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Positivo al Covid, positivo alla vita di Davide D’Alessandro

25 Ott 20

A cura di Davide D'Alessandro

Oggi niente libri, niente libri e niente lettini, anche se Massimo Giannini, Direttore de “La Stampa”, ha scritto l’articolo più bello di una lunga e prestigiosa carriera giornalistica dopo aver trascorso ventuno giorni su un altro lettino, quello del Policlinico Gemelli. Ventuno giorni di Covid, gli ultimi tre senza sintomi, in attesa ora di un tampone negativo che decreti l’uscita dal tunnel. C’è ancora la madre su uno di quei lettini, insieme a tanti altri uomini e donne che lottano tra tubi, flebo e ossigeno. La positività al Covid non ha impedito al Direttore di continuare a essere positivo alla vita, a passare attraverso la sofferenza senza mai dimenticare quella degli altri, l’enorme lavoro di chi è chinato giorno e notte sulla malattia mettendo a rischio la propria, di vita, e senza smarrire il filo di un legame supremo.


 

Scrive Giannini: «Sono grato al Fato, al Caso, a Dio, alla Natura, ognuno scelga quel che crede. Sono grato a mia moglie e ai miei figli. Sono grato alla Vita, che vuole vivere anche quando la chimica impazzita del corpo o la psiche indebolita della mente la vorrebbero solo distruggere. Soprattutto, sono grato ai medici, agli infermieri, a tutti gli operatori sanitari che ho incontrato e conosciuto, tra terapia intensiva, sub-intensiva e reparto "pulito-sporco", come si chiama nel nuovo gergo clinico imposto dal virus. Bisognerebbe vederle "al fronte", soffocate da tute, guanti, maschere, visiere e occhiali, per capire chi sono e cosa pensano queste persone che fanno dell'Italia un Paese migliore. La competenza, il sacrificio, la dedizione, la cura, la solidarietà: stavolta non salvano solo l'esistenza degli altri. Mettono in gioco la loro, in ogni minuto, ogni ora, ogni giorno, ogni notte dei turni folli che il contagio gli impone. I grandi virologi, epidemiologi, pneumologi, abbiamo imparato a conoscerli in tv. Ma è di questo esercito silenzioso e meraviglioso di donne e di uomini che combattono per noi e per la nostra salute che non parliamo mai abbastanza».

Già, la tv, la scatola magica e tragica che entra dentro la nostra casa e la nostra anima, che informa senza rinunciare allo spettacolo, all’allarme, alla chiacchiera, al frastuono. Continua Giannini: « C'è un drammatico bisogno di posti letto, per ricoverare i tanti, troppi pazienti gravi che arrivano in continuazione. Quando sono entrato io, solo al mio piano, eravamo in 18. Ora ce ne sono 84. Oltre la metà ha meno di 54 anni, ed è intubata e pronata. Una "procedura" terrificante, che mi sono fatto raccontare. Ti sedano, ti infilano un tubo nei polmoni, e da quel momento su di te scende la notte di un tempo infinito e un luogo indefinito. Sei sdraiato sulla pancia, in una posizione guidata da un rianimatore esperto, per sedici ore consecutive. Dopo ti rigirano supino, per otto ore. Poi si ricomincia: sedici ore prono, otto ore supino. E così via. Tutte le volte che serve a far «distendere i polmoni», come dicono, e a sperare che intanto la malattia regredisca, e non distrugga definitivamente quel che rimane del tuo sistema respiratorio. Se questo accade, a un certo punto ti estubano, ti risvegliano e allora devi solo sperare di avere ancora un po' di fiato in gola per gridare ce l'ho fatta. Se non accade, te ne vai senza saperlo, e senza che un familiare, un parente, un amico possano averti dato l'ultima carezza. Tutto questo mi è stato risparmiato. Lascio il mio letto a chi sta peggio di me, in attesa di un primo tampone finalmente negativo».

Tampone che arriverà e, dopo aver restituito Giannini alla famiglia, lo restituirà al suo e al nostro giornale che, dopo questa terribile esperienza, non potrà essere più quello di prima. Nel senso che sarà migliore, poiché gli occhi che lo dirigono hanno visto oltre, oltre l’informazione, lo spettacolo, l’allarme, la chiacchiera, il frastuono. Tutto questo dolore, aveva scritto la settimana scorsa, un giorno ci tornerà utile. Non v’è alcun dubbio. Intanto grazie, Direttore, per questa testimonianza dal di dentro, dove la vita un po’ va un po’ viene e se torna, quando torna, è più forte di prima.

 

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