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Reggio Children e la continuità educativa fra scuola per l’infanzia e scuola elementare

11 Ott 16

A cura di dinange

A Viola, che in questi giorni comincia la prima elementare

L’arrivo del bambino in scuola elementare rappresenta un passaggio, che non è catastrofico come quello che pochi anni dopo porterà dalla latenza alla preadolescenza, ma che purtuttavia comporta – come ogni passaggio – la necessità di una cerimonializzazione che lo aiuti, e aiuti tutti gli adulti coinvolti ad elaborare le ansie e le angosce che inevitabilmente ad esso sono connesse.
L’elemento critico centrale nel momento dell’impatto con la scuola elementare – ciò che genera ansia – non è l’impatto del bambino col ‘mondo’, che praticamente è già iniziato fin dalla istituzione della diade primigenia, per ampliarsi poi, in base a questo modello, a tutti gli adulti ed i pari con i quali il bambino poi entra in contatto.
Ciò che ora viene a cadenza e, almeno nelle società attuali, non può essere eluso è l’accesso alla operatività, con tutto il corredo di elementi di contorno (valutazione, selezione, disciplina del corpo e della mente) che sicuramente erano presenti anche prima dell’arrivo in scuola elementare, ma che fino all’impatto con la scuola non erano in primo piano, e rappresentavano solo il plafond di una atmosfera che rimaneva intrisa innanzitutto e soprattutto di affettività[1].
Perciò in un certo senso potremmo dire che il giro di boa rappresentato dall’impatto con la scuola sia essenzialmente questo: il passaggio da un mondo in cui l’affettività prevaleva sull’operatività ad uno in cui è l’affettività che fa da plafond all’operatività.
Le ansie e le angosce che in questo momento mettono in crisi i genitori ancor prima del bambino sono da riconnettersi spesso – come avrebbe detto Napolitani – al processo di riattraversamento, cioè al massiccio processo di identificazione col proprio figlio, che nell’impatto con la scuola riattualizza le loro angosce, provenienti probabilmente dai loro stessi genitori. Per cui si può dire che in molti casi sono i genitori che fanno da soggetto propagatore di quell’ansia che poi si estende ai loro figli.
La stessa cosa avviene sull’altro versante adulto: quello delle docenti[2] di prima elementare che specie nel momento dell’impatto dei neo-discenti con la scuola – se non vogliono eccessivi guai ‘dopo’ – devono sottolineare, in maniera enfatica e sempre personalissima, la richiesta di adeguarsi il più velocemente possibile alle regole della scuola.
 Ma quali sono queste regole? Ce lo spiega Käes allorché parla di quelle che lui definisce funzioni-cornice all’interno della quali si incastona la lezione: 1. la funzione istituente che definisce per tutti coloro che sono in classe, ed anche per chi è fuori, ‘quel’ luogo e ‘quel’ tempo passato in classe come luogo e tempo dell’operatività; 2. quella illudente volta ad avvincere tutta la classe sui temi all’ordine del giorno attraverso manovre di tipo affabulatorio; 3. quella individualizzante (che impropriamente, secondo Käes viene definita ‘selezione’) tendente ad individuare ed a valorizzare le vocazioni e le specificità di ogni discente; 4. e quella di separazione che scandisce i tempi dell’operatività, e definisce la cadenza di ogni singola ora, del giorno, della settimana, del quadrimestre, etc.[3]
Queste quattro funzioni-cornice rappresentano a mio avviso le cerimonie d’ingresso del bambino nel mondo dell’operatività. Ed è intorno a queste funzioni che avviene il più o meno brillante o penoso processo di riattraversamento che i genitori dei neo-discenti sono portati a fare in questo momento. Ma qui sorge una profonda discrepanza fra la situazione di ieri e quella d’oggi, perché sia la famiglia sia la scuola, sia il bambino sono profondamente mutati.
Si è passati da una parte dalla cosiddetta famiglia etica alla famiglia affettiva[4]; dall’altra e – direi – parallelamente dalla scuola incentrata sul rituale pedagogico a quella incentrata sulla isterizzazione della scena scolastica.
Ciò ha mutato, a volte in maniera radicale sia il rapporto fra genitori e figli (da Edipo a Narciso, direbbe Charmet); sia quello fra genitori e docenti (non più alleati, ma spesso in polemica fra di loro); sia quello fra docenti e discenti, sempre meno formale e più intriso di una affettività che tende ad accorciare e spesso ad annullare le distanze derivanti dalla asimmetria dei saperi e dei poteri.
Ciò si riverbera sulla inderogabilità delle funzioni-cornice rendendo alla fine molto più incerto e meno scandito il passaggio. Per cui facilmente ci troviamo di fronte a: 1. difficoltà a cogliere sempre la classe come luogo dell’operatività, destinate a diventare pesantissime in preadolescenza e adolescenza; 2. difficoltà ad affabulare ed avvincere la classe sui temi operativi all’ordine del giorno; 3. difficoltà -soprattutto nel rapporto docenti\genitori- sul piano della valutazione e della selezione; 4. difficoltà perfino sul piano della scansione dei tempi della operatività.
 
Ora, dopo aver letto le recenti dichiarazioni alla stampa dell’assessore alle scuole dell’infanzia di Reggio Emilia sulla esigenza di una continuità educativa fra fra materne ed elementari sul modello di Reggio Children[5], vengono da porsi molte domande, alcune delle quali nascono ripensando al passato remoto e prossimo di Reggio Children; altre sono invece più direttamente inerenti al discorso sul passaggio che ho cercato di fare finora. Partiamo da queste ultime:
– Siamo sicuri che la iterazione degli atelier in scuola elementare aiuti a scandire meglio il passaggio all’operatività? A mio avviso no: perché – come ho cercato di sostenere prima – sia nella vecchia scuola, sia ancor più nella nuova il problema principale è aiutare il neofita a comprendere le nuove regole; non cercare di eluderle misconoscendo la natura del passaggio e mettendo in piedi una situazione come se, cioè falsa e potenzialmente distruttiva. Diverso è l’utilizzo degli atelier di pomeriggio con i bambini in difficoltà, che a quell’età sono spesso dovute proprio alla loro incapacità a disporsi sul piano della operatività[6].
– Perché le scuole per l’infanzia di Reggio Children non fanno nulla per aiutare i bambini che le frequentano a prepararsi alle nuove regole che li attendono? Perché finora non si sono mai seriamente preoccupate di presentare alle docenti i bambini che passano alle elementari? e soprattutto perché non l’hanno fatto nel caso dei bambini in difficoltà?
Ho avuto modo di fare attività di supervisione in questi ultimi anni direttamente alle docenti di scuola elementare ed indirettamente ale psicologhe che seguono i bambini inseriti nei Workshop di Gancio Originale, ed uno degli elementi più tipici emersi nei casi che mi sono stati portati è proprio quello della più che striminzita (e spesso reticente) presentazione dei problemi dei bambini alle docenti di scuola elementare. Come dire: predichiamo la continuità dove non solo non serve, ma può diventare un dato che accentua la confusività; e la riduciamo al lumicino dove avrebbe senso per tutti i bambini, e soprattutto per quelli più problematici.
– Forse la risposta a tutti questi interrogativi è nel fatto che questa propensione a immaginare una scuola centrata sul modello di Reggio Children nasce con la Buona Scuola, che “con la chiamata diretta” delle docenti da parte dei dirigenti, alla fine scremerà una nuova e più prona classe docente. È questo che mi pare si voglia perseguire: una alleanza di vertice con i dirigenti scolastici, che garantisca un atterraggio morbido di Reggio Children in quella scuola che negli ultimi anni aveva risposto molto tiepidamente a quell’indisponente ed afoso atteggiamento ‘pedagogico’ che aveva caratterizzato il suo rapporto con la scuola.
 
Ripensando poi al passato remoto e più recente altre considerazioni in tema di continuità educativa (ri)emergono dopo aver letto l’intervista all’Assessore:
– Innanzitutto l’insistenza sulle quattro sezioni di asilo nido che contraddistinse i primi anni dell’esperienza reggiana: quelle quattro sezioni che ‘garantivano’ una discontinuità fra gli 0 – 3 anni che tutti gli altri nidi della regione (e della stessa provincia di Reggio Emilia!!) non si erano mai sognati di proporre.
– In secondo luogo l’intesa con il privato e la nascita del progetto aziendalistico, che ruppe con la natura di servizio che fino ad allora era stato uno dei punti di forza dell’esperienza malaguzziana.
– E infine a mio avviso l’elemento più grave: la discontinuità fra la logica compensativa che aveva costituito l’essenza del progetto reggiano e che aveva messo al centro le esigenze compensative, appunto, dei bambini delle classi meno abbienti. E il suo abbandono evidenziato dal fatto che i bambini immigrati, cioè gli attuali bambini meno abbienti e più bisognosi di essere aiutati a giungere in scuola elementare sul di un piano di minore distanza dai più fortunati coetanei provenienti dalle classi più abbienti, sono confinati per lo più nelle materne statali.
 
(Reggio Emilia, 10.10.16)

 
 



[1] l’affettività ovviamente in valore assoluto.
[2] che mi pare corretto definire al femminile visto che orami l docenti rappresentano oltre il 90% dei docenti di scuola elementare.
[3] funzioni-cornice che secondo Käes sono funzioni simili a quelle che svolgono a casa, in un clima incentrato però sull’affettività, i genitori.
[4] cfr. Pietropolli Charmet G., I Nuovi adolescenti. Padri e madri di fronte ad una sfida, R. Cortina, Mi, 2000
[5] – cfr: “Abbiamo scritto il passato, ora dobbiamo disegnare il futuro. Elementari sul modello di Reggio Children”, intervista all’Assessore Raffaella Curioni, di I. Trovato, su ‘Stampa reggiana’, sett. ott. 2016, pp.14\17
[6] e lo sappiamo bene noi di Gancio Originale che fin dal 1990 abbiamo messo in piedi proprio per questo delle strutture pomeridiane, che abbiamo chiamato Workshop.

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