più ‘sofisticata’ ( sic) allora entra in gioco l’onnipresente ‘depressione’, o altre sfumature doloroso-patologiche della psiche ( ho letto anche lo stress come primum movens dell’omocidio) , che naturalmente determinano in senso quasi diretto il far fuori il proprio figlio.
    Depresso diventa automaticamante omicida.
    Una aberrazione diagnostica, un non sequitur, una gran guignol di termini clinici, credenze e adagi popolari.

    Ma tant’è.

    Non siamo nel campo della dissertazione clinica, quanto in quello del ‘ trovane una grossa’, sul cui piano allora è possibile dire tutto e il contrario di tutto.

    Tra le righe, una sequela di cause già trovate ( per un colpa ancora da dimostrare):
    ‘ Incapacità di gestire le emozioni’, ‘ mancanza di rete’, ‘padre non trovato ( e daje! mica poteva mancare il padre assente..).
    ‘Suicidio cercato attraverso la morte del figlio’, ‘Infanzia difficile e dolorosa’
    e altre cose così. Adagi semipopolari che assurgono a causa del crimine, determinismo de noantri.
    Criminologia per tutte le tasche.
    Non ho ancora sentito ‘lo sradicamento territoriale’, o il ‘vedere la propria femminilità sfiorire nella maternità’ o ‘il marito troppo preso dal lavoro’ tra le spiegazioni dell’agire della mano omicida. Ma so che sono in agguato di penna.
    Sono stati usati in casi simili, torneranno fuori.

    Ormai tutto è glamour, tutto è espertologia, tutto è baccano mediatico.
    Tutto deve trovare una giustificazione clinica.
    Anche quando questa o non c’è, o nessuno ancora si è dato da fare per trovarla.

    Mi sento di arrogarmi silenzio di chi il mio lavoro lo fa. Nel merito di questo caso, non nel suo dilagare mediatico. Sul quale, infatti, queste cose le scrivo.

    Chi si occupa della mente umana, sa bene che esistono delle barriere tra la capacità di intendere e di volere, e la non capacità di farlo.
    Che gli stati dissociativi, la psicosi paranoica, il passaggio all’atto non riconosciuto esistono. Esistono eccome.
    Ma stanno in luoghi ben precisi. E con altrettanto scrupolo e precisione devono essere accertati.
    E, nel caso, usati non per infliggere la pena al malato. Ma per salvarlo dai questi agiti incontrollabili.

    Per tutto il resto, si sceglie.
    Nella difficoltà, nella tragicità di certe vite.
    Nella povertà materiale morale nella quale molte donne versano, si sceglie.
    Di vivere o morire.
    DI dare la morte,o di non darla.

    E su questo che si gioca la responsabilità del soggetto.

    Tutto ciò assomiglia , dannatamente, a quel famoso ‘ crollo emozionale’,
    o ‘sfasamento pulsionale’, o ‘ difetto genetico’, formule farlocche con le quali sovente vengono assolti, o quasi, i peggiori energumeni perversi che massacrano le loro donne e le loro figlie.

    Rispondi
  4. ipnosi

    Il silenzio allora dovrebbe
    Il silenzio allora dovrebbe essere a monte e certe notizie non dovrebbero neanche essere trasmesse.
    E non ci dovrebbe essere neanche una copertura mediatica tale da far entrare in casa i volti dei personaggi coinvolti.
    Solo questo è il modo per far calare il silenzio.

    Però non sono neanche d’accordo sul censurare il sentire ed il ragionare della gente comune, o meglio delle persone. Sono comunque persone che esprimono il loro sentire ed il loro ragionare, e non importa se siano pluri-laureate o portatrici di un ignoranza graniticaa: sono comunque esseri umani che popolano il nostro spazio ed il nostro tempo e qualunque loro commento è un comportamento e come tale oggetto di studio della psicologia.

    Rispondi

Invia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Caffè & Psichiatria

Ogni mattina alle 8 e 30, in collaborazione con la Società Italiana di Psichiatria in diretta sul Canale Tematico YouTube di Psychiatry on line Italia