Pëtr Kropotkin
Sono stati milioni nella storia e per millenni hanno dato il loro respiro alle piramidi, alle galee a remi che solcavano i mari, le fabbriche, le miniere, le piantagioni. Eppure lo sguardo che ancora oggi la storia dedica loro è uno sguardo soltanto occasionale; la storia tende a dimenticare che mentre sulla sua superficie si incontravano e scontravano, si univano e si dividevano gli uomini liberi, appena sotto la sua superfice il lavoro invisibile degli schiavi garantiva l’energia capace di rendere tutto il resto possibile. Due mostre e una ricorrenza, negli ultimi due anni, mi hanno portato a riflettere su questa figura così poco frequentata dalla storia, quella dello schiavo, oltre alla ricorrenza dei 50 anni dall'assassinio a Memphis di Marthin Luther King il 4 aprile 1968. E farlo in questo momento, nel quale di nuovo qualcosa che pare assai vicina alla disposizione schiavizzante della mente sembra manifestarsi nell’atteggiamento verso le fabbriche tessili clandestine di Prato o i campi di pomodori o agrumi del sud, le imbarcazioni stracolme e fragili che affrontano il canale di Sicilia o gli hangar-prigione libici. Luoghi di nuovo seminascosti e rimossi nella penombra della storia, situazioni estreme alle quali, di nuovo, consegnare “esseri diversi, scarsamente umani”[i], esseri che se non ci sentiamo più di chiamare schiavi, ma la cui posizione a quella degli schiavi di un tempo molto rassomiglia. Non-persone, secondo l’efficace espressione coniata qualche anno fa – quando la chiusura dei porti e il Decreto sicurezza si potevano solo intravedere da lontano – da Alessandro dal Lago[ii].
Schiavi a Roma – Il primo spunto è offerto dalla mostra “Spartaco. Schiavi e padroni a Roma”, che si è tenuta all’Ara pacis di Roma dal 31 marzo al 17 settembre 2017. Chi erano gli schiavi? Secondo Jean Andreau e Raymond Descat[iii] la definizione più generale degli schiavi dell’antichità è quella di uomini, donne o bambini che erano considerati “proprietà” di un altro uomo o un’altra donna. Le prime notizie dell’esistenza degli schiavi nel mondo classico risalirebbero al XIV secolo a. C., e ciò deve far riflettere perché significa che la figura antropologica, giuridica e psicologica dello schiavo ha accompagnato la storia dell’uomo per più di 3.000 anni. Secondo le stime più attendibili nell’Italia del I secolo d.C, gli schiavi sarebbero stati tra il 30 e il 40% della popolazione generale. La mostra illustrava in modo a tratti commuovente con immagini e citazioni la vita e il lavoro degli schiavi nel mondo romano, e dava un’efficace documentazione delle guerre servili, la più nota delle quali, quella capeggiata dal tracio Spartaco ebbe luogo tra il 73 e 71 a. C.
Schiavi a Genova – Il secondo spunto mi è offerto dalla mostra “Schiavi a Genova e in Liguria (secoli X-XIX)” curata da Giustina Olgiati e Andrea Zappia presso l’Archivio di Stato di Genova dal 18 settembre al 7 dicembre 2018, corredata da un catalogo arricchito da saggi di grande interesse (in particolare, quello di Valeria Polonio su Chiesa e schiavitù)[iv]. La mostra, prevalentemente documentaria in questo caso, ha svelato commuoventi scene di vita comune, di rapporti sessuali tra liberi e schiavi propri e altrui e conseguenti procreazioni, di punizioni e percosse, di compravendite o baratti, lasciti ed manomissione di schiavi per carità e affetto, per meriti o in cambio di denaro. Gli schiavi, e soprattutto le schiave – più numerose – potevano essere saraceni, turchi, ma anche albanesi, ungheresi, russi, circassi giunsero a rappresentare secondo le stime nel XV secolo circa il 5% della popolazione. Per converso, anche i genovesi potevano essere resi schiavi, ad esempio dei turchi durante i lunghi secoli che opposero la Repubblica al mondo islamico. Tra gli stranieri schiavi a Genova è nota la vicenda della famiglia Durazzo, divenuta una delle più potenti dell’aristocrazia mercantile genovese, che ebbe come capostipite uno schiavo albanese. Tra i genovesi presi schiavi dai turchi ricordo la vicenda del voltrese Gio Antonio Menavino, che fuggito dalla schiavitù e rientrato in patria scrisse un interessante saggio sulle cose e i costumi osservati durante il periodo di prigionia, nel quale descrive il Timerahane, una delle prime istituzioni dedicate espressamente ai malati di mente per le quali disponiamo di una descrizione scritta. Finché dopo molti anni può riabbracciare la famiglia: «& come se nuovamente di me havessero fatto acquisto, piangendo per soverchia allegrezza, m'erano tutti attorno, i quali abbracciai, & basciai teneramente” [v]. Ma certo non tutti gli schiavi stranieri a Genova né quelli genovesi costretti a vivere altrove furono altrettanto fortunati.
Toussaint Louverture: la rivolta di Santo Domingo – Il terzo spunto a proposito dello schiavismo mi è offerto quest’anno da una ricorrenza, quella degli 80 anni dalla pubblicazione del saggio “I giacobini neri”, dello storico Cyril Lionel Robert James[vi]. Ed è davvero impietoso notare come questo libro, una ricostruzione meticolosa e appassionata della rivolta servile di Santo Domingo animata dalla lucida consapevolezza che bianchi o neri gli uomini sono uguali in diritti, sia esattamente coetaneo del Manifesto degli scienziati razzisti, sulla cui superficialità prima ancora che ferocia ci siamo già soffermati in questa rubrica[vii]. Il saggio, avvincente, ricostruisce la vicenda della schiavitù nella Santo Domingo francese (oggi Haiti) a partire dallo sterminio dei nativi e dalle condizioni disumane della cattura e della tratta[viii], per poi focalizzarsi sulla rivolta servile che, esplosa nel 1791 e trascinatasi per 12 anni fino a culminare nel 1803 con la dichiarazione d’indipendenza di Haiti. E’ una vicenda tutt’altro che lineare sulla quale si staglia la figura del protagonista, l’ex schiavo di colore nato nel 1743 Toussaint Louverture, costretto a destreggiarsi nel conflitto internazionale tra francesi, spagnoli e inglesi per il dominio delle Indie occidentali e in quello locale tra neri, bianchi e mulatti, dove la questione del colore e quella del denaro s’intrecciano e si complicano fino a farsi indistricabili. Un intrigo di continui riposizionamenti e di alleanze che continuamente si fanno e si disfano, difficile da ricostruire, reso ancora più complesso dall’ambiguità della Francia rivoluzionaria – dilaniata tra ideali universalistici e interessi di potenza, tra il moderatismo del Terzo stato e la tensione egualitaria delle masse parigine – sull’abolizione della schiavitù. Solennemente proclamata dalla Convenzione con decreto n. 2262 del 4 febbraio 1794 (16 piovoso anno II), dopo che già nel 1791 era stata abolita la tratta, sarà revocata da Napoleone nel 1802 su pressione di quei proprietari di piantagioni contro i quali l’esercito degli schiavi di Toussaint si era sollevato armato inizialmente solo delle proprie catene. E’ una vicenda avvincente, la prima rivolta vittoriosa dell’”altro” contro l’uomo bianco che in quel momento esercitava, e per un secolo e mezzo ancora avrebbe esercitato nella forma diretta e trasparente della colonia e oggi continua a pretendere di esercitare in altra forma, la sua signoria indiscussa sul mondo. L’armata degli schiavi pare invincibile fino a conquistare la parte spagnola ed stendere l’abolizione della schiavitù a tutta l’isola e imporre un’indipendenza di fatto, ma poi le cose volgono al peggio tanto in Francia, con l’avvento e la doppiezza di Napoleone, che in loco per le tensioni che dilaniano il fronte di Toussaint dall’interno e i suoi ritardi nel comprendere e incertezze nell’affrontarle. Massacri spaventosi da una parte e dall’altra, Toussaint catturato a tradimento nel 1802, deportato e morto in carcere sul massiccio del Jura, lontano migliaia di chilometri dalla sua gente e dalla sua isola l’anno successivo, e lo stesso anno 1802 la schiavitù ripristinata da Napoleone, sono il finale di questa storia avvincente e straordinariamente attuale. Ma lo sono anche la Santo Domingo francese indipendente con il nome di Haiti e senza schiavitù grazie non alla generosità dell’uomo libero, ma alla dignità, al coraggio e al sacrificio dell’uomo schiavo.
Nell'immagine: Toussaint Louverture (1743-1803)
Nel video allegato: Assemblea musicale teatrale, La nostra storia, dall’album Dietro le sbarre (1976).
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