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Razze e criminalità in Italia

31 Ott 15

A cura di Luigi Benevelli

Recensendo il libro di Niceforo La delinquenza in Sardegna, Palermo 1897, su «Il Corriere della Sera» del 29-30 ottobre 1897, Cesare Lombroso argomentava sull’importanza del fattore “razza” nel determinare i comportamenti criminali:


Una prova è data da Livorno che presenta una cifra sproporzionata di delitti in confronto al resto della Toscana, cifra che non si può spiegare se non per la sua derivazione dai pirati Liburni prima, cui si aggiunsero le genti di mal affare mandata a popolarla dai gran duchi. […] Altrettanto si dica di quell’oasi così ben rilevata dal Ferri negli omicidi di Benevento; questa infatti, grazie alla maggiore influenza del sangue longobardo che vi ha pure elevata la statura, sebbene le condizioni intellettuali e le economiche e sociali siano assolutamente pari se non peggiori a quelle dei paesi circonvicini, celebri purtroppo per l’enorme cifra dei delitti di sangue, questa , dico, ne presenta un’improvvisa diminuzione di questi proprio come negli immigranti Tedeschi d’America in confronto ai latini. […] E chi non vede l’effetto dell’influenza berbera e semita nella enorme quota di assassini e di abigeati di cui è vittima quella pur feracissima Conca d’oro dove le tribù cartaginesi fenici ed arabe ebbero le loro prime e rinnovate dimore, e dove, non solo la morale, ma fin il tipo anatomico conserva l’impronta semita, mentre a pari condizioni nelle regioni vicine popolate dai greci come Catania, tu vedi diminuire i delitti di sangue ed aumentare quelli di frode, per cui la fede greca era così celebre; ed io […] ho notato che in Francia la tendenza omicida è minima dove la razza è cimbrica – 5/100-, cresce nei dipartimenti gallici 20/100, dando il suo massimo dove la razza è ligure e belga; e ho pure notato che l’omicidio, salvo Lucca e Lecce, ha la massima proporzione fra le province dove domina la dolicocefalia, e il capello nero e il minimo dove prevalgono i brachicefali e i biondi, salvo Ravenna.
E chi può negare l’influenza di razza, pensando agli zingari, derivati dalle scorie reiette di tribù indiane, e che, non mancando d’ingegno né d’energia, potrebbero bene escire, per quanto nomadi, dalla cerchia del delitto, che è diventata la loro professione, eppure non vi riescono nemmeno là dove sono ben voluti ed accetti e dove pur dandosi all’arte musicale, potrebbero cavare profitto, non solo, ma gloria, invece che destare persecuzione e ribrezzo? […]
Che altra causa se non la razza può spiegare quegli eccessi di delitti, per cui le rapine raggiunsero ( nella zona di Nuoro) il sestuplo che non nella vicino Tempio, e i furti il triplo, e i reati in genere il sestuplo? […]
Quando noi parliamo di razza,  […] parliamo di un dato agglomero di popolazione che si conserva tale con date forme ed abitudini in dati climi, circostanza, ed epoche, ecc; così l’ungherese non ha più nulla dell’unno; né l’ebreo ha più nulla del nomade arabo. Un altro errore è quello di voler confondere quella criminalità, direi naturale, e propria così dell’età infantile come del popolo primitivo […] colla criminalità dei popoli civili, nei quali, quando le tendenze selvagge e criminali ripullulano, non sono più fisiologiche, ma effetto di anomalia, e quindi morbose. […]
Giustamente il Niceforo spiega la criminalità sarda, soprattutto del Nuorese, esser effetto di un arresto di sviluppo nel senso morale collettivo, di una permanenza nello stato barbarico, grazie a molte cause, […] ma più di tutto e soprattutto per la razza, la quale non ha potuto vincere le circostanze circumambienti e quindi non poté svolgersi da quello stato barbarico in cui il delitto e l’azione si confondono. […]
Non è carità di patria il tacerlo: è carità di patria, anzi, il proclamarlo, onde aiutare quei nostri fratelli ad uscire dalla melma barbarica in cui sono impigliati, come ne va uscendo tanta parte d’Italia.
 
Da (a cura di D. Palano) Cesare Lombroso- scritti per il «Corriere» 1884-1908, Fondazione Corriere della Sera, 2014, pp. 219-225.

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