
Renzo Meregazzi pubblicò negli «Annali dell’Africa Italiana», anno II, settembre 1939, vol. III il saggio Lineamenti della legislazione per l’Impero che contiene il capitolo La politica di razza (pp. 68- 83) da cui sono tratte le citazioni che seguono.
(68) Corollario e coronamento ad un tempo della politica indigena del Fascismo è la tutela della purezza della razza dominatrice. […]
La politica coloniale italiana si rivelò istintivamente razzista fin da quando l’Italia prese piede sulle sponde del Mar Rosso e dell’Oceano Indiano. La teoria dell’assimilazione venne da noi respinta come falsa e pericolosa. Noi pensiamo che nelle nazioni in cui esiste la coscienza di razza […] la colonizzazione non può avere altro risultato che un pericoloso decadimento dei valori etici. Questa coscienza […] è altresì il lievito morale che dà il diritto ad una Nazione civile di colonizzare regioni meno evolute, di fornire ad esse mezzi di vita più progrediti […]. Dissentiamo profondamente dai teorici (che) […] invocano una soluzione giuridica per il problema del meticciato ed un legale riconoscimento del fenomeno anormale del concubinaggio con le indigene. (69) […]
Tutti concordano nel giudicare il meticciato una dolorosa piaga, una sorgente di infelici e di spostati. Di qui una condizione di disarmonia morale che, aggiungendosi alle disarmonie fisiche e elle eredità patologiche, fa generalmente degli ibridi delle terre di conquista una categoria sociale invisa a dominati e dominatori, causa di irrequietudine, di debolezza e di disordini per la compagine coloniale. […] La razza non si risolve nel solo fatto biologico […] dai dati antropologici, dagli indici craniali, dalla statura, dal colore dei pigmenti e degli occhi, ma principalmente dalle attitudini umane, che sono insieme un diretto prodotto degli attributi somatici, funzionali e spirituali dell’individuo e del popolo cui esso appartiene. Ed è appunto in queste attitudini che la individualità italiana balza evidente sullo sfondo della storia nel confronto di tutti gli altri popoli […].
Già nella legge organica per l’A.O.I. nessuna norma tutela la cittadinanza di una donna italiana o comunque di razza bianca maritata ad un suddito; anzi una precisa disposizione afferma che la donna coniugata con un suddito diventa, in seguito alle nozze, suddita a tutti gli effetti, volendo il legislatore segnare la degradazione di razza e di civiltà di chi dimenticasse ogni dignità nazionale e personale.
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