Credo che, in merito al dibattito suscitato dall’ incommentabile lettera di Gilberto Corbellini, la cosa migliore per chi si occupa di psicoanalisi sia quella di non obbedire alla logica degli opposti estremismi. Giu’ gli scudi dunque, e proviamo a ragionare.
Diciamo subito che questa missiva è irricevibile: denigratoria, gratuitamente generalizzatrice, dissacratoria , priva di vere argomentazioni, con un veleno in cauda che fa presupporre un pregiudizio atavico ed inscalfibile. Tuttavia, poichè siamo analisti, se davvero lo siamo, dobbiamo stare attenti che non si insinui quel soffio generatore di un’atmosfera paranoica e cospiratrice che , guidando la mano in un riflesso condizionato, ci porta a proteggerci da un mondo che ce l’avrebbe irragionevolmente con noi. Questa è la logica del renzicalcatismo, e non ne abbiamo davvero bisogno.
Un grido, ancorchè sguaiato ed offensivo, può essere la punta di un movimento di critica che ci interroga, e ci chiede conto. Ed è li che come analisti dobbiamo farci trovare. Proprio perché non dobbiamo intendere questo attacco come rivolto alle nostre persone, essendo noi semplici garanti di una posizione transeunte , dobbiamo farci trovare pronti sullo scambio dialettico, sul dare ed avere con un opinione pubblica sempre più evoluta, satura di diagnosi preconfezionate dal dsm, che chiede alla psicoanalisi quelle risposte immediate che noi non possiamo dare.
Un analisi è qualcosa che, pur partendo dal sintomo che procura sofferenza, lo eccede, ottenendo in corso d’opera effetti terapeutici che diventavo sovente secondari rispetto al cuore della questione che sottende il disagio del soggetto.
E’ compito nostro spiegarlo a chi ci interroga, cari colleghi. Non certo a chi ci attacca frontalmente.
Perché esistono questi attacchi alla psicoanalisi ? E’ abbastanza chiaro, e chi fa lo psicoanalista lo sa bene, che la questione della verificabilità dei nostri risultati è una questione che noi, che lo si voglia o meno, dobbiamo porci, pena aumentare a dismisura il bacino di utenza di soggetti che come il signor Corbellini ci sputano addosso, sapendo spesso di incontrare dall’altra parte non una risposta precisa, efficace e ragionevole come quella della presidente SPI, quanto una frequente ed isterica levata di scudi a difendere una sorta di religione incriticabile. Dio mi scampi da chi non può essere criticato. Dio mi scampi dagli assoluti. Faccio l’ analista e dunque sono laico.
La psicoanalisi ha subito mutamenti legati al tempo che noi viviamo. Non tratta solo grandi isterie di freudiana memoria, non è solo strumento che accompagna un soggetto nel riannodare o sciogliere i punti cruciali della propria vita, ma anche si rivolge ai sintomi contemporanei assai diffusi ( si pensi alle fobie, agli attacchi di panico, ai dca), per i quali molti pazienti non vogliono una risposta farmacologica sic et simpliciter, quanto piuttosto desiderano indagare a fondo le ragioni di quel che loro sfugge e porta sofferenza.
E’ dunque in nome di questo che la possibilità di verificare gli effetti del nostro agire è una questione che ci riguarda. E’ normale pensare a punti di criticabilità, di fallibilità, spesso contesati dal paziente che non può sempre e solo essere ‘resistente all’analisi’. Se da un lato la lettera di Corbellini è violenta è devastante, è altrettanto vero che la letteratura nei confronti contro la malapratica analitica è troppo ricca, troppo vasta, troppo articolata per non domandarci perché tanta gente ci dà addosso. Ne scrivevo qua, in tempi non sospetti. ( http://www.psychiatryonline.it/node/4942. ) Io ho avuto un’ esperienza personale di un'analisi distruttiva, psicotizzante ed invalidante che ha lasciato su di me segni perpetui, precipitandomi in una crisi assai critica. La mia domanda di chiarimenti inviata a chi pagavo per aiutarmi nel vivere ha sortito una minaccia di adire a vie legali.
Ma io faccio l’analista, non dunque un paziente qualsiasi, quanto chi ha fatto del desiderio una barra da seguire, dunque ho cercato di mettere a frutto il masso che ho incontrato, tramutandolo in una pietra di insegnamento, che potesse migliorare e la mia pratica clinica, evitando di ripetere ciò che ho patito su ignari pazienti. Ne scrivevo qua ( http://www.psychiatryonline.it/node/7412)
Ma chi analista non è, dunque non ha il dovere etico di mettere a frutto l’incontro con le carogne, ma è in cerca di un sollievo e subisce un danno, cosa deve fare? Se esistono uomini che scrivono lettere così violente, assurde e spropositate contro la nostra categoria, è perché troppe volte sono accaduti fatti e fattacci all'interno degli studi che hanno alimentato questo malessere. Le tante persone che attaccano la psicoanalisi non possono essere ridotte ad un covo di rancorosi o invidiosi. Discutiamone.
Un paziente può dirmi che non trare beneficio dalla sedute. Non per questo alzerò gli scudi.
Spesso analizzanti con problemi di elevatissima criticità ci mettono alla prova , ci interrogano, ci fanno rivedere il nostro agire. Spesso ci tengono svegli di notte. Tutto può e deve essere sprone a chiedermi : dove ho sbagliato? Ben venga dunque il confronto, pacato o chiassoso che sia.
Diciamo subito che questa missiva è irricevibile: denigratoria, gratuitamente generalizzatrice, dissacratoria , priva di vere argomentazioni, con un veleno in cauda che fa presupporre un pregiudizio atavico ed inscalfibile. Tuttavia, poichè siamo analisti, se davvero lo siamo, dobbiamo stare attenti che non si insinui quel soffio generatore di un’atmosfera paranoica e cospiratrice che , guidando la mano in un riflesso condizionato, ci porta a proteggerci da un mondo che ce l’avrebbe irragionevolmente con noi. Questa è la logica del renzicalcatismo, e non ne abbiamo davvero bisogno.
Un grido, ancorchè sguaiato ed offensivo, può essere la punta di un movimento di critica che ci interroga, e ci chiede conto. Ed è li che come analisti dobbiamo farci trovare. Proprio perché non dobbiamo intendere questo attacco come rivolto alle nostre persone, essendo noi semplici garanti di una posizione transeunte , dobbiamo farci trovare pronti sullo scambio dialettico, sul dare ed avere con un opinione pubblica sempre più evoluta, satura di diagnosi preconfezionate dal dsm, che chiede alla psicoanalisi quelle risposte immediate che noi non possiamo dare.
Un analisi è qualcosa che, pur partendo dal sintomo che procura sofferenza, lo eccede, ottenendo in corso d’opera effetti terapeutici che diventavo sovente secondari rispetto al cuore della questione che sottende il disagio del soggetto.
E’ compito nostro spiegarlo a chi ci interroga, cari colleghi. Non certo a chi ci attacca frontalmente.
Perché esistono questi attacchi alla psicoanalisi ? E’ abbastanza chiaro, e chi fa lo psicoanalista lo sa bene, che la questione della verificabilità dei nostri risultati è una questione che noi, che lo si voglia o meno, dobbiamo porci, pena aumentare a dismisura il bacino di utenza di soggetti che come il signor Corbellini ci sputano addosso, sapendo spesso di incontrare dall’altra parte non una risposta precisa, efficace e ragionevole come quella della presidente SPI, quanto una frequente ed isterica levata di scudi a difendere una sorta di religione incriticabile. Dio mi scampi da chi non può essere criticato. Dio mi scampi dagli assoluti. Faccio l’ analista e dunque sono laico.
La psicoanalisi ha subito mutamenti legati al tempo che noi viviamo. Non tratta solo grandi isterie di freudiana memoria, non è solo strumento che accompagna un soggetto nel riannodare o sciogliere i punti cruciali della propria vita, ma anche si rivolge ai sintomi contemporanei assai diffusi ( si pensi alle fobie, agli attacchi di panico, ai dca), per i quali molti pazienti non vogliono una risposta farmacologica sic et simpliciter, quanto piuttosto desiderano indagare a fondo le ragioni di quel che loro sfugge e porta sofferenza.
E’ dunque in nome di questo che la possibilità di verificare gli effetti del nostro agire è una questione che ci riguarda. E’ normale pensare a punti di criticabilità, di fallibilità, spesso contesati dal paziente che non può sempre e solo essere ‘resistente all’analisi’. Se da un lato la lettera di Corbellini è violenta è devastante, è altrettanto vero che la letteratura nei confronti contro la malapratica analitica è troppo ricca, troppo vasta, troppo articolata per non domandarci perché tanta gente ci dà addosso. Ne scrivevo qua, in tempi non sospetti. ( http://www.psychiatryonline.it/node/4942. ) Io ho avuto un’ esperienza personale di un'analisi distruttiva, psicotizzante ed invalidante che ha lasciato su di me segni perpetui, precipitandomi in una crisi assai critica. La mia domanda di chiarimenti inviata a chi pagavo per aiutarmi nel vivere ha sortito una minaccia di adire a vie legali.
Ma io faccio l’analista, non dunque un paziente qualsiasi, quanto chi ha fatto del desiderio una barra da seguire, dunque ho cercato di mettere a frutto il masso che ho incontrato, tramutandolo in una pietra di insegnamento, che potesse migliorare e la mia pratica clinica, evitando di ripetere ciò che ho patito su ignari pazienti. Ne scrivevo qua ( http://www.psychiatryonline.it/node/7412)
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Un paziente può dirmi che non trare beneficio dalla sedute. Non per questo alzerò gli scudi.
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