Per chi una “dimora” – una residenza anagrafica – ce l’ha, votare, riscuotere la pensione, essere iscritto al Servizio Sanitario Nazionale ed avere un Medico di Medicina Generale o un Pediatra di Libera Scelta, è una cosa assolutamente ordinaria.
Non pensiamo, noi che una dimora l’abbiamo, a quanto valore abbia fino a quando non capita di perderla. Né ovviamente pensiamo, ma a qualcuno accade davvero, che un evento drammatico, o ancor più una catena di avvenimenti che nella vita possono singolarmente capitare a tutti (una malattia, una separazione o un divorzio per le conseguenze emotive, ma talvolta anche economiche, la perdita del posto di lavoro, la morte di un familiare che rappresentava la fonte di reddito familiare), possa trasformare qualcuno (anche noi stessi) in un senza dimora.
Se poi capita di essere immigrato, peggio ancora.
Nell’immaginario comune, la rappresentazione dei senza dimora spesso va da una idea più o meno romantica ed irrealistica di Clochard, al Rom, all’extracomunitario che bivacca e magari chiede l’elemosina nei bar dove consumiamo il pranzo durante una pausa dal lavoro.
La realtà, ovviamente, è molto più complessa e diversificata, ma è innegabile che il numero dei senza dimora invece di diminuire continui ad aumentare, infoltito sia dai cosiddetti nuovi poveri, italiani e stranieri con relative famiglie, che l’Istat certifica in aumento, sia dall’immigrazione di disperati che sempre più provengono da zone di guerra come da ultimo la Siria e la Libia, o l’Iraq e il più delle volte non trovano il destino migliore cercato in Italia.
Chiaramente, chi lavora nei Servizi sociosanitari e sociali Territoriali, o fa volontariato ed è in contatto con i senza dimora, la visione romantica del “senza dimora”, se mai l’ha avuta, certamente l’ha persa. Sa che di romantico, di volontarietà della propria condizione, non c’è proprio niente; sa che se hai di fronte un senza fissa dimora, questa è una persona che quasi sempre se non ha già perso, sta piano piano perdendo le energie personali per combattere la lotta quotidiana che ciascuno di noi ogni giorno conduce per conservare il proprio stato di salute fisica e soprattutto di equilibrio e salute mentale.
La normativa vigente in Italia è assolutamente statica nel rifiutare di affrontare la situazione e garantire i diritti del cittadino anche quando non ha dimora, anzi, sembra predisposta per complicarla e non attuare i principi costituzionali: l’art. 2 della Costituzione riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, ovvero i diritti fondamentali attraverso i quali la persona umana può affermare la propria libertà ed autonomia, e sono inalienabili, intrasmissibili, irrinunciabili, indisponibili ed insopprimibili, ed è strettamente connesso con l’art. 3 Cost. e, dunque, al rispetto ed all’attuazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale, mentre l’art. 14 Cost. riconosce la libertà di domicilio come inviolabile e ne disciplina la tutela, reprimendo qualsiasi forma di limitazione o violazione non giustificabile ex lege.
Però… il domicilio giuridicamente è una cosa, la residenza un’altra: per votare, per scegliere il medico di Medicina Generale e quindi avere diritto alla continuità assistenziale e non solo alle prestazioni di urgenza, per riscuotere la pensione, occorre avere una residenza.
Averla non è così semplice, dato che le leggi non sono di chiara applicazione, o perlomeno sembrano scritte per agevolare le amministrazioni locali che non intendano occuparsi di chi una dimora non ce l’ha.
Un piccolo esempio. L’art. 1 della legge 24.12.1954, n. 1228 prevede che: “Nell’anagrafe della popolazione residente sono registrate le posizioni relative alle singole persone, alle famiglie ed alle convivenze, che hanno fissato nel comune la residenza, nonché́ le posizioni relative alle persone senza fissa dimora che hanno stabilito nel comune il proprio domicilio, in conformità̀ del regolamento per l’esecuzione della presente legge”; l’art. 1 del regolamento della Legge suddetta (DPR 30.5.1989, n. 223), esprime un concetto identico, mentre l’art. 3 del regolamento specifica che “per persone residenti nel comune s’intendono quelle aventi la propria dimora abituale nel comune”, in apparente armonia con l’art. 43 del Codice Civile vigente “la residenza è il luogo in cui la persona ha la dimora abituale”; L'art. 3, comma 38, della legge n. 94/2009, che ha modificato l'art. 2, comma 3 della legge anagrafica, dispone che “ai fini dell'obbligo di cui al primo comma, la persona che non ha fissa dimora si considera residente nel Comune dove ha stabilito il proprio domicilio. La persona stessa, al momento della richiesta di iscrizione, è tenuta a fornire all'ufficio di anagrafe gli elementi necessari allo svolgimento degli accertamenti atti a stabilire l'effettiva sussistenza del domicilio. In mancanza del domicilio si considera residente nel Comune di nascita”.
Se vi sembra facile avere la residenza sulla base di questo (e vi risparmio gli approfondimenti), vi auguro di non doverci provare nella condizione di senza dimora e vi suggerisco di rileggere e di confrontare il tutto, ad esempio quanto al diritto alla salute, con l’art. 19 della L. 833/78 istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale: vi posso assicurare che, tranne alcune eccezioni, per un senza fissa dimora essere iscritto al Servizio Sanitario Nazionale e scegliere un Medico di Medicina Generale è impossibile, proprio perché non ha la residenza.
Le eccezioni sono rappresentate da quei Comuni che – come quello di Genova, ad esempio – hanno istituito delle vie di residenza “fittizia” per i senza fissa dimora, e li iscrivono come residenti attraverso l’azione dei Servizi Territoriali e delle Associazioni di Volontariato: per chi rientra in questo percorso, sempre più a rischio ormai dati i pesanti tagli al welfare degli ultimi anni, si apre la possibilità di fruire realmente dei propri diritti almeno nella misura di chi una dimora ce l’ha, e magari anche l’opportunità di riprendere il filo della propria vita abbandonando la strada ottenendo l’assegnazione di un abitazione di edilizia popolare.
Essendo tra i fondatori e coordinatore dello sportello genovese di Avvocato di Strada, che offre assistenza legale gratuita ai senza dimora ed alle vittime della tratta attraverso sportelli in decine di città italiane in cui operano volontari avvocati, mi riprometto in uno dei prossimi articoli di questo blog di raccontare (naturalmente garantendo l’anonimato degli interessati) qualche esperienza concreta relativa ai diritti dei senza dimora.
Avvocato di Strada, associazione nazionale con sede a Bologna, che tra le molte altre cose nel 2013 ha conseguito il premio cittadino dell'anno assegnato dal Parlamento Europeo, ha presentato una semplicissima e brevissima proposta di Legge, , per modificare l’art. 19 della L. 833/78 e garantire l’assistenza sanitaria ai senza dimora: “1. All'articolo 19, terzo comma, della legge 23 dicembre 1978, n. 833, è aggiunto, infine, il seguente periodo: «Le persone senza fissa dimora, prive della residenza anagrafica, hanno diritto di iscriversi nei suddetti elenchi relativi al comune in cui si trovano».
2. Con decreto del Ministro della salute, da adottare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, previo parere espresso in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sono indicate le linee guida per programmi di monitoraggio, di prevenzione e di cura delle persone senza fissa dimora di cui all'articolo 19, terzo comma, della legge 23 dicembre 1978, n. 833, come modificato dal comma 1 del presente articolo, con il concorso delle strutture sanitarie, degli uffici comunali e delle associazioni di volontariato e di assistenza sociale.”
Semplicissimo, vero? Un’ottima tecnica legislativa, senza roboanti riforme annunciate da venire, che avrebbe risolto problemi gravissimi a migliaia di senza dimora e reso non necessario il lavoro di moltissimi operatori dei Servizi Sociali e delle Associazioni di volontariato, liberando risorse a favore di chi è in difficoltà. Tanto semplice, che la proposta non è stata mai approvata e giace nei cassetti del Parlamento; né si è mai pensato ad adottare questa norma, urgentemente necessaria, attraverso quella decretazione d’urgenza del Governo talmente abusata per altri versi, e che per una volta sarebbe stata forse giustificata.
“Non voglio morire in questo modo, non voglio scomparire sullo sfondo, e domani, magari, diventare un caso, una fotografia, una breve biografia, un articolo di giornale, un dato statistico, un argomento sociologico, un discorso da bar, la lacrima di un prete, il comizio di un politico. Non voglio finire così, al bordo di una strada.” (la citazione iniziale, e questa finale, sono tratte da “Io sono nessuno. Storia di un clochard alla riscossa.” di Wainer Molteni – 2012 Baldini & Castoldi)
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