Ricerca Qualitativa o Ricerca Quantitativa?
Nonostante possa sembrare intuitivo indicare con il termine “quantitativo” un tipo di ricerca che presuppone una maggior presenza di numeri e calcoli, e con il termine “qualitativo” un approccio più “soggettivo” e legato alle descrizioni, la letteratura sul tema non è ancora riuscita a individuare univocamente le specificità di ciascun orientamento.
In generale si parla di dati quantitativi quando presentano un livello di standardizzazione elevato; spesso si tratta di dati numerici e statistici, strutturati in modo da poter trarre conclusioni di carattere generale. I dati qualitativi, invece, sono più descrittivi e meno strutturati; forniscono una lettura complessa dell’oggetto di studio, approfondendo l’argomento in questione e raccogliendo informazioni relative alle motivazioni, al pensiero e agli atteggiamenti delle persone. Tutto ciò, se da un lato fornisce una comprensione profonda delle domande della ricerca, dall’altro rende però più difficile analizzare i risultati ottenuti.
Alla base di questa dicotomia sembra esserci la distinzione tra una un approccio ‘positivo-scientifico’ (quantitativo) e uno ‘individualistico-interpretativo’ (qualitativo). Tale dicotomia è stata nel tempo esacerbata da tutti coloro che hanno vissuto la nascita della ricerca qualitativa come un atto di vera e propria ribellione nei confronti del positivismo.
Si pensi ad esempio al punto di vista di Denzin & Lincoln (2005)[1] che vedono il ricercatore qualitativo come un «bricoleur and quilt maker [committed] to a critique of the positivist or post-positivist projects».
È innegabile che ci siano delle differenze di metodo e struttura, ma esasperare questo dualismo è inutile e infruttuoso.
La prima discrepanza che si evidenzia è nel rapporto tra teoria ed empirìa, ovvero tra la speculazione astratta e l’esperienza concreta di ricerca. Nell’approccio quantitativo la teoria precede inevitabilmente l’osservazione sul campo in una logica sequenziale; nell’indagine qualitativa, invece, la struttura viene meno e ricerca empirica ed elaborazione teorica procedono intrecciate[2]. Nel caso della ricerca quantitativa, infatti, l’impostazione è di tipo deduttivo: si vuole cioè giustificare con i dati empirici una teoria precedentemente formulata (con riferimento alla letteratura). Le diverse fasi sono le “briciole di Pollicino” a cui accennavo nello scorso articolo. Nel caso della ricerca qualitativa, invece, la concatenazione dei vari step è più complessa e la letteratura sul tema riveste un’importanza minore (per lo meno per quanto riguarda la formulazione della teoria).
Per via di queste diversità strutturali i due tipi di ricerca evolvono in maniera differente:
- Disegno di ricerca. In questa prima fase si stabiliscono quali dovranno essere le mosse concrete per giungere alla verifica empirica. Si tratta di pianificare l’organizzazione pratica della ricerca: identificazione del problema (domanda di ricerca), formulazione delle ipotesi e successiva verifica. Nella ricerca quantitativa il disegno è ben strutturato fin dall’inizio, mentre in quella qualitativa va delineandosi nel corso della raccolta dati. Inoltre, per verificare un’ipotesi – o anche solo per descrivere una situazione sperimentale – è necessario avere dei parametri (variabili) che definiscono operativamente le caratteristiche e i concetti oggetto di studio. Anche in questo caso i due tipi di ricerca affrontano il problema in maniera differente. Nell’approccio quantitativo le variabili vengono identificate prima di iniziare la raccolta dati, in quello qualitativo invece i concetti vengono utilizzati come orientativi (sensitizing concept[3]) e, solo in un secondo momento, avviene la riduzione a variabile astratta. In generale, vi è un diverso rapporto con l’ambiente studiato. Il ricercatore “quantitativo” manipola le variabili in maniera controllata (vedremo poi nello specifico cosa significa). Il ricercatore “qualitativo”, invece, si limita a osservare, cercando di non alterare la realtà in esame. Anche il rapporto stesso con l’oggetto di studio viene vissuto in maniera diversa: in un esperimento classico (esempio di metodo quantitativo) il ricercatore immagina di non essere in grado di perturbare la realtà che sta osservando e misurando, nella ricerca-azione o nell’osservazione partecipante (esempi di metodo qualitativo), invece, il ricercatore si immerge nel contesto studiato, stringe relazioni con i soggetti e rende attivo il rapporto tra lo studioso e il suo oggetto di studio. È evidente come utilizzare l’uno o l’altro dei due modi renda diversa la percezione di oggettività della ricerca.
- Raccolta e analisi dei dati. L’approccio alla raccolta dati cambia già a partire dal campionamento: mentre nella ricerca quantitativa è fondamentale partire da un campione rappresentativo dell’intera popolazione in esame, per quanto riguarda l’indagine qualitativa la rappresentatività non è condizione necessaria. Risulta invece fondamentale la capacità di comprendere l’importanza e unicità di ogni singolo caso. Ci sono delle differenze anche rispetto allo strumento di rilevazione (e/o di manipolazione delle variabili): per la ricerca qualitativa è necessario uniformare i dispositivi e stabilire degli standard di misurazione (utili alla generalizzazione dei risultati); per la ricerca quantitativa, invece, l’uniformità dello strumento di rilevazione non è obbligatoria. Di conseguenza cambia la natura dei dati raccolti: standardizzati per la ricerca quantitativa (i cosiddetti “dati hard”), soggettivi e raccolti nella loro complessità/integrità per la ricerca qualitativa (i cosiddetti “dati soft”). Dati diversi portano necessariamente a tipologie diverse di analisi. Mentre nell’approccio quantitativo le tecniche statistico-matematiche si impongono e il soggetto viene studiato sulla base delle variabili che lo caratterizzano, nella ricerca qualitativa si cerca di indagare l’individuo nella sua interezza interpretando il suo punto di vista.
- Interpretazione/presentazione dei risultati. Viste le differenze strutturali tra i due approcci, i risultati si presentano in modo diverso. La ricerca quantitativa si serve di tabelle, grafici, statistiche a confronto e previsioni; la ricerca qualitativa, invece, nel tentativo di riportare il soggetto in tutta la sua individualità, spesso riporta citazioni, narrazioni e brani che fungono da “fotografia” dei pensieri e dell’identità del soggetto studiato. Dopo essere arrivati ai risultati, inevitabilmente, l’interrogativo si posa sulla possibilità di generalizzarli. L’indagine quantitativa considera la generalizzazione dei risultati come uno degli obiettivi principe. Di conseguenza pone maggior attenzione alle correlazioni e ai rapporti di causalità tra le variabili. Viceversa, la ricerca qualitativa, non frammentando l’individuo in variabili, per poter generalizzare i risultati deve raggiungere un livello superiore di astrazione. Dai singoli casi e dai singoli dettagli estrae delle regolarità e, da qui, le caratteristiche essenziali a individuare i “tipi ideali” (o weberiani), alla luce dei quali è possibile interpretare l’intera realtà. Si tratta di due differenti modi di generalizzare, vista anche la differenza di numerosità che spesso si riscontra nei campioni: per la ricerca quantitativa, infatti, è necessario che il campione sia statisticamente consistente e rappresentativo, in quella qualitativa, invece, il numero di casi è limitato, ma ciascuno di essi è analizzato in profondità.
Per questa ragione non condivido la struttura di molti testi di introduzione alla Metodologia, in cui appare invalicabile il confine tra le due sezioni “Ricerca Qualitativa” e “Ricerca Quantitativa”. Un esempio è il testo di Neuman del 2006 “Social Research Method: Qualitative and Quantitative approaches”, che divide i suoi contenuti in due macro-aree: “Qualitative data collection and analysis” e “Quantitative data collection and analysis”[4].
Ricerca quantitativa e qualitativa non vanno considerate come due paradigmi, come due visioni del mondo differenti e incapaci di comunicare.
«the distinction between qualitative and quantitative research is unclear, poor and therefore of limited value … There are many possible and interesting ways to divide research approaches, none of which necessarily needs to be seen as more fundamental than the others. The separation of research approaches into qualitative and quantitative in fact constitutes an invitation to simplistic thinking about complicated issues»
(Allwood 2012[5])
Con questo non credo (come invece propongono Wood & Welch, 2010[6]) che i termini “qualitativo” e “quantitativo” siano da abolire: essi possono essere utili per delineare il tipo di analisi utilizzata, che potrà essere di tipo qualitativo, quantitativo, o il più delle volte, entrambe le cose.
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