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Settembre 2014 III – Disincanto e… oscurità

1 Ott 14

A cura di Luca Ribolini

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

IL LAPSUS
da Freud Quotes

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LETTERATURA E SCIENZE DELLA MENTE

di Paolo Gervasi, doppiozero.com, 15 settembre 2014
Le forme della natura sono forme umane. È nel nostro cervello che si formano i triangoli, gli orditi e le ramature. Noi li riconosciamo, li apprezziamo; ci viviamo in mezzo. In mezzo alle nostre creazioni, creazioni umane, comunicabili all’uomo, noi ci sviluppiamo e moriamo. In mezzo allo spazio, allo spazio umano, noi creiamo misure; tramite tali misure noi creiamo lo spazio, lo spazio tra i nostri strumenti. L’uomo poco istruito è terrorizzato dall’idea dello spazio; egli se lo figura immenso, notturno e vorace. Egli immagina gli esseri sotto la forma elementare di una sfera, isolata nello spazio, raggomitolata nello spazio, schiacciata dall’eterna presenza delle tre dimensioni. Terrorizzati dall’idea dello spazio, gli esseri umani si raggomitolano; hanno freddo, hanno paura. Nel migliore dei casi essi attraversano lo spazio, essi si salutano con tristezza in mezzo allo spazio. Eppure tale spazio è in loro stessi, non si tratta d’altro che della loro stessa creazione mentale.
Michel Houellebecq, Le particelle elementari
 
Appena prima di scoccare, nel 1899, il secolo del sottosuolo porta la metafora della leggibilità in un territorio refrattario alla grammaticalizzazione: l’inconscio, che Sigmund Freud conquista alle pratiche dell’interpretazione. In assenza di un correlato organico e fisiologico al quale ricondurre, per situarle, le teorie psicoanalitiche, Freud colloca i sistemi psichici nello spazio del linguaggio figurato. I sogni sono una mediazione (un medium), qualcosa che sta al posto di una conoscenza diretta: una scrittura. L’apparato psichico manifesta una sua inclinazione concettuale ad aderire alla, e a manifestarsi nella, forma scritta. Il sogno è un testo che l’analista tenta, filologicamente, di ricostruire. Il resoconto dei casi clinici diventa un romanzo analitico che adotta il potenziale cognitivo dei processi narrativi: la struttura del racconto non è soltanto un modello organizzativo dei materiali, è un dispositivo interpretativo. Del resto la leggibilità dell’inconscio deriva dal suo disporsi come un linguaggio, e solo in quanto mostra il funzionamento della grammatica dell’inconscio la psicologia freudiana diventa uno strumento della pratica ermeneutica.
Introducendo la sua teoria freudiana della letteratura Francesco Orlando indica ne Il motto di spirito e il suo rapporto con l’inconscio, pubblicato da Freud nel 1905, il “luogo di massima approssimazione […] al problema del rapporto fra inconscio e letteratura”: il motto di spirito, in quanto manifestazione dell’inconscio “cosciente, volontaria e socialmente istituzionale”, è un analogo della letteratura, e Freud può analizzarlo come traccia testuale sottratta alle interferenze della psicologia e della biografia dell’autore, alle quali invece ricorre, rendendoli pressoché inservibili per una sistemazione teorica, nei suoi saggi sull’arte e sulla letteratura.
La tecnica di cifratura attraverso la quale la lingua dell’inconscio, proteggendo la tendenza eversiva dall’azione della repressione, si rende decifrabile, trasferisce il fronte della leggibilità nelle profondità della coscienza individuale, indicando alla critica una possibile estensione e un potenziamento della “interpretabilità”. “Freud”, ha scritto Lavagetto, “esporta dalla psicoanalisi allo studio del testo non solo l’indicazione perentoria di un retroscena, ma anche una tecnica, un metodo per raggiungerlo e portarlo alla luce”.
La comprensibilità dell’esistenza inconscia, la possibilità di decifrare una dimensione interna dell’uomo, una profondità psichica contigua alle profondità biologiche, la prospettiva di testualizzazione delle emergenze del bios, è un complesso di fenomeni parallelo e omologo ai carotaggi operati dalla fisica moderna nel mondo subatomico: un salto dimensionale che non è solo una miniaturizzazione del “formato” di lettura, ma una riformulazione integrale dell’esperienza del mondo. La teoria dei quanti rivela nel libro della natura delle discontinuità che introducono a una visione discreta dell’universo.
La compattezza del reale diventa un fatto statistico: a livello molecolare dominano l’incertezza e la casualità. I fisici, spiega Erwin Schrödinger, utilizzano un corpo leggero sospeso a un filo per misurare deboli forze elettriche, magnetiche o gravitazionali, che tendono ad allontanarlo dal suo punto di equilibrio. L’applicazione di queste forze porta il corpo a ruotare attorno alla propria verticale. Per migliorare la precisione dello strumento si utilizzano corpi sempre piú piccoli legati a fili sempre piú lunghi e sottili, rendendo la bilancia di torsione sensibile a forze sempre piú deboli: “il limite fu raggiunto quando il corpuscolo appeso divenne sensibile agli urti dovuti ai moti di agitazione termica delle molecole circostanti e cominciò a eseguire, attorno alla sua posizione di equilibrio, una incessante e irregolaredanza”.
La scrittura del Novecento scompone le strutture della realtà in particelle, osserva la danza delle molecole attorno al punto di equilibrio, disconosce le leggi statistiche generali che assicurano la consistenza del mondo. Con la complicità della critica: che non è piú in grado, oppure consapevolmente rifiuta, di formulare leggi universali e “statisticamente” attendibili, e sceglie di seguire le particelle nella loro danza. O meglio: partecipa alla danza, dal momento che non esiste procedimento conoscitivo che, progredendo nella materia, non la modifichi, non interferisca, deformandoli, con i processi che intende comprendere.
Don Ciccio Ingravallo, insieme al fedele brigadiere Pestalozzi, si ingarbuglia nello gliommero che ha il compito di districare, non perché il giallo gaddiano non abbia soluzione, ma perché la vicenda è mossa da una molteplicità multiforme di fenomeni simultanei, che interconnette nel pasticciaccio un coro di responsabilità individuali, testimoni oculari (ma soprattutto vocali) che intervengono nella storia e, come il ricercatore/osservatore, dicendola la deformano.
Lo ha dimostrato Gabriele Frasca, e proprio mettendo a sistema Gadda “con Freud e Schrödinger”, ovvero appunto con i due paradigmi conoscitivi che, all’inizio del Novecento, hanno esteso la leggibilità a fenomeni non immediatamente percepibili dai sensi ordinari: le onde elettromagnetiche, i sogni, la materia subatomica. Nel romanzo gaddiano si agita una ridda di accoppiamenti giudiziosi e dicorrelazioni fantasma, con coppie e serie binarie che scorrono parallele e, allo stesso tempo, interferiscono a distanza proprio come fanno le particelle subatomiche secondo l’intuizione di Schrödinger, che sviluppa il paradosso della non separabilità quantistica di Einstein, Podolsky e Rosen: se due particelle interagiscono una volta, continuano a mostrare per sempre un certo grado di correlazione reciproca, indipendentemente da ogni nesso causale.
La parola che Schröndinger sceglie per tradurre i fenomeni descritti dalla sua equazione, entanglement, rima perfettamente, secondo una corrispondenza lessicale precisa, con il groviglio, o garbuglio o gomitolo (ma anche: pasticcio), che è l’immagine cui don Ciccio affida la sintesi della propria fisica dell’esistenza. La scrittura di Gadda è sintomatica di una modalità di percezione e descrizione dell’universo che modifica in profondità, e a tutte le latitudini culturali, le strutture letterarie: il paradigma narrativo, in particolare, viene travolto dal principio di indeterminazione.
Le trame e i personaggi sono in balía della danza delle particelle: cosí Giacomo Debenedetti spiega il prodursi di eventi probabilistici, e mai prevedibili secondo un principio causale, nei romanzi di Moravia e di Pasternak. La tendenza è evidente anche ad Auerbach, quando afferma che nel romanzo moderno, anziché il racconto dei grandi destini esteriori, delle macroscopiche svolte individuali e collettive, si predilige il racconto di eventi minimi, nella convinzione che “un qualunque fatto della vita scelto casualmente contenga in ogni momento e possa rappresentare la somma dei destini”.
La consapevolezza della consistenza probabilistica della realtà riverbera sulla critica, e su quelle opere di “filologia moderna”, incluso naturalmente il monumentale campionamento auerbachiano, nelle quali l’analisi di frammenti e fatti stilisitici puntuali, molecolari, mostra, attraverso una catena di correlazioni fantasma, il significato di intere opere, o serie di opere, e perfino di intere epoche letterarie. L’entanglement che tiene insieme tutti i “fatti” culturali rende possibile per Auerbach concepire unaFilologia della letteratura mondiale.
Ma l’intuizione di una coimplicazione costante tra il livello subatomico e quello sistemico consente anche di estendere e complicare l’eredità auerbachiana piú discussa, quella relativa al concetto di “realismo”. Le nuove descrizioni delle strutture cognitive dell’uomo impongono, come scrive Alberto Casadei, di concepire il realismo non come tecnica mimetica superficiale ma come esplorazione del livello di realtà nel quale “il versante interiore dell’individuo e quello esterno delle res e degli altri sono in simbiosi attraverso la perenne mediazione del nucleo corpo-mente”.
La leggibilità del mondo, impossibile a occhio nudo, si trasferisce nella dimensione cellulare, laddove la fisica si converte in biologia, e scopre un livello di realtà che contiene in potenza l’intero svolgimento della creazione. Pochissimi atomi sono portatori del testo completo del codice genetico, che custodisce allo stesso tempo la storia dell’organismo e le istruzioni per il suo funzionamento.
La riproduzione è un processo di copiatura, e la genetica è una sorta di grammatica della biologia. Il lettore ed esecutore del codice genetico è interno alla cellula stessa, è una molecola deputata, è un microscopico copista i cui refusi e tradimenti sono il germe della differenziazione. Ciò che passa da una cellula all’altra, ciò che viene duplicato, non è materia: è informazione, scrittura. La frontiera subatomica della leggibilità, la lettura “genetica” del codice della vita, il funzionamento nucleare della creatività, impongono un salto di scala, un cambio di paradigma, che sposti all’interno, dentro i processi creativi, dove bios elogos sono ancora indistinti, l’osservatorio dell’interpretazione.
Lungo questa linea di approfondimento anche il discorso freudiano trova una radicalizzazione “materialistica”, attraverso una situazione della mappatura psichica delineata da Freud nelle strutture cognitive e neurologiche: il funzionamento della mente, e quindi le sue facoltà creative, possono essere indagate a un livello piú profondo, piú radicato nelle configurazioni primarie della coscienza. Come ha mostrato il premio Nobel per la medicina Eric Kandel, approccio psicoanalitico e approccio neuroscientifico compongono un continuum, una disciplina unica in grado di descrivere i movimenti della vita psichica, le formazioni della coscienza, i meccanismi della comprensione, e quindi i fondamenti cognitivi della creatività.
Sempre nel punto di contatto tra interno ed esterno, tra fisiologia della mente e condizionamenti culturali, tra bios e logos, e operando una sintesi complessa tra lo studio miscroscopico della dimensione nucleare, nella quale si muovono le particelle della cognizione, e la rappresentazione olistica dei fenomeni cognitivi. Il rapporto tra acquisizioni fisiologiche delle scienze della mente e studio dei fenomeni cognitivi complessi, come l’arte, pone un problema analogo a quello cui si trova davanti la fisica moderna, ovvero conciliare la teoria della relatività generale e la meccanica quantistica, il livello subatomico e il livello stellare e galattico, le microparticelle costitutive della materia e le grandi distese dell’universo.
 
Testi citati
Eric Auerbach, Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, Einaudi, Torino, 1956.
Alberto Casadei, Letteratura e controvalori. critica e scritture nell’era del web, Donzelli, Roma, 2014.
Giacomo Debenedetti, Il romanzo del Novecento, Garzanti, Milano, 1998.
Gabriele Frasca, Un quanto di erotia. Gadda con Freud e Schrödinger, Edizioni d’if, Napoli, 2011.
Eric R. Kandel, Psichiatria, psicoanalisi e nuova biologia della mente,Cortina, Milano, 2007.
Mario Lavagetto, Freud, la letteratura e altro, Einaudi, Torino, 1985.
Francesco Orlando, Per una teoria freudiana della letteratura, Einaudi, Torino, 1992.
Erwin Schrödinger, Che cos’è la vita? La cellula vivente dal punto di vista fisico, Adelphi, Milano, 1995.
http://www.doppiozero.com/materiali/bioslogos/letteratura-e-scienze-della-mente

PORDENONELEGGE, UN PONTE LANCIATO TRA CODICI CULTURALI DIVERSI. L’edizione di Pordenonelegge di quest’anno ha l’obiettivo di sondare le faglie emotive provocate da una crisi che sempre più presenta caratteristiche di lunga durata 
di Riccardo Mazzeo, ilmanifesto.info, 16 settembre 2014

Il tra­guardo di que­sta mani­fe­sta­zione let­te­ra­ria nata nel 2000 è coro­nato da una ric­chezza di ete­ro­ge­nee pre­senze let­te­ra­rie: da David Gross­man, che aprirà l’evento, a Umberto Eco, che rice­verà il Pre­mio «Friu­lA­dria La sto­ria in un romanzo».
Gli ele­menti carat­te­riz­zanti di que­sta «Festa del Libro con gli Autori» sono innan­zi­tutto l’attenzione par­ti­co­lare pre­stata alla poe­sia: ricor­diamo che il diret­tore arti­stico Gian Mario Vil­lalta è un poeta, e che anche il secondo degli orga­niz­za­tori, Alberto Gar­lini, ha esor­dito con un libro di poe­sia prima di pub­bli­care quel capo­la­voro nar­ra­tivo che è La legge dell’odio, uscito per Einaudi nel 2012 e tra­dotto ora da Gal­li­mard con il titolo Le Noir et le Rouge. In secondo luogo la pro­fu­sione di ante­prime (quest’anno ben 33 libri in uscita decol­lano da Por­de­none).
Ma, soprat­tutto, la mis­sione di «Por­de­no­ne­legge» con­si­ste nel «lan­ciare ponti dalla let­te­ra­tura e dagli altri ambiti arti­stici alla vita reale», per con­tra­stare quel «distacco sen­so­rial», che secondo Michel Houel­le­becq de Le par­ti­celle ele­men­taripre­giu­dica sem­pre di più la capa­cità di sen­tire e di empa­tiz­zare dell’abitante del XXI secolo, o per porre rime­dio a quello scol­la­mento, quel pro­sciu­ga­mento delle «par­te­ci­pa­zioni» che secondo Edgar Morin de L’uomo e la morte ren­dono ancora pos­si­bile una «comu­nità» ridotta in bran­delli sper­duti, lacerti ina­ci­diti e ostili, e che andreb­bero con urgenza vivi­fi­cate e riac­cese negli esseri umani.
In un mondo in cui l’esplosione della libertà ha lasciato sul campo il cada­vere della soli­da­rietà umana e un nuovo tipo di vio­lenza che con­si­ste, come pre­fi­gu­rato da Emma­nuel Lévi­nas in Tota­lità e infi­nito (ricor­dato da Maz­za­rella nel suo ultimo libro sul male), «nell’interrompere la con­ti­nuità delle per­sone, nel far loro reci­tare delle parti nelle quali non si ritro­vano più, nel far loro man­care, non solo a degli impe­gni, ma alla loro stessa sostanza», una mani­fe­sta­zione come que­sta con­tri­bui­sce a ricom­porre i fram­menti della nostra uma­nità, del nostro intel­letto, della nostra sen­si­bi­lità.
Attra­verso la chia­ro­scu­ra­lità illu­mi­nante di roman­zieri stra­nieri, come Hanif Kurei­shi, Mar­ga­ret Atwood, Jamaica Kin­caid, Nico­lai Lilin, Georgi Gospo­di­nov, Petra Sou­ku­pova, Hakan Nes­ser, Yasmina Kha­dra, e ita­liani come Cor­rado Augias, Gian­rico e Fran­ce­sco Caro­fi­glio, Milena Angus e Luciana Castel­lina, Fran­ce­sco Pic­colo, Anto­nio Scu­rati e molti altri.
Il pen­siero avrà i suoi punti di forza in Mas­simo Recal­cati, che par­lerà dell’ultimo libro L’ora di lezione fram­me­sco­lando nar­ra­zione e rifles­sione, Mauro Magatti che pre­sen­terà il suo ultimo lavoro scritto con Chiara Giac­cardi Gene­ra­tivi di tutto il mondo, uni­tevi! (che è molto pia­ciuto a Zyg­munt Bau­man per­ché è ricco di una qua­lità fon­da­men­tale e sem­pre più rara, l’immaginazione), Ulrich Beck e sua moglie Eli­sa­beth Beck-Gernsheim, Mas­simo Cac­ciari, Giu­lio Gio­rello, Luigi Zoja, Vito Man­cuso, Gia­como Mar­ra­mao e Anto­nio Gnoli.

Il pro­gramma è con­sul­ta­bile su www​.por​de​no​ne​legge​.it.
http://ilmanifesto.info/pordenonelegge-un-ponte-lanciato-tra-codici-culturali-diversi/
 

NON SONO BICCHIERI DA RIEMPIRE 
di Anna Frigerio, tracce.it, 17 settembre 2014

Nel solco della «ispirata lettura del testo platonico» di Lacan, Massimo Recalcati rintraccia nella scena iniziale del Simposio l’origine di quella che definisce «l’erotizzazione del sapere». Agatone, discepolo di Socrate, chiede al maestro di prendere posto a tavola e di sdraiarsi accanto a lui. Ad animare la domanda di Agatone è la medesima «illusione scolastica» che «guida ogni allievo nei confronti del proprio maestro: supporre nell’Altro un sapere di cui si vuole condividere il mistero e la potenza assimilandone il contenuto per contiguità».
«Socrate accetta di sedersi accanto al discepolo, ma si sottrae alla definizione di oggetto amato – eromenos – e rivendica piuttosto il ruolo di erastes, puro amante del sapere». In questo gesto di Socrate sta la possibilità di avviare un processo di conoscenza: «Egli – Socrate – sa bene che al centro del sapere – non del suo, ma del sapere in quanto tale – dimora un “vuoto”, una faglia che è indice dell’impossibilità di sapere tutto, di spiegare ogni cosa. Questo significa che il sapere del maestro non è mai ciò che colma la mancanza, quanto ciò che la preserva. L’apprendimento non avviene per travaso passivo da un bicchiere più pieno a uno più vuoto, perché il modello sul quale si fonda non è mai quello di un vuoto da riempire – le teste vuote degli allievi dentro le quali si deve versare il cemento del sapere – quanto di un vuoto da aprire. Rifiutandosi di incarnare il sapere, Socrate rinvia all’allievo il saper che l’allievo ricerca in lui, mantenendo aperto il luogo del sapere come luogo di una mancanza strutturale. Chiediamoci: non è questo il movimento essenziale che caratterizza il lavoro di ogni insegnante degno di questo nome? Aprire vuoti nelle teste, aprire buchi nel discorso già costituito, fare spazio, aprire le finestre, le porte, gli occhi, le orecchie il corpo, aprire mondi, aprire aperture impensate prima. Non è questa la materia di cui è fatta l’erotica dell’insegnamento? Non è questo il gesto che fa esistere un insegnamento in grado di generare effetti infiniti di soggettivazione?».
E così l’autore, in un momento di «evaporazione interdisciplinare» della Scuola (sempre con la lettera maiuscola nel testo!), ribadisce con forza la funzione dell’insegnante. Di qui la centralità dell’ora di lezione: «Se il sapere umano è attraversato da una faglia, non è perché è impossibile acquisire tutto il sapere, ma perché il sapere è solcato da un limite: il sapere non può venire a capo del senso della vita, non può sapere tutto. L’eccedenza della vita lo esorbita scavando al suo interno una mancanza. Ecco allora da dove sorge un vero insegnamento: quando il maestro sa alludere, evocare, portare alla presenza questo limite, questa mancanza e questa eccedenza, senza mai pretendere di ridurli a un oggetto che possiamo padroneggiare».
Un insegnante, quello tratteggiato da Recalcati, che, libero dall’illusione generata o dall’ipercognitivismo oggi dominante nella scuola – un sapere senza vita – o, al contrario, dalla nuova ondata psicologista – una vita senza sapere -, sa fare dell’ora di lezione, quale che sia la materia insegnata e dentro le strettoie prodotte dalla burocrazia o dall’ansia valutativa, il momento in cui può accadere l’inizio, innanzitutto in sé, e perciò in chi ha davanti, di un amore per il sapere aperto al mistero. L’impossibilità di sapere, alla quale l’autore fa riferimento, lascia dunque lo spazio a quella inesausta ricerca di senso che ha dato e dà vita a ogni espressione umana in ogni ambito del sapere e comunque in ogni mossa dell’essere.
E vi sono come delle condizioni perché l’insegnante possa assolvere al suo straordinario compito. Tra le tante descritte dall’autore, che ci riserva splendidi affondi sul significato della parola e del linguaggio piuttosto che sulla necessità dell’apprendimento mnemonico come condizione del vuoto necessario all’apprendimento, almeno un paio vanno segnalate.
La prima, «tacere l’amore»: «Il dono più grande del maestro non è il dono del sapere ma quello di saper “tacere l’amore”. Se il maestro non sa tacere il proprio amore, rischia di esigere, volontariamente o meno, che l’allievo segua le sue orme, che diventi ciò che lui si attende. Solo saper tacere l’amore può svuotare il luogo dell’Altro di ogni attesa e permettere al soggetto di incamminarsi per la propria via»; la seconda, non avere paura dell’inciampo, non avere paura cioè di non sapere, e, nel contempo, essere d’inciampo ai propri studenti: «Ricordiamo gli insegnanti che sono stati per noi degli inciampi, che ci hanno sottratti alle nostre abitudini mentali e ci hanno fatto pensare in modo nuovo».
Il testo si chiude con il bellissimo racconto della personale esperienza scolastica dell’autore e in particolare dell’incontro con Giulia, giovane insegnante di lettere in un Istituto agrario della periferia milanese. Giulia, in questa commossa e delicata rievocazione che Recalcati ha voluto regalarci di un vissuto tanto intimo e decisivo, restituisce alle pagine del testo una profondità che le affranca, in modo originale e perciò convincente, da una riflessione astratta sul significato dell’insegnamento e pone invece la forza di una testimonianza:«Perché vi sia desiderio di sapere è necessario un contagio, un incontro con un testimone di questo desiderio». O ancora: «Le possibilità dell’apprendimento hanno come condizione l’eros del desiderio. Pensare di trasmettere il sapere senza passare dalla relazione con chi lo incarna è un’illusione, perché non esiste una didattica se non entro una relazione umana».
Massimo Recalcati, L’ora di lezione. Per un’erotica dell’insegnamento, Einaudi
pp.162 – € 14

http://www.tracce.it/default.asp?id=331&id_n=43211
 

DOVE FINISCE IL PRINCIPIO DEL PIACERE.Nel nuovo romanzo Augias torna alla psicoanalisi delle origini. Per raccontare un mistero al femminile    
di Massimo Recalcati, la Repubblica, 17 settembre 2014
Quid est veritas? È la domanda che Pilato rivolse a Gesù e che risuona sulle labbra di un personaggio di Il lato oscuro del cuore , prima prova di letteratura “alta” di Corrado Augias che Einaudi ha deciso di ospitare nella sua collana più prestigiosa, dove appaiono i nomi dei grandi: Rigoni Stern, Roth, Auster, Mc Carthy, Calvino, De Lillo. Questa domanda non è solo la vera protagonista del libro ma costituisce una sorta di filo rosso che insistentemente — e come potrebbe essere diversamente? Non si scrive sempre del proprio fantasma? — percorre l’opera sfaccettata di Augias. Se si osserva infatti la sua imponente produzione — narrativa, giornalistica, televisiva — un tema si impone su tutti gli altri: quello della verità e dei suoi segreti.
A questo tema si può riportare l’interesse per le città di Parigi, New York, Roma, Londra, ma anche i primi lavori di narrativa noir e le inchieste giornalistiche più recenti e fortunate sui segreti del Vaticano, Gesù, Maria e gli italiani nel loro strambo rapporto con il potere ( Perché agli italiani piace avere un padrone?
Recita il sottotitolo del saggio Il disagio della libertà ). Anche l’Augias televisivo appare mosso dalla stessa corrente se solo si ricorda, tra tutti i suoi fortunati programmi, forse quello divenuto più popolare: Telefono giallo. Insomma pare evidente che la cifra dell’Augias-intellettuale è quella di inseguire la verità nei suoi luoghi più oscuri. Di qui, non ultima, la sua passione per i labirinti della vita psichica e la sua ammirazione per il geniale Charcot alla cui lezione si formò, nella Parigi di fine Ottocento, il giovane Freud. È proprio quest’ultima vena di ricerca a nutrire il romanzo di Augias: la psicoanalisi come “scienza delle tracce” — secondo una bella definizione di Freud. La protagonista della storia, Clara, è infatti una giovane studiosa di psicoanalisi, aspirante psicoterapeuta. Si interessa dell’inconscio e delle sue enigmatiche manifestazioni, in particolare quelle legate al corpo delle donne al quale la psicoanalisi deve, come nessun’altra disciplina, la sua identità e la sua genesi. Lo sa bene Clara quando ripercorre nei suoi studi i passi che condussero Breuer e Freud a concepire i corpi delle isteriche come teatri di un discorso senza parole, a vedere — sulla via aperta da Charcot — nelle loro contorsioni l’affiorare in superficie di una verità scabrosa e inconfessabile.
Nella scena d’apertura troviamo il corpo di una donna spaventato, inerme e offeso dalla brutalità terrorizzante di un uomo. È il corpo di Wanda. È lei la donna che apparirà come uno spettro imprevisto sul cammino diligente di Clara. Sospettata di essere coinvolta in qualche modo nell’omicidio del marito, viene sospinta dal suo avvocato verso Clara con l’intento di ricavare qualche informazione utile dalle sedute psicoterapeutiche. Il passaggio della giovane studiosa dallo studio delle prime “eroine“ della piscoanalisi (Bertha Pappenheim, Dora, Sabina Spielrein, le isteriche di Charcot), alla nuda vita di Wanda è un doppio salto mortale. Clara s’imbatte nell’esperienza che ogni psicoanalista conosce bene: l’incontro con una storia reale e con una vita disfa la sicurezza dogmatica della dottrina, facendo vacillare le sue fragili basi. Nell’incontro con il mistero di Wanda, Clara vive con smarrimento il punto dove la chiarezza cartesiana della teoria l’abbandona: «Il colloquio con Wanda stuprata e ferita, incapace di una qualunque difesa per ragioni che ignorava aveva avuto su di lei un effetto sconvolgente!… mai come in quel momento si era sentita sospesa tra l’analisi astratta di casi vecchi di decenni e gli urti violenti con cui la vita la stava colpendo… ». La verità della psicoanalisi non riguarda la natura del mondo, ma quella “umana troppo umana” del sesso; è la verità della divisione e non dell’unità dell’uomo.
Il mistero indigesto sulla cui pista si è gettata Clara è un mistero che ci riguarda. Esso fa saltare i confini della vittima e del carnefice, del buono e del cattivo, del razionale e dell’irrazionale. L’oscuro non è l’opposto della luce, la volontà e la ragione non governano integralmente le passioni del corpo, la violenza non è il contrario del piacere: «Potevo dire di essere violentata? — si chiede Wanda — Un uomo mi era venuto addosso a casa mia, sul mio letto. Era sicuramente violenza. Però mi aveva anche provocato un piacere mai provato prima, cancellando qualunque altra cosa». Questo piacere è un eccesso che si mescola al male e all’offesa e che genera un attaccamento mortifero. I mostri non vengono mai dall’esterno ma sgorgano dalla nostra mente. La barbarie non è il confine esterno e straniero della Civiltà ma la faglia, l’orrore che cresce nel suo seno. Clara può allora scoprire in modo spaesante che Wanda non è solo un’altra donna, ma abita in lei, è l’indice della sua differenza interna, della sua divisione. Può scoprire che in questa donna la posizione di vittima («della società, dei costumi, dell’indigenza, di una cultura insufficiente, di un matrimonio sbagliato, di una serie di circostanze sfortunate, di una congenita debolezza di carattere »), si ribalta in modo sconcertante in quello di chi ha una responsabilità attiva nel fare qualcosa di quello che gli altri hanno fatto di lei. Wanda non è solo una vittima.
La verità che emerge non può non lasciare il lettore spiazzato. Se per un verso uno dei temi del romanzo è l’occupazione violenta da parte di una cultura maschilista e sessista del corpo delle donne (una sorta di rappresentazione retroattiva del nostro ultimo ventennio?), per un altro esso non sceglie la via comoda dell’alleanza con la vittima. Il lato oscuro del cuore è oscuro perché non risponde all’Ideale, ma alla pulsione. La domanda finale che investe il mistero della vita di Wanda («com’era possibile, dopo tutto quello che le avevano fatto, che Wanda si chiedesse se doveva aiutare o no l’uomo che l’aveva torturata ») non è diversa da quella che dobbiamo porci su Sabina Spilrein — tormentata paziente di Jung e Freud — quando decide di consegnarsi nella mani dei nazisti mentre avrebbe potuto fuggire: «Perché Sabina si consegna volontariamente ai suoi carnefici?». Quid est veritas?
Il lato oscuro del cuore di Corrado Augias (Einaudi pagg. 280, euro 19)
http://www.fondfranceschi.it/cogito-ergo-sum/dove-finisce-il-principio-del-piacere
 

50 ANNI DOPO IL «NO» TORNA IN CINA LA PSICOANALISI 
di Clara Attene, Venerdì Repubblica, 19 settembre 2014

La chiamano la cura del parlare e quasi 50 anni dopo il divieto di praticarla, imposto da Mao, i cinesi hanno sempre più fame di psicoterapia. I numeri, secondo una ricerca diffusa dall’Università di Shanghai, dicono che oggi almeno 16 milioni di cittadini cinesi soffrono di gravi disturbi mentali, 97 devono fare i conti con ansia e depressione, mentre altri 173 si sono visti diagnosticare problemi psichici più lievi.
Non solo: ogni anno si contano 180mila suicidi e almeno due milioni di tentativi di togliersi la vita. «Con il tramonto del Maoismo» commenta l’etnografo Huang Hsuan-ying, che dal 2007 sta studiando l’esplosione della domanda di assistenza psicologica, «le persone hanno iniziato a cercare soluzioni al proprio disagio che non fossero solo materiali, nel tentativo di superare i traumi legati alla guerra, alle carestie, alla violenza della Rivoluzione Culturale. In più, il rapido passaggio a un’economia di impronta capitalista che si è verificato in Cina ha aggravato il carico, accelerando il cambiamento sociale e, di conseguenza, incidendo sui legami familiari e sul senso di identità delle persone.
La prima legge sulla tutela della salute mentale è entrata in vigore soltanto nel 2013, dopo un iter durato ben 27 anni, mentre, data la situazione, il lavoro di Sigmund Freud tornava prepotentemente in auge. I suoi scritti erano stati tradotti in cinese già negli anni Venti, ma nel 1966 la pratica della psicoterapia era stata totalmente bandita, lasciando in piedi solo i servizi di psichiatria. Anche questa impostazione fortemente medicalizzata, però, lascia a desiderare. Secondo Zhao Xudong della Tongji University di Shanghai, ci sono oggi circa 20mila psichiatri nel Paese, ma negli anni a venire ne serviranno almeno centomila. Un obiettivo non esattamente dietro l’angolo, considerato che sono solo tremila gli studenti che in tutta la Cina stanno completando il percorso formativo in questo ambito.
D’altra parte, si discute pure del fatto che diventare psicologi sia troppo facile. Sono infatti circa 400 mila i consulenti iscritti all’albo tenuto dal ministero del Lavoro, ma esistono molte differenze, a seconda della provincia in cui si studia, sulla validità della formazione ricevuta e sull’impegno richiesto per sostenere gli esami. Inoltre, gli aspiranti psicologi non sono incoraggiati da ciò che li aspetta fuori dalle aule universitarie: le sedute, se svolte nell’ambito di una struttura pubblica, sono ricompensate con tariffe orarie attorno agli otto euro, mentre in privato possono arrivare a dieci volte tanto. Peccato che costruirsiuna clientela non sia affare scontato: se in Occidente, la costruzione di una personalità più forte è un obiettivo condiviso, questo risulta in forte contrasto con la cultura locale che esalta invece il superamento del sé in favore dell’insieme della società. Per non parlare della riottosità di molti pazienti a esprimere i propri sentimenti, ma anche nel rispettare l’impegno di un appuntamento fisso settimanale. O la sorpresa di fronte al fatto che la cura, spesso, non consista nel prendere medicine, ma, appunto, solo nel parlare.
http://periodici.repubblica.it/venerdi/
 

SLAVOJ ZIZEK E LA FILOSOFIA SPACCIATA A PICCOLE DOSI. Saggi. «107 storielle di Zizek. (La sai quella su Hegel e la negazione?)» per Ponte alle Grazie 
di Mattia Cinquegrani, ilmanifesto.info, 20 settembre 2014

Pen­sa­tore di rilievo inter­na­zio­nale, stu­dioso di psi­coa­na­lisi, filo­sofo: rea­liz­zare una pre­sen­ta­zione curata ed esau­stiva di Sla­voj Zizek si dimo­stre­rebbe una ope­ra­zione ridon­dante e scar­sa­mente utile. Star incon­tra­stata del mondo acca­de­mico occi­den­tale, cele­bre (e infi­ni­ta­mente cele­brato) per aver saputo legare la tra­di­zione filo­so­fica alla cul­tura popo­lare, ma ben cono­sciuto anche per le ami­ci­zie illu­stri (più o meno esi­bite) e per le sue rela­zioni sen­ti­men­tali, in ven­ti­cin­que anni di car­riera il filo­sofo slo­veno si è fatto cono­scere dal grande pub­blico, gra­zie alla vastità della pro­pria pro­du­zione let­te­ra­ria. Filo­so­fia, poli­tica, sto­ria, psi­coa­na­lisi, cinema e musica: non esi­ste àmbito cul­tu­rale che non abbia destato l’interesse di Zizek e che non sia diven­tato suo oggetto di stu­dio. Così, in attesa dell’imminente pub­bli­ca­zione ita­liana del secondo volume di Meno di niente. Hegel e l’ombra del mate­ria­li­smo dia­let­tico (pre­vi­sta per il pros­simo autunno) lo stu­dioso slo­veno decide di espan­dere ulte­rior­mente i pro­pri con­fini, con una breve incur­sione nel mondo dei motti di spi­rito.
D’altro canto, umo­ri­smo e bar­zel­lette sono tutt’altro che nuovi all’analisi intel­let­tuale. Se già nel 1900 Henri Berg­son – con il cele­ber­rimo Le rire. Essai sur la signi­fi­ca­tion du comi­que – prende in con­si­de­ra­zione i mec­ca­ni­smi di fun­zio­na­mento del comico, per por­tare alla luce il ruolo assunto dal ridi­colo all’interno delle col­let­ti­vità umane, più recen­te­mente, Umberto Eco ha dedi­cata la pro­pria atten­zione alla immor­ta­litàdelle bar­zel­lette oscene in quanto genere nar­ra­tivo. Ricon­du­ci­bili, nella loro strut­tura, all’epigramma e alla satira antica o – come sostiene, invece, Mau­ri­zio Fer­ra­ris – del tutto simili, nei loro tratti essen­ziali, allaforma mito, esse sono incon­te­sta­bil­mente carat­te­riz­zate dall’assenza di un autore rico­no­sci­bile, come di un qual­si­vo­glia refe­rente, così da poter assu­mere una vali­dità il più dif­fu­sa­mente col­let­tiva. Come spiega Zizek esse «sono in ori­gine già “rac­con­tate”, sono già sem­pre “sen­tite” (si pensi al pro­ver­biale “La sai quella su…?”). Qui sta il loro mistero: sono idio­sin­cra­ti­che, rap­pre­sen­tano la crea­ti­vità unica del lin­guag­gio, e tut­ta­via sono “col­let­tive”, ano­nime, prive d’autore, sor­gono all’improvviso dal nulla. L’idea che una bar­zel­letta debba avere un autore è para­noica nel vero senso del ter­mine: signi­fica che ci deve essere un “Altro dell’Altro”, dell’anonimo ordine sim­bo­lico, come se l’imperscrutabile potere gene­ra­tivo del lin­guag­gio potesse essere per­so­na­liz­zato, ripo­sare in un agente che lo con­trolla e segre­ta­mente ne tira le fila. È per que­sto che, da una pro­spet­tiva teo­lo­gica, Dio è il sommo bur­lone».
107 sto­rielle di Zizek. (La sai quella su Hegel e la nega­zione?), edito ancora una volta da Ponte alle Gra­zie (pp. 166, euro 13) si pre­senta come un trat­tato filo­so­fico dalla forma alter­na­tiva, una rac­colta di sto­rielle spas­sose (o tali almeno nelle inten­zioni) atte tanto a spie­gare, in maniera diretta, alcuni tra i prin­ci­pali nodi della filo­so­fia occi­den­tale, quanto a dimo­strare il grado di incon­te­sta­bile dif­fu­sione della ideo­lo­giaall’interno del nostro sistema cul­tu­rale.
Sebbene il pro­getto possa appa­rire deci­sa­mente stuz­zi­cante, sfor­tu­na­ta­mente que­sto testo fal­li­sce in maniera evi­dente gli obiet­tivi che si era pre­po­sti. Il limite più grande di tale ope­ra­zione risiede nell’impoverimento di ela­bo­ra­zioni filo­so­fi­che, psi­coa­na­li­ti­che e cul­tu­rali, ine­vi­ta­bile con­se­guenza della loro ridu­zione a una serie di brevi for­mule facil­mente dige­ri­bili. Così, pri­vata della sua com­ples­sità lin­gui­stica o di una qual­siasi stra­ti­fi­ca­zione seman­tica, la filo­so­fia viene qui negata, nell’individuazione di un punto di arrivo che abor­ti­sce per intero lo svi­luppo di quel lungo per­corso rifles­sivo e cogni­tivo, che rap­pre­senta – in fin dei conti – la vera essenza del pensiero.
http://ilmanifesto.info/slavoj-zizek-e-la-filosofia-spacciata-a-piccole-dosi/
 

OSCURO COME IL CUORE. Io so, ma non ho le prove, che la psico-star Recalcati sta recensendo tutti i big di Rep. per ammazzarli 
di Guido Vitiello, ilfoglio.it, 20 settembre 2014

Edmondo Berselli si divertiva a immaginare che nelle riunioni a Via Solferino, quando i casi del giorno richiedevano un commento dotto e pensoso, la redazione del Corriere brancolasse nel buio finché una vocina esitante non tirava fuori, per il sollievo generale, il nome decisivo: “Magris?”. A Repubblica non hanno più in panchina l’asso absburgico, ma chissà che anche lì non si svolgano di quei conclavi. C’è un affare tenebroso, una madre infanticida, uno zio cannibale, una suocera licantropa, qualcosa insomma che imponga di scandagliare l’animo umano a profondità dostoevskiane inaccessibili a Michela Marzano. Si discute, ci si arrovella, si pondera, ci si dispera. Poi, tana libera tutti: “Recalcati?”. Ma non è necessario che le cronache offrano crudeltà favolistiche. Può accadere per esempio che un venerato maestro di Repubblica scriva un romanzo a base di isteriche viennesi, e che questo sia accolto nella (fu) nobile collana dei Supercoralli Einaudi. Da Largo Fochetti, dopo la fumata bianca, parte una telefonata: “Professore, ci psicoanalizzi Augias”.
A egregie cose il forte animo accendono le collane de’ forti, e così la psicostar lacaniano-foscoliana s’inventa un incipit grandioso: “Quid est veritas? E’ la domanda che Pilato rivolse a Gesù e che risuona sulle labbra di un personaggio di ‘Il lato oscuro del cuore’, prima prova di letteratura ‘alta’ di Corrado Augias che Einaudi ha deciso di ospitare nella sua collana più prestigiosa, dove appaiono i nomi dei grandi: Rigoni Stern, Roth, Auster, McCarthy, Calvino, DeLillo”. Ma scartiamo subito la chiave del ridicolo. Il ridicolo è alle spalle, lo vediamo dal lunotto posteriore mentre sventola il fazzoletto di lontano: siamo entrati in un territorio nuovo, lampantemente parodistico, che richiede congetture più sottili. La prima è una mia personale teoria cospiratoria intorno alla quale sto raccogliendo un piccolo dossier: in breve – tenetevi forte – Repubblica non esiste più, a Largo Fochetti c’è ormai un centro polisportivo o una sala bingo, e gli articoli delle grandi firme, Recalcati Spinelli Cordero Saviano Merlo, li scrive tutti Michele Serra nello stile delle parodie di Cuore (ho capito che era qualcosa più di una teoria dopo i reportage brasiliani di Concita De Gregorio).
 Io so, ma non ho le prove. Ho invece qualche indizio in più per una seconda congettura: Massimo Recalcati è un agente segreto, un infiltrato, la cui missione è far saltare in aria le roccaforti del potere culturale italiano, che vivono di adulazione e d’incesto, portando quella stessa adulazione a un grado eroico, parossistico, iperrealistico, infine pantoclastico. A dire il vero, da buon paranoico, ho sempre sospettato qualcosa di simile anche del suo maestro Lacan: credo cioè che parlasse a vanvera in piena consapevolezza, per svelare il ridicolo della società intellettuale parigina che si affannava a decifrarlo, salvo poi ogni sera tapparsi in casa, guardarsi allo specchio e scoppiare a ridere come un pazzo. Così, forse, se la ride Recalcati mentre recensisce una dopo l’altra tutte le firme di Rep. Loda “il nuovo, imperdibile, libro” di Michele Serra con una raffica di superlativi da farlo sobbalzare sull’amaca. Innalza un monumento perenne più del bronzo alla già bronzea autobiografia del Fondatore. Scrive del nuovo libro del filosofo Esposito come altri scriverebbero del “Discorso sul metodo”. Vede Augias in cielo che conversa con Mosè ed Elia dopo la trasfigurazione supercorallina.
Non c’è dubbio, Recalcati ha una missione segreta. Non so spiegarmi altrimenti la sua agenda diplomatica più fitta di quella di Talleyrand: solo nelle ultime settimane era al festival della mente, al festival della comunicazione, a un paio di festival della letteratura, un ritmo che ormai neppure Bauman riuscirebbe a tenere senza doping. E anzi, ultima paranoia, mi piace immaginare che i due – l’uomo dell’amore liquefatto e l’uomo del padre evaporato, il Dottor Liquido e il Dottor Gassoso – ridano sotto i baffi (“Anche lei qui?”) incrociandosi davanti ai solidissimi buffet di tutti i festival del Regno.
http://www.ilfoglio.it/articoli/v/121143/rubriche/massimo-recalcati-oscuro-come-il-cuore.htm

CORRADO AUGIAS, “LA LETTERATURA È LO SPECCHIO E L’ANIMA DELLA NOSTRA SOCIETÀ COSI COME LO SONO L’ALITALIA E LA FIAT” 
di Alassandra Pavan, libreriamo.it, 21 settembre 2014 

Dopo quindici anni Corrado Augias torna al romanzo con Il lato oscuro del cuore, pubblicato da Einaudi nella collana Supercoralli e presentato a  Pordenonelegge. “Clara, la protagonista del libro  – spiega l’autore in conferenza stampa  – studia storia della psicanalisi, si interessa a Charcot, Freud, Jung. La medicina, nella seconda metà dell’Ottocento, non era molto diversa dalla stregoneria e un po’ alla volta si emancipa fino a diventare una scienza. In particolare, per quel che riguarda la cosiddetta isteria le credenze erano ancora più arretrate: la radice della parola si ricollega a utero, organo che si credeva addirittura fluttuante nel corpo”.

Per continuare:
http://www.libreriamo.it/a/9042/corrado-augias-la-letteratura-e-lo-specchio-e-lanima-della-nostra-societa-cosi-come-lo-sono-lalitalia-e-la-fiat.aspx
 
(Fonte: http://rassegnaflp.wordpress.com)

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