Nell’articolo scorso, Antonella riportava gli stimoli positivi provenienti dalla Conferenza della Salute Mentale e il suo sentirsi rigenerata. Al contrario, non posso dire di sentirmi nella stessa condizione, anzi quello che provo somiglia più a stanchezza, stress e spossatezza, sia per via dei ritmi frenetici del lavoro e della vita quotidiana, sia perché la dura realtà ci mostra che siamo ben lontani dalla bella metafora del togliersi le scarpe, ben descritta da Antonella nell’articolo del mese scorso.
Si possono infatti cogliere contraddizioni all’interno del Servizio, in cui il recovery, a volte, risulta un concetto soltanto sbandierato, ma non effettivamente favorito. E talvolta, purtroppo, anche un confronto professionale onesto e costruttivo con i colleghi diventa impresa ardua.
Sono difficoltosi poi i rapporti con i Servizi, gli Enti e le Associazioni del Territorio, in un lavoro di rete necessario e fondamentale per il complesso percorso di recovery. Con molta amarezza, a volte, ci si trova ancora di fronte a pregiudizi e timori riguardo al disturbo mentale e a un atteggiamento volto al controllo sociale più che all’inclusione, rendendo difficile una collaborazione davvero finalizzata al reinserimento dell’utente nella società.
Mi consolo però pensando che, probabilmente, queste difficoltà sono comuni a tutti i servizi di salute mentale e che quanto detto prima non valga per fortuna per tutti i servizi, enti ed associazioni esterni. In fondo, pur con i nostri difetti, nel nostro piccolo, presso il Centro di Salute Mentale, ci impegniamo a fornire un’offerta ampia e variegata di attività, per rispondere al meglio ai bisogni dell’utenza, con un personale preparato e di certo, si spera, con la voglia di aggiornarsi, confrontarsi e migliorarsi per fare bene e meglio il proprio lavoro, e soprattutto per garantire all’utente il ritorno o la conquista del protagonismo nella propria vita. Finché ci sarà, all’interno dei vari Servizi, qualcuno che crede e che si batte per l’affermazione dei principi del recovery, la speranza di un’inversione di tendenza è possibile.
Mi accingo dunque a scrivere all’inizio delle tante agognate ferie, con l’auspicio di poter anch’io dire, dopo il relax delle giornate trascorse al mare, “Mi sento rigenerata”.
Gli ultimi due incontri del gruppo Noi Due, prima della pausa estiva, sono stati davvero interessanti e stimolanti per quel che riguarda il lavoro da svolgere con le voci. Siamo riusciti a realizzare le “strutture delle voci” di alcuni partecipanti, secondo il metodo di Ron Coleman. Consiste nel rappresentare fisicamente le voci degli uditori, facendole impersonare dagli altri membri (compresi i facilitatori) e, poi, facendo osservare tale rappresentazione dall’esterno all’uditore stesso, a sua volta impersonato da un altro uditore (o facilitatore). Queste drammatizzazioni permettono di cambiare la prospettiva da cui guardare all’esperienza vissuta e aprono a nuove strategie di affrontamento delle voci. È stata un esercizio davvero emozionante, che permette a chi non è protagonista del fenomeno di avere un’idea di ciò che prova l’altro, di immedesimarsi nell’altro, e promuove quindi una vicinanza emotiva.
Inoltre, da qualche settimana, ci sono stati al gruppo nuovi ingressi, che hanno portato nuove interessanti storie e stimoli positivi per raggiungere il potere sulle voci.
In particolare, l’arrivo di una ragazza giovane, poco più che ventenne, ha portato una ventata di freschezza e, nell’ultimo incontro, ha stimolato la conversazione partendo dalla crisi da lei provata, e riferita al gruppo, a causa dell’incontro con delle persone, di cui sente le voci.
È stato possibile quindi ricordare che le crisi possono avvenire e che esse sono il segno di un cambiamento, di un passaggio, che determina qualcosa di diverso in futuro. La crisi è un’opportunità di crescita e va attraversata per evolvere.
La riflessione si è spostata poi sulla responsabilità che si ha delle proprie azioni quando si asseconda ciò che viene ordinato dalle voci. Qualcuno riferisce che a volte non ha potuto fare altro che ascoltare ed assecondare quanto gli imponeva di fare la voce. “Non potevo fare altrimenti, non riuscivo a non obbedire alla voce”. Ciò che nel gruppo si vuole raggiungere è la capacità di avere sempre il controllo cosciente su di sé e le voci, “di essere capaci di intendere e volere sulle voci”, la decisione dev’essere dell’uditore, in piena coscienza e responsabilità.
Uno dei partecipanti suggerisce che bisogna sempre confrontarsi con le voci, trovare il modo di affrontarle e, se può essere d’aiuto, “portarsi il gruppo a casa”, pensare gli altri vicini con il loro supporto e i loro suggerimenti anche in loro assenza, riuscire ad interiorizzare la funzione propria del gruppo di accoglimento e contenimento della sofferenza e le strategie che ne vengono, per attingervi quando se ne ha bisogno.
Penso allora alla signora che, per i mesi di luglio ed agosto, ha scelto di sospendere la partecipazione al gruppo, per dedicarsi alle vacanze e tornare a settembre. Nonostante stia trascorrendo questo periodo nei luoghi che più ama e che di solito la fanno stare bene, mi scrive su Whatsapp di stare proprio molto male e di essere ricaduta in depressione; non riesce a capirne il motivo. Spero che lei riesca a “portare il gruppo a casa”, e che ciò le sia di aiuto nell’affrontare le difficoltà attuali.
Pensandoci bene, vale anche per me la regola del portarsi il gruppo a casa e forse anche questo mi accompagnerà, durante le ferie, lungo la mia personale strada verso la necessaria rigenerazione.
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