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Placido Consiglio (1877-1959) e la psichiatria militare italiana dopo la strage di Pizzofalcone

1 Lug 17

A cura di Luigi Benevelli

La strage di Pizzofalcone ad opera del soldato calabrese Salvatore Misdea, come abbiamo visto, interrogò a fondo medici psichiatri e intellettuali italiani come Cesare Lombroso ed Edoardo Scarfoglio impegnati a ricercarne e discuterne i tratti e le possibili ragioni e cause. Ma interrogò anche i medici e gli psichiatri militari richiesti di mettere a punto criteri di  selezione alla visita di leva in grado di impedire quanto più possibile l’arruolamento di soggetti “degenerati” e “anormali” come il Misdea e parametri per la valutazione precoce dei comportamenti “irregolari” delle reclute dopo l’arruolamento.
In quest’opera si distinse Placido Consiglio (1877-1959), psichiatra di scuola positivista medico militare, assistente del Mingazzini a Roma, che partecipò alla guerra di Libia del 1911, alla prima e alla seconda guerra mondiale, terminando la carriera col grado di Maggiore Generale Medico. Dopo la campagna di Libia pubblicò sulla rivista «Scuola positiva» l’articolo Osservazioni dirette sui militari pregiudicati e delinquenti nella guerra di Libia dal quale sono tratte le citazioni che seguono[1].
Dopo aver premesso che “l’esercito […] va acquisendo ognor più una funzione sociale, educativa e di nazionalizzazione dei valori regionali” e che “la disciplina obbliga, in numerose circostanze, alla obbedienza più pronta e più  assoluta che non può non urtare maggiormente i refrattarii, o far cedere i più deboli e gli emotivi”, Consiglio propone la definizione di anomalo di De Giovanni:
Biologicamente, l’anomalo rappresenta una deviazione dal tipo e lo si deve intendere come in una condizione di incompletezza evolutiva della personalità fisio-psichica, la quale, cioè, trovasi in modo imperfetto, insufficiente, irregolare o dismorfico integrata nei suoi elementi costitutivi. E, socialmente, l’anomalo si manifesta con la inadattabilità, o col facile disadattamento alle condizioni di esistenza collettiva di un dato periodo e clima storico, in quella determinata fase di sviluppo dell’aggregato. Tale è nella vita ordinaria ed in pace, e tale come militare ed in guerra: anzi più viva è in questo la biologica reazione contro l’ambiente, per la più stretta disciplina. E «reazione biologica» sono, in fondo, tanto le azioni criminose quanto gli episodi nevrotici[2].
Qui, sulla base della propria esperienza di vita in guerra, Consiglio distingue gli “amorali, degenerati etici”  dai “nevrotici,  squilibrati non privi di senso morale, […] instabili, anziché antisociali per costituzione”. Questi ultimi “in guerra […] sono stati ardimentosi […] ed hanno meravigliato perché –refrattarii alla disciplina ed alle punizioni- erano ritenuti cattivi soldati, di incorreggibile condotta, insofferenti ai freni, insubordinati […]. Invece […] la differenza sostanziale è enorme. Bene inteso, che l’anomalo avventuriero può essere un antisociale, perché inadattabile alla vita comune e metodica […]. Ma nella guerra può essere ed è stato eroe, ed ottimo soldato. L’anomalo amorale è invece un abulico, un egoista, un frigido perché analgesico di sentimenti e di affetti, un insociabile perché non sente la solidarietà […]. In guerra questi è un vile, fondamentalmente, anche se in date circostanze manifesta, utilmente e ai fini della guerra, la prepotenza e la violenza del suo istinto. […]
Menare bene le mani, fare impeto contro i nemici, e ammazzarne buon numero, non uguaglia né il criminale all’avventuriero, né l’uno e l’altro all’uomo sociale, come non eguaglia lo sfrenarsi degli istinti di violenza brutale all’alta coscienza del dovere e del sacrifici. […] È la massa dei normali che ha dato prova realmente di prodigi di valore incessante, oltre che di disciplina e di  mirabile saldezza nel lavoro e nel sacrificio”.
Consiglio passa in rassegna 225 processi di militari condannati a tutta la prima decade del marzo 1912, calcola i tempi  di commissione del reato più o meno precoci rispetto all’arrivo a Tripoli, suddivide i casi dal punto di vista clinico in 4 gruppi:
a)      Gli occasionali, gli emotivi, gli intossicati transitoriamente (da alcool, da fatica, da veglia prolungata in servizio di vedetta, in trincea ecc.) con buoni od ottimi precedenti sociali  e disciplinari, rappresentanti la minima criminalità, e questa per lo più di carattere particolarmente militare;
b)     Quelli con precedenti sociali, e soprattutto disciplinari, discreti o mediocri; sono dei maleducati sociali, qualche illegittimo, alcuni richiamati, forse in istato di disagio acuto per la nostalgia della famiglia, o perché facili a essere trascinati da altri più tristi, o perché hanno temperamento rozzo e reattivo;
c)      Gli emotivi, nevrotici veri, squilibrati, anomali intellettuali, instabili e avventurieri nelle tendenze, di cui molti venuti volontari, facilmente stancantisi una volta cessato l’interesse psicologico della novità, ed allora manifestatisi ribelli, insofferenti, indisciplinati, ma non «amorali»;
d)     Gli amorali, i degenerati veri, i delinquenti abituali, i violenti, molti col carattere dell’epilettoidismo, a gli uni e gli altri –amorali e violenti- del tutto refrattarii all’ambiente, restii alla disciplina, prepotenti e impulsivi sì, a ben disposti ad esimersi dai combattimenti, dalle ricognizioni arate, dai servizi di vedetta notturna[3].
Nel gruppo d) riporta il caso di grave insubordinazione e tentato misdeismo condannato a 7 anni di reclusione militare[4].
E  conclude:
gli anomali costituzionali, delinquenti nati e abituali non sono affatto dei coraggiosi in battaglia e danno pessimo rendimento militare in tutto il resto della vita di guerra […]. Da essi va distinto un minor numero di anomali, non costituzionalmente asociali, a piuttosto instabili e di spirito avventuriero, i quali però essi stessi non persistono nelle fatiche, nel sacrificio, nemmeno nella combattività. […] In guerra, il delitto si presenta come l’episodio acuto finale di tutta una condotta cattiva, dove l’indisciplina militare non è, essa medesima, se non la continuazione dell’indisciplina famigliare e sociale. […]
Infine, noi siamo ben lungi dall’affermare un’impossibilità di riadattamento sociale in tutti quanti i pregiudicati. Ci sono i riadattabili e quelli che sarebbero stati riadattabili. […] per la rieducazione sociale occorrono regole, mezzi, tempestività in rapporto all’età,  cure, condizioni, durata protratta a seconda dei casi[5].

 

 
Nota:  i corsivi sono dell’Autore



[1] «Scuola positiva», gennaio 1913, pp. 1-14.
[2] Ibidem, p. 3.
[3] Ibidem, p. 7.
[4] Mart., del ’86, pregiudicato, 3 anni in casa di correzione, già condannato a 4 anni di reclusione militare per grave insubordinazione, epilettoide quando beve, litigioso e ribelle. Si portò bene nelle giornate di ottobre, ma poi si stancò e protestava spesso contro la guerra. Il 7 novembre si ubbriacò in servizio, e poi commise grave insubordinazione con tentato misdeismo. Condannato a 7 anni di reclusione militare.
[5] Ibidem, pp. 13-14.

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