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Roberto Caracci, il romanzo della vita

20 Feb 22

A cura di Davide D'Alessandro

Anche il Paradiso ha le crepe. Ce lo mostra in modo esemplare Roberto Caracci nel suo ultimo libro edito da Moretti&Vitali: “Le crepe del Paradiso. Eclissi di un’infanzia”. Quando mi trovo davanti un romanzo, evito di svelare, di togliere al lettore il gusto della scoperta, però non evito di scriverne facendo riferimento a ciò che mi ha mosso a leggerlo, a ciò che vi ho trovato di aderente al mio sentire.
Intanto, Caracci scrive bene e non è poco. Poi, riesce a tenere viva l’attenzione di chi legge, a condurlo per mano senza improbabili effetti speciali, seguendo il filo della vita, attraverso le inevitabili passioni della vita. La storia di Alessio può essere quella di tutti noi, una storia universale, di chi è chiamato a fare i conti con il nuovo, con la realtà, a staccarsi dalle (false) certezze, ad abbandonare le illusioni che pure non possono essere eliminate dal percorso di vita.

I temi che vibrano all’interno del romanzo sono i temi sui quali la filosofia e la psicoanalisi si interrogano e ci interrogano da sempre: felicità, destino, morte, mito dell’origine, domanda su dove andremo a finire. L’autore si è già misurato su questi temi, ne fa una riflessione quindicinale da oltre trent’anni nel suo salotto letterario milanese, maneggia con disinvoltura la materia. Eppure, pagina dopo pagina, c’è sempre qualcosa da scoprire, qualcosa di inedito, qualcosa che non era scontato attendersi. È la magica sorpresa della vita che fa sentite il suo peso, il suo dominio. Si dice che la vita sia nostra, che noi siamo padroni di essa e del nostro corpo, ma spesso la sensazione che si prova è di essere ospiti, non padroni in casa propria.




Ho detto a Caracci che un autore in forma narrativa riesce a toccare corde non raggiungibili in forma saggistica. È come se la mente, a caccia di sensazioni e di immaginazioni, senza stare al cappio del fatto concreto e quotidiano, riuscisse a restituire molto di ciò che neppure le chiediamo. Le crepe del Paradiso possono essere voragini, ma possono anche essere ferite, o feritoie, per dirla con Aldo Carotenuto, da cui guardare, da cui osservare, il mondo che cambia, il nostro mondo che cambia.
Tutto comincia e tutto finisce, ma se nulla cominciasse e nulla finisse? Questa domanda, se fosse stato un saggio, avrebbe meritato il sottotitolo. Essendo un romanzo, merita una meditazione profonda, poiché l’autore ci spinge a riconsiderare l’infanzia e l’età matura, ci spinge a riconsiderare il prima e il dopo senza trascurare la possibilità eterna, lo scandalo, mi verrebbe da dire, della possibilità eterna. Questo romanzo sarebbe piaciuto a Emanuele Severino, lettore di pochi romanzi. Ma Severino non c’è più. Anzi, in ossequio al suo pensiero, non è vero che non c’è più. Non lo vediamo più.
 

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