Chi vi scrive è un medico psichiatra di formazione psicoanalitica, non proprio giovanissimo (sono un primario ospedaliero, in pensione ormai da dieci anni), ma con una passione, che non si è mai affievolita negli anni, per lo studio della mente umana. Nella mia attività clinica, e in quella di supervisione su casi seguiti da giovani colleghi, sono particolarmente attratto dai casi di maggiore gravità. Trovo che la peggiore sofferenza, la meno tollerabile, sia quella che il paziente vive in solitudine, senza la partecipazione ed il sostegno empatici dei propri simili. È, la sua, una sofferenza indicibile, perché non esiste qualcuno che comprenda il suo linguaggio e i suoi silenzi. Solo gli Artisti, e le persone particolarmente sensibili, possono dar voce a chi soffre tacendo, o parlandone in modo incompleto e incomprensibile. Ciò è possibile perché essi sanno far uso della propria rêverie, ossia della capacità di dar forma, con l’immaginazione creativa, al mondo interno di chi soffre e non sa e non può esprimersi. Per questo motivo, gli Artisti sono una fonte formidabile di suggerimenti per chi, come gli psichiatri, cerca di comprendere e curare la sofferenza mentale. Freud lo comprese molto bene: i suggerimenti degli Artisti ci permettono di costruire teorie scientifiche, da sottoporsi a verifica sperimentale, e fruibili nell’attività clinica. Su questo tema, ho concordato, con l’amico Francesco Bollorino, l’apertura di questa rubrica.
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