Abbiamo già scritto sul contenzioso in corso tra le strutture accreditate con il Servizio Regionale ligure in merito alla “regressione tariffaria”, strumento quanto mai pernicioso per la salute pubblica come per la stessa libertà di impresa esercitata in modo eticamente corretto; ma appare opportuno approfondire l’esame delle decisioni del Giudice Amministrativo anche alla luce di una altrettanto recente decisione del Consiglio di Stato che ha annullato i nuovi Livelli essenziali di Assistenza proprio per la parte che riguarda le prestazioni residenziali di cura per i pazienti psichiatrici introdotti nel 2017.
Il motivo di contenzioso nacque dall’introduzione nella Regione Liguria, mediante provvedimenti della Giunta Regionale e dell’Azienda Sanitaria Ligure (A.Li.Sa.), della “regressione tariffaria”, istituto utilizzato da tempo per la remunerazione delle prestazioni sanitarie erogate (pur se richieste dalle stesse aziende sanitarie locali) oltre il volume massimo assegnato, come previsto dall’art. 8 quinquiesdel D. Lgs. 502/92, alle strutture erogatrici di prestazioni sanitarie per il Servizio Sanitario Regionale, in sede di stipulazione dell’accordo contrattuale.
In particolare, la “regressione tariffaria” ligure poggiava su asserite “economie di scala” al crescere delle prestazioni erogate (anche comprese nel volume massimo contrattualmente assegnato). Tale marginalità economica genericamente enunciata comportava il dimezzamento della remunerazione per le prestazioni rese oltre il 95% (o percentuale superiore) del budget annuale assegnato alla struttura; oltre a ciò, era comunque previsto un abbattimento percentuale della tariffa per i pazienti (psichiatrici o disabili) ultra sessantacinquenni di età che non fossero stati trasferiti in altra struttura a minore intensità terapeutica; altro abbattimento percentuale era previsto per i pazienti ospitati in Comunità terapeutiche Psichiatriche dopo 36 mesi senza trasferimento in altra struttura di minore intensità terapeutica e tariffa).
Il tutto si inseriva in una materia particolarmente complessa, oggetto di legislazione concorrente di Stato e Regione, coinvolgendo esigenze di programmazione e governo della spesa pubblica, ma anche di tutela della Salute che involgono il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, di cui all'art. 117 Cost., comma 2, lett. m), di competenza dello Stato; livelli intesi come espressione delle soglie minime di prestazione idonee a garantire, nel rispetto dei fondamentali principi di uguaglianza e solidarietà, la tutela del diritto costituzionalmente garantita alla salute, ex art. 32 Cost., che non costituiscono, secondo la Corte Costituzionale (sent. 26 giugno 2002, n. 282) tanto una "materia", quanto un mezzo di individuazione delle competenze legislative ripartite tra Stato e Regioni. I Livelli Essenziali di Assistenza (L.E.A.) sono infatti piuttosto una competenza trasversale del legislatore statale idonea ad investire tutte le materie in materia di Salute, rispetto alle quali il legislatore (nazionale e regionale per parte di sua competenza) deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull'intero territorio nazionale, il godimento del contenuto essenziale di tali diritti, senza che la legislazione regionale possa limitarli o condizionarli. Il Diritto alla Salute si affianca, senza essere in contraddizione ed anzi risultandone rafforzato, con il diritto alla iniziativa economica protetta dall’art. 41 Cost. e dal Diritto dell’Unione Europea (tra cui la Carta di Nizza) così come dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo interpretata dalla Corte di Strasburgo (Prot. 1, art. 1 della CEDU).
La Sentenza rappresenta per ora un unicum, dato che la Giurisprudenza amministrativa aveva sempre ritenuto applicabile la “regressione tariffaria” (cioè, quindi, la remunerazione ridotta rispetto alle tariffe dalla Regione individuate in base agli standard strutturali, tecnologici, di personale ecc. dalla medesima Regione fissati) solo per le prestazioni rese oltre il volume massimo convenuto (prestazione “eccedentarie”). La stessa Sentenza di primo grado riformata con la presente decisione in appello, pur avendo accolto i ricorsi sulla base della violazione del riparto di competenze tra la Giunta Regionale e l’Azienda Sanitaria Regionale previsto dalla Legge regionale assorbendo gli altri motivi di ricorso, aveva incidentalmente rilevato in motivazione che la regressione tariffaria era possibile comunque solo per le prestazioni “eccedentarie”: così come, ad esempio, affermato da Cons. di Stato. sez. III n. 566/2016 ed altra giurisprudenza costante.
Secondo tale giurisprudenza (e secondo i ricorrenti), l’applicazione della regressione tariffaria alle prestazioni “eccedentarie” può essere giustificata per esigenze di contenimento della spesa pubblica; ma in tale caso è controbilanciata dalla remunerazione ricevuta per il volume di prestazione concordato (e superato). Volume che grazie alle tariffe integralmente corrisposte garantisce l’equilibrio economico del fornitore e la sua adeguata remunerazione, potendosi così presumere che le prestazioni eccedenti siano erogate a copertura dei costi avvenuta, legittimando così lo “sconto” economico al Servizio Sanitario Nazionale, perché effettivamente fondato su presumibili “economie di scala”. Essendo in tale visione, al contrario, illegittima l’applicazione della “regressione tariffaria” per le prestazioni comprese nel volume massimo (obbligatoriamente, alla stipulazione dell’accordo contrattuale) concordato. In questo caso, infatti, viene meno il delicato equilibrio che garantisce contemporaneamente una giusta remunerazione della attività economica svolta dal fornitore verso il Servizio Sanitario Nazionale, la programmazione ed il contenimento della spesa pubblica sanitaria, allo scopo di garantire una adeguata qualità del servizio a tutela della salute dei cittadini.
Garanzia assicurata dalla predisposizione di standard di qualità e corrispondenti tariffe, al di sotto delle quali la qualità minima (ed il diritto alla salute) verrebbe meno, impedendo di erogare gli stessi livelli essenziali di assistenza individuati dallo Stato e così determinando lo squilibrio economico del singolo fornitore, con effetti negativi sull’intero sistema, anche sotto il profilo della concorrenza e della libertà di impresa. Insomma, si configura, con la regressione tariffaria “alla ligure”, la contemporanea lesione del diritto alla salute, perché il cittadino non può ricevere il livello minimo di cure costituzionalmente previsto nei LEA, dato che le prestazioni “sottopagate” non possono essere di livello adeguato; ma al contempo si configura la lesione del diritto alla libera iniziativa economicagarantita dall'art. 41 Cost., dal diritto dell'U.E., dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e dai suoi Protocolli aggiuntivi come interpretati dalla giurisprudenza della Corte EDU. Ed in ogni caso, introducendo tale sistema di regressione tariffaria, la P.A. opera in contrasto con il principio di proporzionalità, volto a garantire che il mezzo utilizzato dalla autorità sia, al contempo, idoneo allo scopo perseguito ed efficace, ma comunque tale da comportare il minor sacrificio possibile degli interessi dei privati (si veda ad esempio Cons. Stato, Sez. V, 14 aprile 2006, n. 2087; Cons. Stato, Sez. V, 14 dicembre 2006, n. 7448).
La Sentenza afferma esattamente il contrario: in teoria, essa asserisce, per la P.A. è possibile fare quasi tutto; casomai, può essere importante il “come” lo fa. Quindi, via libera in linea teorica alla “regressione tariffaria” anche per le prestazioni al di sotto del volume assegnato (budget), via libera alla riduzione della tariffa in caso di superamento del 65° anno di età (o al superamento di trentasei mesi di ricovero) senza trasferimento ad altra struttura di minore intensità terapeutica (per la quale è riconosciuta, stanti gli standard inferiori, minore remunerazione); via libera, per le strutture che non accettano di fornire le prestazioni a tariffa ridotta comprese nel volume massimo assegnato (budget) alla conseguente riduzione del volume massimo di prestazioni per l’anno successivo e così via.
Il Consiglio di Stato, però, nonostante tali contestabili affermazioni, ha cassato comunque i provvedimenti impugnati, perché ciò che pur ha ritenuto “teoricamente” possibile, ha valutato nel caso concreto illegittimo perché tramutato in provvedimenti che, causa assoluta ed evidente assenza di istruttoria della P.A., non consente di poter dimostrare che i pazienti possano ricevere cure adeguate, che le prestazioni comprese nel budget soggette a riduzione tariffaria siano effettivamente “facoltative”, che alla struttura erogatrice sia garantita la sostenibilità economica e il diritto ad una remunerazione corrispondente alle prestazioni sanitarie rese, per le quali deve, anche lavorando a tariffa ridotta, rispettare gli standard di accreditamento, sempre più onerosi e stringenti: “qualora si ritenesse applicabile il principio dell’utilità marginale, la quantificazione delle sue conseguenze – ovvero la determinazione delle fasce del budget assoggettate a riduzione tariffaria – dovrebbe conseguire da un’analisi specifica dell’accertamento e dell’incidenza dei costi in concreto riducibili”.
Non si rinviene insomma secondo il Collegio, nei provvedimenti impugnati, che la “regressione tariffaria alla ligure” sia compatibile con i concorrenti principi di remuneratività delle tariffe e di effettiva facoltatività delle prestazioni, qualificate nei provvedimenti annullati come marginali.
E’ invece necessario, secondo il Consiglio di Stato, sulla scorta di una approfondita analisi delle voci di costo sottostanti le tariffe regionali, individuare quelle parti dei costi riconosciuti in tariffa interessate dalle ipotizzate economie di scala, tenuto conto della specificità delle prestazioni de quibus e delle strutture deputate ad erogarle.
La Sentenza, nell’annullare la “regressione tariffaria alla ligure” è però, a parere di chi scrive, contraddittoria ed errata:in un campo così delicato come la sanità pubblica, il Consiglio di Stato “apre” infatti in teoria, pur negandolo oggi, alla possibilità di sconti e regressioni tariffarie in futuro a scapito di salute ed a spese delle imprese (soprattutto, delle PMI, con effetti nefasti sulla stessa concorrenza).
In tal modo, pur censurandone l’operato nello specifico caso, il Giudice Amministrativo amplia i margini di manovra delle amministrazioni regionali, peraltro ponendo alcuni paletti che, se rispettati, alla fine, in un percorso circolare (in teoria si, in pratica no), lasciano ben poco spazio alle “teoricamente possibili” stagioni degli sconti in sanità pubblica sulla pelle dei pazienti e di chi li cura. Con la conseguenza di mettere comunque a rischio in futuro, in Liguria ed altrove, sia i diritti delle imprese che (della salute) dei cittadini e di trasformare il Giudice Amministrativo, nelle prossime occasioni di giudizio su tali temi, in un giudice “di merito” degli atti amministrativi a carattere generale portati alla sua attenzione; ciò in una materia, si ripete, così delicata ed aumentando inevitabilmente il contenzioso.
Peraltro, tale decisione è stata poche settimane dopo seguita da un’altra della stessa III Sezione del Consiglio di Stato (in diversa composizione del Collegio: Sent. 1818/2019) che ha annullato il D.P.C.M. 12.1.2017 “Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di cui all’articolo 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502” nella parte in cui prevede “alle forme di assistenza socio sanitaria semiresidenziale e residenziale alle persone con disturbi mentali di cui all’art. 33, comma 2 lettere a) e b) che prevedono trattamenti della “durata massima di 18 mesi, prorogabili per ulteriori 6 mesi ” se “a carattere intensivo”, e “di 36 mesi, prorogabili per ulteriori 12 mesi ” se “a carattere estensivo”;- alle forme di assistenza socio sanitaria semiresidenziale e residenziale alle persone con dipendenze patologiche, abuso di sostanze, ludopatia ecc. di cui all’art. 35, limitatamente alle ipotesi di cui alle previsioni di cui al comma 2 lettera a) e c) e 4 lettera b) con termini massimi di 18 mesi o 30 mesi.”.
Sconfessando il principio della “salute a tempo” ed anche una delle ipotesi teoricamente ritenute possibili dalla Sentenza in oggetto, laddove ha “salvato la possibilità di prolungare il ricovero di un paziente oltre un termine anagrafico o di ricovero riducendo la tariffa riconosciuta fino al 30%.
Si tratta di un tema, quello della salute a tempo, che prima della citata ultima decisione del Consiglio di Stato ed a parte il contenzioso ligure ancora in corso, risulta essere stato trattato solo alcuni anni fa, in occasione di un ricorso di FENASCOP avverso alcune Delibere della Giunta Regionale lombarda che prevedevano al decorso di un determinato periodo di ricovero di un paziente in struttura residenziale psichiatrica senza trasferimento in altra struttura ad inferiore intensità di trattamento terapeutico (cui corrispondeva diversa ed inferiore tariffa a fronte di diversi standard richiesti, ovviamente) l’applicazione della tariffa della struttura di livello inferiore.
Tale decisione del TAR per la Lombardia (Sentenza N. 2098/08, in giudicato, perché non impugnata, ma applicata dall’Amministrazione Regionale), ha affermato correttamente che “da un lato, il giudice amministrativo è chiamato a verificare sia la sussistenza di violazioni di norme espresse, sia la coerenza e logicità delle scelte dell’Amministrazione, con un vaglio che è diretto ad evitare ingiustificate compressioni alla tutela della salute, diritto garantito costituzionalmente (art. 32 Cost.) e caratterizzato da un nucleo incomprimibile dai pubblici poteri; dall’altro lato, il giudice, proprio in presenza dell’indicata esigenza costituzionale di tutela della salute dei singoli, deve, altresì, verificare che le scelte effettuate dai pubblici poteri non assumano connotazioni eccessivamente rigide, essendo necessario che esse traducano delle linee di indirizzo, che lascino comunque aperta la possibilità di deroghe, pur eccezionali, in ipotesi di profili patologici particolari, o di peculiari esigenze terapeutiche del singolo utente. Ad opinare diversamente, infatti, si correrebbe il rischio di una disciplina che detti regole di accesso e di godimento delle prestazioni sanitarie rigida e senza alcuna possibilità di deroga, con l’effetto di sclerotizzare il sistema di tutela della salute, ponendolo in contrasto con l’art. 32 Cost. Da quanto ora detto, discende dunque l’illegittimità di una disciplina — quale quella di cui al punto 15 della gravata deliberazione regionale — che riconnette automaticamente al decorso del termine massimo stabilito per un programma riabilitativo od assistenziale, la conversione di questo in uno con un livello di intensità inferiore, senza lasciare aperta alcuna possibilità di deroga e, così, senza tenere in alcun modo conto dell’eventualità che singoli utenti, anche se giunti alla scadenza del programma residenziale, abbiano peculiari esigenze terapeutiche, incompatibili con l’erogazione di un trattamento di intensità inferiore. (…) Risulta inoltre illegittima – e deve essere a propria volta annullata – la disciplina introdotta dalla deliberazione regionale n. (…) In particolare, il ricorso per motivi aggiunti è fondato (e deve essere accolto) nella parte in cui esso censura l'introduzione di nuove tariffe per la residenzialità psichiatrica, inferiori nell'ammontare in base al superamento del termine massimo di ricovero, senza lasciare possibilità di deroga”.
Il motivo di contenzioso nacque dall’introduzione nella Regione Liguria, mediante provvedimenti della Giunta Regionale e dell’Azienda Sanitaria Ligure (A.Li.Sa.), della “regressione tariffaria”, istituto utilizzato da tempo per la remunerazione delle prestazioni sanitarie erogate (pur se richieste dalle stesse aziende sanitarie locali) oltre il volume massimo assegnato, come previsto dall’art. 8 quinquiesdel D. Lgs. 502/92, alle strutture erogatrici di prestazioni sanitarie per il Servizio Sanitario Regionale, in sede di stipulazione dell’accordo contrattuale.
In particolare, la “regressione tariffaria” ligure poggiava su asserite “economie di scala” al crescere delle prestazioni erogate (anche comprese nel volume massimo contrattualmente assegnato). Tale marginalità economica genericamente enunciata comportava il dimezzamento della remunerazione per le prestazioni rese oltre il 95% (o percentuale superiore) del budget annuale assegnato alla struttura; oltre a ciò, era comunque previsto un abbattimento percentuale della tariffa per i pazienti (psichiatrici o disabili) ultra sessantacinquenni di età che non fossero stati trasferiti in altra struttura a minore intensità terapeutica; altro abbattimento percentuale era previsto per i pazienti ospitati in Comunità terapeutiche Psichiatriche dopo 36 mesi senza trasferimento in altra struttura di minore intensità terapeutica e tariffa).
Il tutto si inseriva in una materia particolarmente complessa, oggetto di legislazione concorrente di Stato e Regione, coinvolgendo esigenze di programmazione e governo della spesa pubblica, ma anche di tutela della Salute che involgono il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, di cui all'art. 117 Cost., comma 2, lett. m), di competenza dello Stato; livelli intesi come espressione delle soglie minime di prestazione idonee a garantire, nel rispetto dei fondamentali principi di uguaglianza e solidarietà, la tutela del diritto costituzionalmente garantita alla salute, ex art. 32 Cost., che non costituiscono, secondo la Corte Costituzionale (sent. 26 giugno 2002, n. 282) tanto una "materia", quanto un mezzo di individuazione delle competenze legislative ripartite tra Stato e Regioni. I Livelli Essenziali di Assistenza (L.E.A.) sono infatti piuttosto una competenza trasversale del legislatore statale idonea ad investire tutte le materie in materia di Salute, rispetto alle quali il legislatore (nazionale e regionale per parte di sua competenza) deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull'intero territorio nazionale, il godimento del contenuto essenziale di tali diritti, senza che la legislazione regionale possa limitarli o condizionarli. Il Diritto alla Salute si affianca, senza essere in contraddizione ed anzi risultandone rafforzato, con il diritto alla iniziativa economica protetta dall’art. 41 Cost. e dal Diritto dell’Unione Europea (tra cui la Carta di Nizza) così come dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo interpretata dalla Corte di Strasburgo (Prot. 1, art. 1 della CEDU).
La Sentenza rappresenta per ora un unicum, dato che la Giurisprudenza amministrativa aveva sempre ritenuto applicabile la “regressione tariffaria” (cioè, quindi, la remunerazione ridotta rispetto alle tariffe dalla Regione individuate in base agli standard strutturali, tecnologici, di personale ecc. dalla medesima Regione fissati) solo per le prestazioni rese oltre il volume massimo convenuto (prestazione “eccedentarie”). La stessa Sentenza di primo grado riformata con la presente decisione in appello, pur avendo accolto i ricorsi sulla base della violazione del riparto di competenze tra la Giunta Regionale e l’Azienda Sanitaria Regionale previsto dalla Legge regionale assorbendo gli altri motivi di ricorso, aveva incidentalmente rilevato in motivazione che la regressione tariffaria era possibile comunque solo per le prestazioni “eccedentarie”: così come, ad esempio, affermato da Cons. di Stato. sez. III n. 566/2016 ed altra giurisprudenza costante.
Secondo tale giurisprudenza (e secondo i ricorrenti), l’applicazione della regressione tariffaria alle prestazioni “eccedentarie” può essere giustificata per esigenze di contenimento della spesa pubblica; ma in tale caso è controbilanciata dalla remunerazione ricevuta per il volume di prestazione concordato (e superato). Volume che grazie alle tariffe integralmente corrisposte garantisce l’equilibrio economico del fornitore e la sua adeguata remunerazione, potendosi così presumere che le prestazioni eccedenti siano erogate a copertura dei costi avvenuta, legittimando così lo “sconto” economico al Servizio Sanitario Nazionale, perché effettivamente fondato su presumibili “economie di scala”. Essendo in tale visione, al contrario, illegittima l’applicazione della “regressione tariffaria” per le prestazioni comprese nel volume massimo (obbligatoriamente, alla stipulazione dell’accordo contrattuale) concordato. In questo caso, infatti, viene meno il delicato equilibrio che garantisce contemporaneamente una giusta remunerazione della attività economica svolta dal fornitore verso il Servizio Sanitario Nazionale, la programmazione ed il contenimento della spesa pubblica sanitaria, allo scopo di garantire una adeguata qualità del servizio a tutela della salute dei cittadini.
Garanzia assicurata dalla predisposizione di standard di qualità e corrispondenti tariffe, al di sotto delle quali la qualità minima (ed il diritto alla salute) verrebbe meno, impedendo di erogare gli stessi livelli essenziali di assistenza individuati dallo Stato e così determinando lo squilibrio economico del singolo fornitore, con effetti negativi sull’intero sistema, anche sotto il profilo della concorrenza e della libertà di impresa. Insomma, si configura, con la regressione tariffaria “alla ligure”, la contemporanea lesione del diritto alla salute, perché il cittadino non può ricevere il livello minimo di cure costituzionalmente previsto nei LEA, dato che le prestazioni “sottopagate” non possono essere di livello adeguato; ma al contempo si configura la lesione del diritto alla libera iniziativa economicagarantita dall'art. 41 Cost., dal diritto dell'U.E., dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e dai suoi Protocolli aggiuntivi come interpretati dalla giurisprudenza della Corte EDU. Ed in ogni caso, introducendo tale sistema di regressione tariffaria, la P.A. opera in contrasto con il principio di proporzionalità, volto a garantire che il mezzo utilizzato dalla autorità sia, al contempo, idoneo allo scopo perseguito ed efficace, ma comunque tale da comportare il minor sacrificio possibile degli interessi dei privati (si veda ad esempio Cons. Stato, Sez. V, 14 aprile 2006, n. 2087; Cons. Stato, Sez. V, 14 dicembre 2006, n. 7448).
La Sentenza afferma esattamente il contrario: in teoria, essa asserisce, per la P.A. è possibile fare quasi tutto; casomai, può essere importante il “come” lo fa. Quindi, via libera in linea teorica alla “regressione tariffaria” anche per le prestazioni al di sotto del volume assegnato (budget), via libera alla riduzione della tariffa in caso di superamento del 65° anno di età (o al superamento di trentasei mesi di ricovero) senza trasferimento ad altra struttura di minore intensità terapeutica (per la quale è riconosciuta, stanti gli standard inferiori, minore remunerazione); via libera, per le strutture che non accettano di fornire le prestazioni a tariffa ridotta comprese nel volume massimo assegnato (budget) alla conseguente riduzione del volume massimo di prestazioni per l’anno successivo e così via.
Il Consiglio di Stato, però, nonostante tali contestabili affermazioni, ha cassato comunque i provvedimenti impugnati, perché ciò che pur ha ritenuto “teoricamente” possibile, ha valutato nel caso concreto illegittimo perché tramutato in provvedimenti che, causa assoluta ed evidente assenza di istruttoria della P.A., non consente di poter dimostrare che i pazienti possano ricevere cure adeguate, che le prestazioni comprese nel budget soggette a riduzione tariffaria siano effettivamente “facoltative”, che alla struttura erogatrice sia garantita la sostenibilità economica e il diritto ad una remunerazione corrispondente alle prestazioni sanitarie rese, per le quali deve, anche lavorando a tariffa ridotta, rispettare gli standard di accreditamento, sempre più onerosi e stringenti: “qualora si ritenesse applicabile il principio dell’utilità marginale, la quantificazione delle sue conseguenze – ovvero la determinazione delle fasce del budget assoggettate a riduzione tariffaria – dovrebbe conseguire da un’analisi specifica dell’accertamento e dell’incidenza dei costi in concreto riducibili”.
Non si rinviene insomma secondo il Collegio, nei provvedimenti impugnati, che la “regressione tariffaria alla ligure” sia compatibile con i concorrenti principi di remuneratività delle tariffe e di effettiva facoltatività delle prestazioni, qualificate nei provvedimenti annullati come marginali.
E’ invece necessario, secondo il Consiglio di Stato, sulla scorta di una approfondita analisi delle voci di costo sottostanti le tariffe regionali, individuare quelle parti dei costi riconosciuti in tariffa interessate dalle ipotizzate economie di scala, tenuto conto della specificità delle prestazioni de quibus e delle strutture deputate ad erogarle.
La Sentenza, nell’annullare la “regressione tariffaria alla ligure” è però, a parere di chi scrive, contraddittoria ed errata:in un campo così delicato come la sanità pubblica, il Consiglio di Stato “apre” infatti in teoria, pur negandolo oggi, alla possibilità di sconti e regressioni tariffarie in futuro a scapito di salute ed a spese delle imprese (soprattutto, delle PMI, con effetti nefasti sulla stessa concorrenza).
In tal modo, pur censurandone l’operato nello specifico caso, il Giudice Amministrativo amplia i margini di manovra delle amministrazioni regionali, peraltro ponendo alcuni paletti che, se rispettati, alla fine, in un percorso circolare (in teoria si, in pratica no), lasciano ben poco spazio alle “teoricamente possibili” stagioni degli sconti in sanità pubblica sulla pelle dei pazienti e di chi li cura. Con la conseguenza di mettere comunque a rischio in futuro, in Liguria ed altrove, sia i diritti delle imprese che (della salute) dei cittadini e di trasformare il Giudice Amministrativo, nelle prossime occasioni di giudizio su tali temi, in un giudice “di merito” degli atti amministrativi a carattere generale portati alla sua attenzione; ciò in una materia, si ripete, così delicata ed aumentando inevitabilmente il contenzioso.
Peraltro, tale decisione è stata poche settimane dopo seguita da un’altra della stessa III Sezione del Consiglio di Stato (in diversa composizione del Collegio: Sent. 1818/2019) che ha annullato il D.P.C.M. 12.1.2017 “Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di cui all’articolo 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502” nella parte in cui prevede “alle forme di assistenza socio sanitaria semiresidenziale e residenziale alle persone con disturbi mentali di cui all’art. 33, comma 2 lettere a) e b) che prevedono trattamenti della “durata massima di 18 mesi, prorogabili per ulteriori 6 mesi ” se “a carattere intensivo”, e “di 36 mesi, prorogabili per ulteriori 12 mesi ” se “a carattere estensivo”;- alle forme di assistenza socio sanitaria semiresidenziale e residenziale alle persone con dipendenze patologiche, abuso di sostanze, ludopatia ecc. di cui all’art. 35, limitatamente alle ipotesi di cui alle previsioni di cui al comma 2 lettera a) e c) e 4 lettera b) con termini massimi di 18 mesi o 30 mesi.”.
Sconfessando il principio della “salute a tempo” ed anche una delle ipotesi teoricamente ritenute possibili dalla Sentenza in oggetto, laddove ha “salvato la possibilità di prolungare il ricovero di un paziente oltre un termine anagrafico o di ricovero riducendo la tariffa riconosciuta fino al 30%.
Si tratta di un tema, quello della salute a tempo, che prima della citata ultima decisione del Consiglio di Stato ed a parte il contenzioso ligure ancora in corso, risulta essere stato trattato solo alcuni anni fa, in occasione di un ricorso di FENASCOP avverso alcune Delibere della Giunta Regionale lombarda che prevedevano al decorso di un determinato periodo di ricovero di un paziente in struttura residenziale psichiatrica senza trasferimento in altra struttura ad inferiore intensità di trattamento terapeutico (cui corrispondeva diversa ed inferiore tariffa a fronte di diversi standard richiesti, ovviamente) l’applicazione della tariffa della struttura di livello inferiore.
Tale decisione del TAR per la Lombardia (Sentenza N. 2098/08, in giudicato, perché non impugnata, ma applicata dall’Amministrazione Regionale), ha affermato correttamente che “da un lato, il giudice amministrativo è chiamato a verificare sia la sussistenza di violazioni di norme espresse, sia la coerenza e logicità delle scelte dell’Amministrazione, con un vaglio che è diretto ad evitare ingiustificate compressioni alla tutela della salute, diritto garantito costituzionalmente (art. 32 Cost.) e caratterizzato da un nucleo incomprimibile dai pubblici poteri; dall’altro lato, il giudice, proprio in presenza dell’indicata esigenza costituzionale di tutela della salute dei singoli, deve, altresì, verificare che le scelte effettuate dai pubblici poteri non assumano connotazioni eccessivamente rigide, essendo necessario che esse traducano delle linee di indirizzo, che lascino comunque aperta la possibilità di deroghe, pur eccezionali, in ipotesi di profili patologici particolari, o di peculiari esigenze terapeutiche del singolo utente. Ad opinare diversamente, infatti, si correrebbe il rischio di una disciplina che detti regole di accesso e di godimento delle prestazioni sanitarie rigida e senza alcuna possibilità di deroga, con l’effetto di sclerotizzare il sistema di tutela della salute, ponendolo in contrasto con l’art. 32 Cost. Da quanto ora detto, discende dunque l’illegittimità di una disciplina — quale quella di cui al punto 15 della gravata deliberazione regionale — che riconnette automaticamente al decorso del termine massimo stabilito per un programma riabilitativo od assistenziale, la conversione di questo in uno con un livello di intensità inferiore, senza lasciare aperta alcuna possibilità di deroga e, così, senza tenere in alcun modo conto dell’eventualità che singoli utenti, anche se giunti alla scadenza del programma residenziale, abbiano peculiari esigenze terapeutiche, incompatibili con l’erogazione di un trattamento di intensità inferiore. (…) Risulta inoltre illegittima – e deve essere a propria volta annullata – la disciplina introdotta dalla deliberazione regionale n. (…) In particolare, il ricorso per motivi aggiunti è fondato (e deve essere accolto) nella parte in cui esso censura l'introduzione di nuove tariffe per la residenzialità psichiatrica, inferiori nell'ammontare in base al superamento del termine massimo di ricovero, senza lasciare possibilità di deroga”.
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