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Quando è in gioco la nostra sopravvivenza: come accostarci agli esperti e alla realtà?

16 Mar 22

A cura di nanni.sabino

        Questo articolo è "off topics" riguardo agli argomenti che abitualmente tratto in questa rubrica. Ho, tuttavia, preferito pubblcarlo qui, anziché come post su qualche social, sia per la sua lunghezza, sia perché è probabile che rimanga più a lungo all'attenzione di chi ritiene che valga la pena di leggerlo.
        Quando ci troviamo di fronte a problemi d’importanza vitale, come il mantenimento della salute (e quello della pace), per chiarirci le idee ci rivolgiamo ad esperti. Quelli più credibili non hanno conflitti d’interesse di carattere economico, non sono direttamente o indirettamente impegnati nella lotta politica (quelli legati alle istituzioni spesso lo sono), hanno tendenze narcisistico-esibizionistiche contenute, e quindi non aspirano a diventare vedette televisive di primo piano.  
        Purtroppo, soprattutto nel nostro paese, questi esperti sono “mosche bianche”. Ci sono nostri connazionali di grande valore, ma si tratta, per lo più, di emigrati in paesi più liberi e liberali del nostro. Una di queste persone è il medico, virologo e farmacologo Joseph Tritto. Questo Scienziato ci ha offerto una serie d’interviste, che considero come vere e proprie lezioni magistrali, reperibili su Youtube. Sono filmati lunghi e non sempre di facile comprensione, però trattano in modo esauriente e imparziale un problema di ordine sanitario (e, indirettamente, politico) col quale ognuno di noi deve confrontarsi ogni giorno.
        Consiglio una chiave di lettura: ci conviene non solo considerare il Prof. Tritto per l’importante contenuto delle sue interviste, ma anche prenderlo come modello su come accostarsi ai gravi problemi che attualmente ci affliggono. Tritto, infatti, è un eccellente ricercatore, ma anche un valido medico pratico: già fin dall’inizio dell’epidemia ha visitato direttamente i pazienti a domicilio (anche in zone del mondo poco attrezzate da un punto di vista sanitario), mentre molti nostri colleghi, fa male dirlo, se ne stavano rintanati nei loro ambulatori. Proprio per questo suo duplice ruolo, Tritto non cade negli errori tipici del ricercatore “puro”, né in quelli del medico pratico “puro”.
        Da un lato, non se ne sta rinchiuso nei suoi laboratori, perdendo di vista la realtà clinica che esiste al di fuori. Forse, per questo stesso motivo, è un fautore di una medicina personalizzata, ossia adattata, caso per caso, alle esigenze ed alle caratteristiche particolari di ciascun paziente. Non cade, cioè, nell’errore tipico di chi fa ricerca al di fuori della pratica clinica (e di molti “consulenti” delle autorità politiche, che spesso non hanno mai visto direttamente un malato); vale a dire l’errore di abusare del metodo statistico: questo inquadra i pazienti in grosse categorie, arbitrariamente considerate omogenee al loro interno, in cui le differenze individuali scompaiono.       D’altro lato, non cade nell’errore frequente del medico pratico “puro”, che finisce per essere un fruitore passivo ed acritico di quanto la ricerca ha stabilito.
         Perché ritengo Trittico un modello per tutti noi, anche se non siamo laureati in medicina? Certamente conviene accostarci con la massima umiltà a chi ha dedicato la propria vita alla Scienza, e dar per scontato che almeno il 99,9% di quel che costui dice lo riconosceremo come valido. Tuttavia, accostarci a queste persone ha un senso solo se conserviamo ed esercitiamo le nostre capacità critiche: anche quando, nel 99,9% dei casi ci troviamo d’accordo, ciò può esserci utile solo se ce ne facciamo una ragione, ossia se abbiamo capito per quali motivi ci troviamo d’accordo, e ne troviamo conferma nella nostra esperienza concreta di tutti i giorni.
        Sul piano pratico, siamo costretti ad affrontare i problemi ogni momento, ma conviene, a noi tutti, essere anche almeno un po’ “ricercatori”. Conviene, cioè, seguire un metodo scientifico nel formulare i nostri giudizi: attenerci ai dati di fatto, considerarli da diversi punti di vista, non dimenticarci che le nostre ipotesi per spiegarli sono ipotesi (e non sono “verità” solo perché ci piacciono), saper tollerare il dubbio (e quindi sospendere un giudizio definitivo) fino a quanto i dati di realtà non avranno corroborato o smentito questa o quella ipotesi.

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