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POVERA PSICHIATRIA

6 Nov 22

A cura di Sarantis Thanopulos

A Emi Bondi, nuova presidente della Società di Psichiatria Italiana (SIP), è stato chiesto, in un’intervista, di commentare le accuse di inefficienza rivolte al sistema  psichiatrico dopo due drammatici episodi recenti di cui sono stati protagonisti soggetti con “problematiche mentali”: un uomo ha assalito un gruppo di persone in un supermercato (uccidendone una) e un carabiniere ha ucciso il suo comandante. Il commento della presidente della SIP è stato dettato dal buon senso. La percentuale dei reati commessi da “malati di mente” è statisticamente la stessa di quella dei reati commessi dal resto della popolazione. La “malattia psichiatrica” non è sinonimo di aggressività: i pazienti spesso sono vittime, non autori, di violenza. Inoltre, la  psichiatria ha il compito di curare, non di esercitare un controllo sociale. 

Sollecitata a rispondere alla richiesta della Lega di non lasciare “che alcuni soggetti girino liberamente per strada”, Bondi si è trovata sulla difensiva. Ha invocato un fatto reale e preoccupante: la carenza di strutture, risorse e personale (al SSN mancano mille psichiatri). Il limite del suo discorso è nella convinzione che la psichiatria sia una pura e semplice branca della medicina. Pur rifiutando di ridurre la psichiatria a strumento di controllo sociale, Bondi considera la sofferenza psichica grave come malattia organica da curare come tale, rispettandola come disabilità da non stigmatizzare. Pone così l’accento sulle carenze organizzative e sulla mancanza di personale e lascia in disparte la mancanza qualità nella cura e la caduta libera della vocazione di fare lo psichiatra. 

La psichiatria ha una costituzione antinomica: da una parte è cura medica e dall’altra cura psichica (psicoterapia) e cura della comunità (prendere cura delle fragilità sociali e rendere i luoghi della convivenza comune accoglienti nei confronti della diversità e della sofferenza). Gli psichiatri devono collaborare non solo con i vari settori del sapere psicologico e con la psicoanalisi -che potrebbero essere parte della loro formazione- ma anche con discipline che oltrepassano il campo della clinica (come la filosofia, l’antropologia e la sociologia). Il loro compito principale è quello di rendere il mondo accessibile, abitabile e vivibile per le persone gravemente sofferenti sul piano psichico/mentale, alleviando il loro dolore e aiutandoli a personalizzarlo, senza pretendere di “guarirli” da una “malattia” indefinibile se non a partire dalla nostra paura di essere destabilizzati. 

La psichiatria dissociandosi dalla fenomenologia, dalla psicoanalisi, dalla sensibilità nei confronti del disagio sociale e dalla cultura in generale, sta diventando una disciplina tecnica, povera e francamente triste. Sconta il difetto di ogni tecnicismo di costruire il suo oggetto di conoscenza a sua immagine e somiglianza e si è rinchiusa in un sistema diagnostico simile a un dispositivo acchiappa-fantasmi che più cerca di imprigionare nelle sue maglie delle persone sofferenti ma vive, più le riduce a sembianti. 

La pressione all’impoverimento scientifico e culturale viene dalle scuole di specializzazione mediche che fabbricano psichiatri unidimensionali. Soffocando la domanda di un sapere e di una cultura della cura multidisciplinare da parte dei giovani sempre più delusi e frustrati. Vige una dittatura del modello biomedico il quale a distanza di quasi trent’anni dall’inizio della sua egemonia ha raccolto una montagna di dati, in cui si crogiola narcisisticamente, che non hanno prodotto una sola delle mirabilia promesse, hanno solo peggiorato drammaticamente la qualità della cura. Il lavoro dello psichiatra se non è un approccio creativo all’esperienza umana, se non cerca la vita dove si è installata la morte, se rinuncia al fattore poetico, è un mestiere fatto senza piacere e convinzione che non attira persone appassionate.  

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