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Salute mentale in Italia qualche considerazione sul report salute mentale 2020 e su alcuni provvedimenti.

30 Lug 22

A cura di Gerardo Favaretto

Da non molti mesi è uscito, come ogni anno, il report sulla salute mentale pubblicato a cura del ministero della salute ; da  qualche anno oramai il sistema informativo della salute mentale nazionale raccoglie i dati dei sistemi regionali elencando l’andamento di alcuni indicatori relativi alle strutture, all’utenza , alle prestazioni , alle risorse. Il confronto sull'andamento delle attvità svolte  e la fotografia annuale della situazione è una occasione importante per riflettere sullo stato della salute mentale nel nostro paese. La sua pubblicazione è oggetto di una attenzione forse non ancora adeguata da parte della stampa , delle associazioni professionali o dei portatori di interesse e anche quest'anno , come negli altri,  ha portato, anche se ancora in modo insufficiente,  a dibattiti e analisi 
(https://www.salute.gov.it/portale/documentazione/p6_2_2_1.jsp?lingua=italiano&id=3212   ).
Queste analisi sono preziose e fatte oggetto , con puntualità di elaborazioni ; forse la più nota è quella della SIEP (  https://siep.it/ ): tali elaborazioni hanno lo scopo di individuare punti di forza e di debolezza di un sistema che dovrebbe essere destinato a dare risposte ai bisogni di salute mentale del territorio nazionale.
I dati 2020 sono , ovviamente, particolarmente interessanti perché rappresentano quanto è successo nel primo anno della pandemia; sono dati che dovrebbero dare evidenza alle conseguenze che sulle persone , sui servizi e sulle loro attività ha avuto la pandemia. A differenza delle narrazioni e delle valutazioni i dati , costituiti da valori numerici e dalle loro relazioni , rappresentano una informazione precisa di cui , però, non necessariamente è preciso il significato che necessità di una  l’interpretazione ovvero di una loro trasformazione in narrazione.
Queste considerazioni non vogliono fornire ulteriori interpretazioni  ma semplicemente provare a rispondere a due domande apparentemente semplici
La prima : riusciamo ad avere un’idea di cosa è successo nei servizi per la salute mentale durante l’inizio della pandemia ?
La seconda : quale è la natura del sistema che i dati vogliono rappresentare e che relazione c’è fra questo sistema e le scelte di governo nazionali e regionali in tema di salute mentale . Il che produce una domanda accessoria ( solo in parte indipendente dalla seconda) : quanto è importante che gli psichiatri e in generale gli operatori dei servizi conoscano questi dati e intervengano nel merito della organizzazione del sistema con interpretazioni e proposte?
Anche se le domande sembrano abbastanza semplici e chiare succede  che non sempre altrettanto chiare siano le risposte e le strategie che ne conseguono , forse per una intrinseca natura dei temi della salute mentale a non poter essere semplificati, forse per una irriducibile incertezza degli operatori e delle loro associazioni a capire quale ruolo giocano o possono giocare nel governo della salute mentale. Il tema del governo ( e quindi della fisionomia dei servizi e della programmazione delle risorse compresa la definizione degli indicatori di efficacia ed efficienza del sistema) è molto dibattuto, e questo è indiscutibilmente un bene, tale dibattito però rischia di essere disperso in molti rivoli, tanti quanti le identità professionali degli operatori della salute mentale moltiplicato per le singole realtà regionali cui va  aggiunta la appartenenza culturale dell’una o dell’altra associazione.
Le identità professionali c’entrano a causa di una evidente difficoltà di integrazione fra alcune figure , psichiatra, psicologo , medicina primaria , infermieri , terapisti della riabilitazione , assistenti sociali : quello che potrebbe essere un punto di forza , la multi professionalità , diventa un elemento di fragilità a causa della scarsa consistenza del dialogo interprofessionale o della tendenza a visioni corporative e di una insufficiente evoluzione del modello medico-centrico che proviene dall’organizzazione gerarchica degli ospedali psichiatrici. E’ noto che questo genere di organizzazione è presente in tutte le grandi istituzioni ma  rimane sullo sfondo anche della attuale organizzazione dei servizi per la salute mentale. Le polemiche, anche portate in contesti giuridici, sulla possibilità di diverse figure professionali ad essere direttore delle unità operative è . per esempio, una puntata del mancato dialogo fra diverse professionalità. Invece che pensare  a ridisegnare  assetti, competenze e collaborazioni si medita l’assalto alla posizione  dirigenziale confermando con questo la natura gerarchica del sistema; conservazione , non innovazione. Senza entrare nel merito della legittimità o meno di questa richiesta non posso che dire che queste non sono evoluzioni ma semplicemente riaffermazioni di una modello organizzativo inadeguato e datato. Non cambia se un servizio è medico centrico o psicologo centrico o assistente sociale centrico. L’evoluzione si misura sulle capacità di servizi ad assumere assetti organizzativi variati , democratici , che valorizzano le singole competenze e che sanno fare sintesi dell’insieme come qualcosa di migliore della somma del lavoro dei singoli .
Le realtà regionali c’entrano perché, come evidente da questo e da tuti i precedenti report le disparità territoriali sono rilevanti come pure è rilevante la normativa delle diverse regioni . Basti pensare alla organizzazione di dipartimenti di salute mentale inclusivi delle dipendenze e della età evolutiva o da questi separati oppure ai diversi accenti dei progetti obbiettivi regionali , laddove ci sono , alla diversa relazione con la tematica sociosanitaria e a temi complessi come quelli della disabilità o dell’adolescenza o dei DCA o, infine ,alla significativa disparità di risorse messe a disposizione della diverse regioni per la salute mentale
Le identità culturali c’entrano specialmente se si pensa a quanto i diversi approcci al tema della malattia mentale condizionano le pratiche dei singoli operatori o degli stessi servizi. Non sempre infatti riesce vincente un approccio che integra in una visone globale la persona con problemi mentali , il suo ambiente e i sui bisogni . Non hanno giovato, e non giovano, battaglie ideologiche fondate su presupposti teorici a priori quali per esempio la contrapposizione fra paradigmi biologici , psicologici o sociali che come è noto non posso esistere separatamente quando si parla di persone , la diagnosi , la cura la  riabilitazione, la promozione della salute. Resto persuaso che i “manifesti “ come quello , certamente encomiabile, promosso da Saranthis  Thanapulos , presidente della Società psicoanalitica italiana  e che ha visto la sottoscrizione di molte persone significative nell’ambito della salute mentale siano operazioni di impatto assai discutibile sulla realtà di chi ha bisogno di cure. Tale mia convinzione può essere variamente motivata, e qui non metto tutti gli elementi mi inducono  a pensare che questo porre a priori principi e valori non faccia che sfondare porte aperte ma mi limito a sottolineare che nella pratica dei servizi non è trasformativo. Cii raccontano i dati  che  servizi seguono meno persone (quasi 100.000 in meno), erogano meno prestazioni , non hanno evidenza di intervenire in modo adeguato sugli esordi , fanno un uso della residenzialità discutibile ma, soprattutto non hanno risorse e non hanno operatori ; inoltre le realtà dlele diverse regioni sono caraterizzate da diversità profonde.
Paolo Peloso, amico e stimatissimo collega fa uscire in questi mesi un libro decisamente coraggioso che si intitola “ritorno a Basaglia” ; immagino che non volesse alludere “al ritorno a Freud” di Lacan ma semplicemente porre la questione dei fondamenti della pratica psichiatrica e porli come un interrogativo che non va mai  chiuso ma che va costantemente riattualizzato in un modo nel quale i valori siano principio di un’opera costantemente trasformativa degli assetti istituzionali .
Qualche riflessione sui provvedimenti governativi che sono stati adottati negli scorsi mesi : il primo quello sancito il aprile con una l’Intesa tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano sul documento “Linee di indirizzo per la realizzazione dei progetti regionali volti al rafforzamento dei Dipartimenti di Salute Mentale ”. A queste attività sono stati finalizzati 60 mln destinati  rispettivamente per il rafforzamento della rete dei Dsm, per le azioni volte a ridurre il ricorso alla contenzione in psichiatria, al sostegno dei percorsi di cura nelle persone con disturbi psichiatrici autori di reato.  
Il secondo è contenuto nel decreto “milleproroghe" e riguarda il discusso “bonus psicologico” ovvero un contributo alle cure psicologiche per persone che presentano ansia , depressione a altri problemi anche in relazione alla pandemia e alla situazione di crisi socioeconomica. Il contributo , vincolato all’ISEE viene rilasciato dall’Inps che lo eroga a compenso di prestazioni di professionisti che hanno comunicato all’ente la disponibilità a fornire tale servizio .
Senza entrare nel merito della esiguità degli investimenti ( che di fatto li rende poco utili e specie nel caso del primo li vincola alla frammentazione delle diverse politiche regionali ) ;  senza entrare nel merito del fatto che  tali interventi sono  saltuari , non strutturali ovvero che non prevedono un percorso di riforma a fronte degli enormi problemi presentati dalla necessità di rispondere ai bisogni di salute mentale ma si esauriscono in specifici atti ed attività , è necessario però sottolineare che questi provvedimenti testimoniano di una profonda mancanza di visione , di idee e di volontà autenticamente innovativa rispetto ai grandi problemi che i vari report evidenziano e con questo una mancanza di governance della salute mentale.
In particolare la necessità di migliorare l’accesso alle cure psicologiche e di garantire l’erogazione di cure psicologiche efficaci è stata affrontata dalla Consensus conference di cui ho recentemente parlato , (http://www.psychiatryonline.it/node/9539  ) che affronta la questione non in termini di erogazione di sussidi ma di  modifiche strutturali del sistema pubblico dall’assistenza territoriale per permettere alle persone di ricevere cure psicologiche efficaci , adeguate , dentro la rete del servizio pubblico.
Volendo riprendere i commovente testo pubblicato da E.Brogna qualche mese fa proviamo a chiederci quali siano i sintomi della “agonia della psichiatria” .  Borgna seppure ribadendo i principi vicini al suo concepire la priorità di una relazione empatica , comprensiva , narrativa delle persone non può ignorare i contesti e le pratiche in cui la psichiatria oggi viene attuata. Lascia una apertura, a mio avviso importante , verso il superamento dell’assunto valoriale ( certamente importante ma mai risolutivo ). Tutti sono convinti di comprendere il vissuto dei loro pazienti, di esserne degli interpreti eccellenti delle loro necessità terapeutiche ma frequentemente finiscono per dimenticarlo anche perché  sono convinti di non avere il tempo di farlo . Ed è  così’ , il tempo dell’istituzione, della costante emergenza e degli automatismi   si è portato via qualsiasi pensiero . Qualsiasi comprensione è una  intenzione riposta in qualche luogo della memoria che conserva le motivazioni del perché un professionista si occupa della salute mentale ed emerge , come le balene dal fondo dell’oceano durante qualche congresso o qualche supervisione. Questa intenzione e questo pensiero vanno salvati dalla crisi del sistema.
Che cosa stano facendo i servizi? Serve quello che fanno? e a chi serve? E come possono migliorare? Guardiamo insieme questi dati e pensiamoci. Magari qualche buona idea ci viene. Magari è lì basta vederla.

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