Non capita spesso di prendere in mano un testo e considerare che il ragionamento attraverso il quale ti conduce proponga un punto di vista originale.
Tutti i testi fanno pensare; dato che questo sta nel patrimonio genetico della scrittura, ma un libro che sviluppa a partire dalla rilettura, forse inconsapevole e in parte casuale , di quella fenomenologia dell’attesa, di cui Ernst Bloch ci aveva dato uno esempio positivo e memorabile nel suo “ Principio speranza”, rappresenta effettivamente una occasione di affrontare un ragionamento complessivo da un punto di vista originale.
L’intuizione iniziale di descrivere uno scenario del sentire comune, della “ emozione collettiva” ha , probabilmente, il valore di giustificare “L’epoca delle passioni tristi” e il suo buon successo editoriale.
Pur partendo da un oggetto di discussione assai complesso che corrisponde a quella misteriosa quanto plurindagata, categoria che sono i “ giovani”, gli autori propongono subito un ragionamento che si basa sul rovesciarsi del “sentimento d’attesa” da positivo , la speranza di un futuro migliore e soddisfacente , a negativo , l’angoscia per un futuro minaccioso e frustrante.
Non solo il futuro sembra prometterci più nulla di buono, non solo la soluzione ai nostri problemi e alle nostre difficoltà , riassumibili nel sentimento in un melanconico sentimento di morte , sembrano allontanarsi, ma , addirittura l’aspettativa del domani diventa , in una prospettiva “ triste”, un vuoto , il nulla , la mancanza di qualsiasi garanzia rispetto al fatto che sia opportuno impegnarsi in una attesa.
L’intuizione originale sta , fuor di ogni discussione, nel respiro epocale del ragionamento; nel recupero di un contesto generale in cui questa dimensione di “ attesa di nulla” o della nullificazione del valore dell’attesa che gli autori definiscono ricorrendo ad un termine spinoziano come “epoca passioni tristi”. A questo autore dobbiamo dunque l’accattivante titolo del libro.
A ben vedere si tratta, per una volta, l’opportuno indagare un rovesciamento del ragionamento tipico dei professionisti della psicoterapia: invece che ricostruire ipotesi su un passato di conflitti e mancanze delle persone conosciute e curante durante la loro attività professionale, i due colleghi si pongono il problema di capire , attraverso di loro, che cosa “ci” aspetta e quali sono gli scenari che consentono agli psicoterapeuti, oggi , di poter garantire ai propri assistiti una prestazione professionale utile. Questo interrogativo ricorda quella provocatoria intervista a James Hilmann che uscì anni fa con il titolo di “ 100 anni di psicoterapia e il mondo va sempre peggio” in cui si rimproverava agli psicoterapeuti una mancata attenzione per il contesto vitale delle persone accecati da un laboratorio introspettivo sempre più astratto e lontano dalle cause della sofferenza, dell’infelicità, dell’ingiustizia.
Ma sarebbe superficiale non cogliere anche un secondo livello cui il testo allude : l’empasse del simbolico , territorio principe della psicoterapia , crisi di una rappresentazione che viene svuotata dall’impatto negativo delle passioni tristi nella sua stessa funzione di significazione, quindi di legame e di valore sociale.
Il contesto di oggi , del nostro esserci è molto difficile da disegnare ; da cosa sono caratterizzate le culture occidentali , quali le caratteristiche della società e quali i valori : molti hanno costruito una abitudine a esorcizzare la paura di attentati o di catastrofi sulle quali sono , comunque , sempre puntualmente aggiornati. Ma ci si confronta con culture diverse dove il futuro è accessibile dal sacrificio, come accadeva per gli eroi greci che cercavano immortalità nella morte, così chi si immola anche in atti disumani e distruttivi sfida la nostra comprensione portando valori che se non rappresentano di per sè un futuro, si comprendono “ divinamente “ , condivisi esclusivamente dall’ etica di gruppi specifici ciechi a qualsiasi visione di esistenza alternativa a quegli stessi principi .
La melanconia invade la nostra epoca , i territori dell’occidente ; una melanconia etica tendono a ribadire fra le righe gli autori , non è quel genere di melanconia che ricorda le grandi aspirazioni al sapere , all ‘evolversi della conoscenza che combatte con lo spettro del nulla, oggetto delle grandi rappresentazioni rinascimentali che ci hanno appassionato nel “Saturno e la melanconia “ di Klibansky, Panowsky e Saxl ; non è neppure la tristezza di chi ha perduto qualcosa nell’ombra dell’oggetto come dicono gli psicoanalisti, ma è quella passione di chi di non ha altro che attendere la fine di un percorso oramai privo di sorprese, se non quelle devastanti e negative che ci informano, puntualmente , che potrà certo andare peggio di così. E’ la melanconia impenetrabile , indicibile, annichilente del nulla che fa che ciascuno sia non Uno ma Solo, privo di legami , immerso in una caricatura sociale dell’”esserci” prodotta dalla formidabile e instancabile macchina delle rappresentazioni sociali. Molto illuminate da questo punto di vista l’esempio del paziente che apprendendo dal telegiornale l’esistenza di un caso di “mucca pazza” mentre sta mangiando una bistecca ha una importante e giustificatissima crisi di angoscia perché percepisce una minaccia che invece i familiari , abituati ormai allo shock delle notizie televisive, non recepiscono come allarmante; continuano tranquillamente a masticare la loro carne mentre sono informati che la carne che stanno mangiando potrebbe essere letale . Loro contano che il prossimo telegiornale racconterà la storia di “qualcun altro” per cui lo è stata .
Forse quello che però gli autori non riescono a dirci completamente , ciò di cui non riescono a parlare è la perdita di responsabilità nei confronti del pensiero. L’avere assunto , desiderio e pensiero, traiettorie divergenti è una cosa difficile da analizzare al di fuori di un contesto strettamente clinico e di lettura di un mondo individuale. Ritrovare quei movimenti che rendono difficile il pensare , e quindi obbiettivamente triste ogni condizione di consapevolezza sembra essere un obbiettivo al di fuori della portata degli autori.
Si tratterebbe , in altre parole di passare dal piano dell’interpretazione a quello della ricostruzione dei processi costruttivi e distruttivi che caratterizzano l’identità e l’identificarsi nei contesti cui gli autori stanno facendo riferimento. A più riprese il libro è percorso da riferimenti alla pratica clinica e di consultazione , alle richieste che vengono portate nell’ambito di un servizio ambulatoriale. A queste, in modo sempre, opportunamente, non sistematico, seguono ragionamenti su questioni centrali ; l’educazione , l’etica , unicità e molteplicità, desiderio e ripetizione…. Insomma riaffiorano, in maniera non organizzata ma piacevole a sfogliarsi, tutte le tematiche che riguardano non solo il lavoro psicoterapeutica ma anche l’evoluzione della visone del mondo che lo sostiene. Si vedano per esempio le parti su “ etichetta e molteplicità della persona” o “etichetta e determinismo” senza dimenticare le necessarie riflessioni sulla complessità e “molteplicità” del mondo contemporaneo. Non a caso gli autori, francesi ,fanno riferimento con molta disinvoltura ad autori diversi, da Spinoza , all’immancabile Lacan da Freud a Plotino senza privarsi di qualche autocitazione.
Nel mettere insieme questi elementi gli autori ci portano ad affrontare un importante trasformazione nel nostro punto di vista di psicoterapeuti che provo a sintetizzare in qualche domanda ; esiste un declino nell’ambito del lavoro simbolico da cui emerge la necessità di un interesse più diretto ai fenomeni dell’esserci, della individualità , della relazionalità, della stessa organizzazione sociale ? Cosa comporta il passaggio dalla tecnica, alla strategia relazionale, alla rilettura in chiave etica e , poi pedagogica ossia , ridiscutere e ridisegnare sullo sfondo di questo nuovo e tormentato scenario i valori su cui si fonda il percorso psicoterapico ? Assistiamo a una riscoperta del trattamento morale teso in questa nuova edizione a un recupero del lavoro di “solidificazione” della responsabilità e dei “legami” così dissolti nel Nulla ? E poi, è davvero questo, un punto di vista epocale e il recupero dell’ “etica del legame e della responsabilità” è una risposta a questa crisi?
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