A QUESTA TRADUZIONE, UTILE A INTRODURRE LA PROBLEMATICA DI UN RIPENSAMENTO DELL'ALTERITA', FARO' SEGUIRE, A BREVE, UNA MIA CHIAVE DI LETTURA DEL GRANDE LIBRO "LA CADUTA DEL CIELO"
DAVI KOPENAWA, OVVERO LA CADUTA DEL CIELO. PAROLE DI UNO SCIAMANO YANOMAMI
Traduco, qui, la breve premessa di Davi Kopenawa – "Paroles données", pp. 37-40 – del libro scritto assieme da BRUCE ALBERT, antropologo francese, e dallo stesso DAVI KOPENAWA, sciamano yanomami: il libro è uscito, con il titolo LA CHUTE DU CIEL (La caduta del cielo) nel 2010 da Plon, a Parigi (817 pagine) e poi in edizione americana. Manca, di questo testo, una traduzione italiana. Per sollecitare editori, traduttori, operatori culturali e intellettuali del nostro paese a promuovere una traduzione, propongo qui, come primo stimolo, la versione italiana della breve premessa che precede il primo capitolo. Una premessa densa e significativa, nella quale Davi, lo sciamano, parla in prima persona, rivolgendosi a Bruce Albert, che lo ha frequentato regolarmente, divenendone anche amico, già a partire dagli anni 70. Mi riprometto, in un secondo momento, di aggiungere, a questa traduzione, una mia chiave di lettura di questo libro epocale, che rivoluziona il nostro tradizionale approccio – antropologico, psicologico, filosofico – all'altro e all'alterità culturale. Le 11 note di questa premessa, anche se indicate, non sono state tradotte.
(Mario Galzigna)
P a r o l e s d o n n é e s
"Amo spiegare queste cose ai Bianchi affinché possano sapere" Davi KOPENAWA (1)
Da molto tempo sei venuto a vivere tra gli Yanomami e parlavi come un fantasma (2). Poco a poco hai imparato a imitare la mia lingua e a ridere con noi. Eravamo giovani e all'inizio non mi conoscevi. Il nostro pensiero e la nostra vita sono differenti poiché tu sei un figlio di queste altre genti che noi chiamiamo nape (3). I tuoi professori non ti avevano insegnato a sognare come sognamo noi. Tuttavia, sei venuto verso di me e sei diventato mio amico. Ti sei collocato al mio fianco e successivamente hai voluto conoscere il dire degli xapiri, che nella vostra lingua voi chiamate spiriti (4). Allora ti ho affidato le mie parole e ti ho chiesto di portarle lontano per farle conoscere ai Bianchi che nulla sanno di noi. A lungo, nella mia casa, siamo rimasti seduti a parlare, malgrado le punture di insetti come il tafano o il simulio. Poco numerosi sono i bianchi che hanno ascoltato allo stesso modo le nostre parole. Ti ho
consegnato così la mia storia (5) in modo che tu possa rispondere a coloro che si interrogano su ciò che pensano gli abitanti della foresta. Nei tempi passati, i nostri anziani (6) non avevano rivelato nulla di tutto ciò, poichè sapevano che i bianchi non comprendevano la loro lingua. Per questa ragione il mio dire sarà nuovo per chi vorrà ascoltarlo.
Più tardi ti ho dichiarato: "Se vuoi assumere le mie parole, non distruggerle. Sono le parole del demiurgo Omama (7) e degli xapiri. Prima disegnale su fogli – su pelli di immagini (8) – e poi guardale spesso. Penserai allora: Haixope! E' proprio qui la storia degli spiriti!>. E più tardi dirai ai tuoi figli: <Queste parole di scrittura sono quelle di uno Yanomami che in passato mi ha raccontato come è divenuto spirito e in che modo ha imparato a parlare per difendere la sua foresta>. Poi, allorché queste strisce in cui è trattenuta l'ombra delle mie parole saranno fuori uso, non gettarle via (9). Potrai bruciarle solo quando saranno molto vecchie e quando le mie parole saranno da tempo diventate disegni che i Bianchi potranno guardare. Inaha t(h)a ? D'accordo?".
Con l'età sei diventato, come me, più avveduto. Hai disegnato e fissato queste parole su pelli di carta, come ti ho chiesto. Esse sono partite, lontano da me. Ora vorrei che esse si separassero e si propagassero lontano per essere veramente intese. Ti ho insegnato queste cose affinché tu
le trasmettessi ai tuoi: ai tuoi vecchi, ai tuoi padri e suoceri, ai tuoi fratelli e cognati, alle donne che tu chiami "spose", ai giovani che ti chiameranno "suocero". Se ti chiedono: "Come hai imparato queste cose?", tu risponderai: "Ho abitato a lungo le case degli Yanomami e ho mangiato il loro cibo. E' così che, un po' alla volta, la loro lingua ha fatto presa su di me. Mi hanno allora affidato le loro parole giacché sono in pena per il fatto che i Bianchi siano così ignoranti al loro riguardo".
I Bianchi, sempre troppo preoccupati dalle cose del presente, non spingono il loro pensiero molto lontano davanti a loro. Ecco perché vorrei che potessero intendere le mie parole attraverso i disegni che ne hai tracciato e vorrei che esse penetrassero nella loro mente. Vorrei che, dopo averle comprese, dicessero: "Gli Yanomami sono gente diversa da noi, ma le loro parole, cionondimeno, sono rette e chiare. Ora capiamo ciò che pensano. Sono parole di verità! La loro foresta è bella e silenziosa. Sono stati creati in essa e vivono in essa, sin dai primi tempi, senza inquietudine. Il loro pensiero segue percorsi diversi rispetto al percorso delle merci. Si augurano di vivere secondo i propri intendimenti. I loro costumi sono differenti. Non possiedono pelli di immagini ma conoscono gli spiriti xapiri e i loro canti. Vogliono difendere la loro terra poichè si augurano di continuare a viverci come un tempo. Che sia così! Se non la proteggono, i loro figli non avranno un luogo in cui vivere felici. Essi si diranno allora che i loro padri dovevano davvero mancare di intelligenza avendo lasciato loro soltanto una terra nuda e bruciata, pregna di vapori epidemici e attraversata da ruscelli di acqua sporca!".
Vorrei che i Bianchi la smettessero di pensare che la nostra foresta è morta e che sia collocata qui senza ragione. Vorrei far loro ascoltare la voce dei xapiri che si muovono qui senza posa danzando sui loro specchi risplendenti. Così, vorranno forse difenderla con noi la foresta? Vorrei anche che i loro figli e le loro figlie comprendessero le nostre parole stringendo amicizia con i nostri figli, al fine di non crescere nell'ignoranza. Se infatti la foresta viene interamente devastata non ne nascerà più un'altra. Discendo dagli abitanti di questa terra delle sorgenti dei fiumi che sono i figli e i generi di Omama. Sono le sue parole e le parole degli xapiri emerse nel tempo del sogno che mi auguro di offrire, qui, ai Bianchi. Fin dai primi tempi i nostri antenati le possedevano. Poi, quando mi toccò di diventare sciamano, l'immagine di Omama le ha collocate nel mio petto. Da allora il mio pensiero va in tutte le direzioni, dall'una all'altra di queste parole, che aumentano dentro di me senza trovare fine. E' così. Non ho avuto nessun altro professore all'infuori di Omama. Sono le sue parole, a me trasmesse dagli anziani, che mi hanno reso più intelligente. I miei discorsi non hanno altra origine. Quelli dei Bianchi sono molto diversi. Sono forse ingegnosi ma non sono troppo saggi.
Non possiedo, come loro, vecchi libri in cui vengono disegnati i detti dei miei antenati (10). Le parole degli xapiri si sono fissate nel mio pensiero, nel più profondo di me stesso. Sono le parole di Omama. Ma sono tuttavia molto antiche e gli sciamani le rinnovano senza posa. Da sempre esse hanno protetto la foresta e i suoi abitanti. Oggi tocca a me possederle. Più tardi esse penetreranno nella mente dei miei figli e dei miei generi; poi, in sèguito, in quella dei loro figli e dei loro generi. A quel punto, toccherà a loro il còmpito di rinnovarle. Poi tutto questo, nel tempo, continuerà alla stessa maniera, ancòra e ancòra. Queste parole, così, non spariranno mai. Rimarranno sempre nel nostro pensiero, anche se i Bianchi gettano via le pelli di carta del libro in cui sono state disegnate e anche se i missionari, che noi chiamiamo la gente di Teosi (11), non cessano di considerarle delle menzogne. Non possono essere né bagnate né bruciate. Non invecchieranno come quelle che rimangono incollate a pelli di immagini fatte di alberi morti. Quando non ci sarò più da molto tempo, esse saranno sempre tanto nuove e tanto forti quanto lo sono ora. Sono tali parole che io ti ho chiesto di fissare su questa carta, al fine di consegnarle ai Bianchi che vorranno davvero conoscerne il tracciato. Forse che in questo modo i Bianchi finiranno per prestare ascolto a ciò che dicono gli abitanti della foresta e per mettersi a pensare con maggior rettitudine nei loro confronti?
"Io, uno Yanomami, consegno a voi Bianchi
questa pelle di immagine che è mia"
Per ripensare l’alterità,
Per ripensare l’alterità, oggi, occorre attingere a differenti aree disciplinari e a differenti campi discorsivi : dalle discipline “psy” alla filosofia, dall’antropologia alla sociologia, dall’arte alla letteratura. Sto portando avanti, da qualche tempo, un’esplorazione congiunta dei territori psy e dell’antropologia. Nella psichiatria clinica, come nel lavoro sul campo e nelle teorie degli antropologi, c’è un obiettivo strategico comune: esplorare, comprendere l’alterità, privilegiando l’emergere delle voci dei soggetti che popolano questa alterità. L’altro, in questa prospettiva, non sarà più solo “oggetto” da conoscere, “soggetto” con cui entrare in relazione empatica – e terapeutica, per quanto attiene ai saperi psy – ma anche luogo di emersione di visioni del mondo, di metafisiche, di filosofie, di epistemologie, cioè di attrezzi che possono ridefinire la mia cultura e la mia posizione di ricercatore. Dopo un incontro radicale con l’altro, non sarò più quello che ero prima. Non penserò e non agirò più come pensavo e come agivo prima. L’antropologia di Bruce Albert – per venire all’oggetto della mia nota – è il risultato del suo incontro, della sua ibridazione, della sua sinergia con l’antropologia dello sciamano Davi Kopenawa. Convinto del parallelismo delle pratiche psichiatriche e di quelle antropologiche, voglio ora citare una frase-chiave del grande libro di Eduardo Viveiros De Castro, antropologo brasiliano fortemente influenzato dallo strutturalismo di Lévi-Strauss e dalla filosofia rizomatica di Gilles Deleuze. Nel corso di questa citazione, per far capire il mio orientamento attuale, aggiungerò degli incisi, posti tra parentesi quadre, che rendono evidente il parallelismo prima menzionato. Sentiamo (cito da “Métaphysiques cannibales. Lignes d’anthropologie post-structurale”, PUF, Paris 2011, p. 4): — I più interessanti concetti, problemi, entità e agenti introdotti dalla teoria antropologica [dalla teoria psichiatrica] trovano la loro fonte nel potere immaginativo delle società (dei popoli o delle collettività) [delle collettività e degli individui] che l’antropologo [che lo psichiatra] si propone di spiegare —. Ecco: intendo sviluppare analiticamente questo parallelismo, che rende possibile, credo, un approfondimento radicale della problematica imperniata sull’incontro conl’altro.