Renzo Meregazzi fu un alto funzionario del Ministero dell’Africa Italiana (MAI): è citato da Angelo Del Boca insieme a Angelo Piccioli e Arturo Ferrara fra i più alti burocrati del Ministero in Gli italiani in Africa orientale – III La caduta dell’Impero, Mondadori, Milano, 11° ed., pagina 144 ; da Riccardo Bottoni ( a cura di) in L’Impero fascista, il Mulino, 2008, p. 409, come capo di gabinetto del MAI; da Chiara Giorgi in L’Africa come carriera, Carocci, Roma, 2012, a pagina 184 fra i funzionari con qualifica di ex-governatori o di segretari generali di Governo sottoposti a giudizio di epurazione (poi prosciolti) e a pagina 186 per essere stato considerato “il tipico esempio di carriera fascista” perché promosso direttamente ai primi gradi della carriera direttiva da Mussolini stesso”.
Renzo Meregazzi pubblicò negli «Annali dell’Africa Italiana», anno II, settembre 1939, vol. III il saggio Lineamenti della legislazione per l’Impero che contiene il capitolo La politica di razza (pp. 68- 83) da cui sono tratte le citazioni che seguono.
(68) Corollario e coronamento ad un tempo della politica indigena del Fascismo è la tutela della purezza della razza dominatrice. […]
La politica coloniale italiana si rivelò istintivamente razzista fin da quando l’Italia prese piede sulle sponde del Mar Rosso e dell’Oceano Indiano. La teoria dell’assimilazione venne da noi respinta come falsa e pericolosa. Noi pensiamo che nelle nazioni in cui esiste la coscienza di razza […] la colonizzazione non può avere altro risultato che un pericoloso decadimento dei valori etici. Questa coscienza […] è altresì il lievito morale che dà il diritto ad una Nazione civile di colonizzare regioni meno evolute, di fornire ad esse mezzi di vita più progrediti […]. Dissentiamo profondamente dai teorici (che) […] invocano una soluzione giuridica per il problema del meticciato ed un legale riconoscimento del fenomeno anormale del concubinaggio con le indigene. (69) […]
Tutti concordano nel giudicare il meticciato una dolorosa piaga, una sorgente di infelici e di spostati. Di qui una condizione di disarmonia morale che, aggiungendosi alle disarmonie fisiche e elle eredità patologiche, fa generalmente degli ibridi delle terre di conquista una categoria sociale invisa a dominati e dominatori, causa di irrequietudine, di debolezza e di disordini per la compagine coloniale. […] La razza non si risolve nel solo fatto biologico […] dai dati antropologici, dagli indici craniali, dalla statura, dal colore dei pigmenti e degli occhi, ma principalmente dalle attitudini umane, che sono insieme un diretto prodotto degli attributi somatici, funzionali e spirituali dell’individuo e del popolo cui esso appartiene. Ed è appunto in queste attitudini che la individualità italiana balza evidente sullo sfondo della storia nel confronto di tutti gli altri popoli […].
Già nella legge organica per l’A.O.I. nessuna norma tutela la cittadinanza di una donna italiana o comunque di razza bianca maritata ad un suddito; anzi una precisa disposizione afferma che la donna coniugata con un suddito diventa, in seguito alle nozze, suddita a tutti gli effetti, volendo il legislatore segnare la degradazione di razza e di civiltà di chi dimenticasse ogni dignità nazionale e personale.
Renzo Meregazzi pubblicò negli «Annali dell’Africa Italiana», anno II, settembre 1939, vol. III il saggio Lineamenti della legislazione per l’Impero che contiene il capitolo La politica di razza (pp. 68- 83) da cui sono tratte le citazioni che seguono.
(68) Corollario e coronamento ad un tempo della politica indigena del Fascismo è la tutela della purezza della razza dominatrice. […]
La politica coloniale italiana si rivelò istintivamente razzista fin da quando l’Italia prese piede sulle sponde del Mar Rosso e dell’Oceano Indiano. La teoria dell’assimilazione venne da noi respinta come falsa e pericolosa. Noi pensiamo che nelle nazioni in cui esiste la coscienza di razza […] la colonizzazione non può avere altro risultato che un pericoloso decadimento dei valori etici. Questa coscienza […] è altresì il lievito morale che dà il diritto ad una Nazione civile di colonizzare regioni meno evolute, di fornire ad esse mezzi di vita più progrediti […]. Dissentiamo profondamente dai teorici (che) […] invocano una soluzione giuridica per il problema del meticciato ed un legale riconoscimento del fenomeno anormale del concubinaggio con le indigene. (69) […]
Tutti concordano nel giudicare il meticciato una dolorosa piaga, una sorgente di infelici e di spostati. Di qui una condizione di disarmonia morale che, aggiungendosi alle disarmonie fisiche e elle eredità patologiche, fa generalmente degli ibridi delle terre di conquista una categoria sociale invisa a dominati e dominatori, causa di irrequietudine, di debolezza e di disordini per la compagine coloniale. […] La razza non si risolve nel solo fatto biologico […] dai dati antropologici, dagli indici craniali, dalla statura, dal colore dei pigmenti e degli occhi, ma principalmente dalle attitudini umane, che sono insieme un diretto prodotto degli attributi somatici, funzionali e spirituali dell’individuo e del popolo cui esso appartiene. Ed è appunto in queste attitudini che la individualità italiana balza evidente sullo sfondo della storia nel confronto di tutti gli altri popoli […].
Già nella legge organica per l’A.O.I. nessuna norma tutela la cittadinanza di una donna italiana o comunque di razza bianca maritata ad un suddito; anzi una precisa disposizione afferma che la donna coniugata con un suddito diventa, in seguito alle nozze, suddita a tutti gli effetti, volendo il legislatore segnare la degradazione di razza e di civiltà di chi dimenticasse ogni dignità nazionale e personale.
0 commenti