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Settembre 2015 III – Generazioni

26 Set 15

A cura di luca.ribolini

MAMME A RISCHIO PSICOSOCIALE, COME PREVENIRE IL MALTRATTAMENTO DEI MINORI
di Rosalba Miceli, lastampa.it, 16 settembre 2015             

 
La relazione primaria tra madre e figlio rappresenta uno dei fattori fondamentali per lo sviluppo del bambino. Lo psichiatra americano Daniel Stern, esponente di spicco della “Infant Research” (area di ricerca al confine tra psicoanalisi e psicologia evolutiva), ha dimostrato sperimentalmente, mediante osservazioni e registrazioni, che esiste una precocissima capacità del bambino a relazionarsi con la madre. Se, ad esempio, un bambino emette un gridolino di piacere, la madre può rispondere, di rimbalzo, intonando la propria voce con quella del piccolo o dondolandolo dolcemente. I ripetuti momenti di sintonizzazione danno al bambino la sensazione rassicurante di essere emotivamente collegato alla madre, che le sue emozioni sono riconosciute, accettate e ricambiate.
Seguendo le acquisizioni della “Infant Research” e della teoria dell’attaccamento (sviluppata dallo psicoanalista inglese John Bowlby negli anni Sessanta), le basi della futura vita emotiva del bambino vengono poste attraverso queste esperienze di condivisione tra madre e piccolo, che cominciano ancor prima della nascita. Ne emerge l’idea centrale che la madre svolga una funzione di regolazione della fisiologia e del comportamento emozionale del bambino. E c’è di più: tramite una indagine, definita “Adult Attachement Interview” (AAI) condotta su una futura madre, è possibile dimostrare che la disposizione interiore della madre determina il suo comportamento verso il piccolo, consentendo una previsione della qualità dell’attaccamento che il bambino non ancora nato svilupperà all’età di un anno.
 
Segue qui:
http://www.lastampa.it/2015/09/16/scienza/galassiamente/mamme-a-rischio-psicosociale-come-prevenire-il-maltrattamento-dei-minori-BuoIk3EUoTyW8jzGoSj6aO/pagina.html
 
 

L’IPPOPOTAMO. Gli americani lo pompano come un pagliaccio per poi vederlo scoppiare. Trump è un caso clinico 
di Umberto Silva, ilfoglio.it, 16 settembre 2015

 
Mentre Joe Biden si chiedeva se fosse in grado di fare il bene del popolo americano e concludeva con un pensieroso: “Non so”, l’indubbio Donald Trump teneva a chiarire urbi et orbi che la Carly Fiorina ha una faccia ineleggibile, di quelle che proprio… Fiorina avrebbe potuto replicare: “Guardati allo specchio, bestione”, ma poiché la Carly ha una faccia da signora chic, non si è degnata di rispondere a tono, un tono, quello di Trump, che nel migliore dei casi ricorda gli ippopotami in amore. E così il bestione si è trovato a dover fornire ai giornali e al popolo l’ennesima giustificazione, “un equivoco” lo chiama, mentre tutti quanti a parlare dell’ennesima gaffe. Il che è totalmente falso; quelli di Trump non sono né equivoci né gaffe, sono dita negli occhi. Quello di Carly Fiorina è un viso tormentato dal tempo, e questo è bene, guai se le rughe non segnassero il terreno passaggio del nostro pensiero, delle passioni e dei desideri che si barricano sulle fronti; il faccione di Trump è invece davvero ineleggibile in quanto impossibile da leggere, un ammasso informe di carne tostata.
 
Segue qui:
http://www.ilfoglio.it/la-politica-sul-lettino/2015/09/16/lippopotamo___1-vr-132781-rubriche_c425.htm
 
 

L’IDENTITÀ VIRTUALE NON È ROBA DA BAMBINI 
di Luigi Ballerini, avvenire.it, 17 settembre 2015

 
Sembra una concatenazione inevitabile: fine elementari-inizio medie, cellulare in tasca nello zaino, frequentazione dei social network. E così accade che tre quarti dei bambini italiani fra i nove e i dieci anni non solo possiedono uno smartphone, non solo navigano liberamente in rete, ma hanno anche un profilo aperto su Facebook. Almeno stando alla ricerca su giovanissimi e web promossa da Tim e dall’Università Cattolica del Sacro Cuore. Questa analisi non può lasciarci indifferenti, per diversi motivi. Molti ragazzi di questa età, che incontro nelle scuole, spesso mi impressionano per l’ingenuità che dimostrano verso la cosiddetta identità virtuale. Per un bambino delle elementari e inizio medie essere su Facebook significa avere mentito sulla propria età; vale a dire che per l’apertura del profilo egli deve avere almeno dichiarato di essere tredicenne, altrimenti non gli sarebbe stato possibile. Ecco il paradosso: chi, così giovane, è nei social network con un profilo a tutti gli effetti falso tende a prendere per buona l’identità virtuale degli altri, limitandosi al controllo della foto per la verifica dell’attendibilità.
 
Segue qui:
http://www.avvenire.it/Commenti/Pagine/LIDENTIT-VIRTUALE-NON-ROBA-DA-BAMBINI-.aspx
 
 

APERTO IL FESTIVAL FILOSOFIA. “È COME UN DOPOSCUOLA”. Piazze affollate e protagonisti internazionali per la quindicesima edizione, dedicata all’Ereditare. Bodei: “Creare un ponte fra le generazioni” 
di Stefano Marchetti, ilrestodelcarlino.it, 18 settembre 2015

 
Modena, 18 settembre 2015 – “Il festival non si sostituisce alla scuola: è solo un modo per far maturare le idee, non impone dogmi, ma è uno spazio ampio di discussione. In questo senso, forse è come un doposcuola, nel senso migliore”, esordisce il professor Remo Bodei, presidente del comitato scientifico del Festival Filosofia di Modena, Carpi, Sassuolo (FOTO). La quindicesima edizione della grande kermesse culturale (dedicata al tema “Ereditare”) ha preso il via questa mattina, e già le piazze, i cortili e i luoghi storici delle tre città sono affollatissimi. “Siamo partiti dalla constatazione che si sia creata una frattura fra le generazioni, si è inceppata la trasmissione di saperi, valori e sentimenti – ha aggiunto Bodei, introducendo il festival -. Si tratta di rimettere in moto questo rapporto fra le generazioni: la sfida è grande ma non impossibile”.
“Il nostro compito è provare a integrare tutte quante le forze della città: di anno in anno, è aumentata anche la partecipazione di gallerie, associazioni, gruppi, e il programma artistico di quest’anno, con una quarantina di mostra, sta a dimostrarlo”, ha sottolineatoMichelina Borsari, direttore scientifico della manifestazione. Da parte sua, il sindaco di Modena Gian Carlo Muzzarelli, presidente dell’assemblea dei soci del Consorzio per il festival, ha rimarcato che “ereditare è un impegno di coscienza, di chi dà e di chi riceve. In questi giorni le nostre sono piazze di contaminazione e di confronto”.
Fra i protagonisti di oggi, il sociologo Zygmunt Bauman, il professor François Hartog, teorizzatore del ‘presentismo’, Massimo Recalcati, Michela Marzano. E sono già tutte aperte le mostre organizzate in occasione del festival, che propone complessivamente duecento appuntamenti, tutti gratuiti.
 
http://www.ilrestodelcarlino.it/modena/festival-filosofia-bodei-1.1311806
 
 

«COMPITO DELLA MADRE È QUELLO DI TRASMETTERE IL DESIDERIO DI VIVERE». Piazza Garibaldi gremita ieri pomeriggio a Sassuolo in occasione della lectio magistralis “Madri. L’eredità materna” a cura di Massimo Recalcati
di Camilla Loglisci, gazzettadimodena.gelocal.it, 19 settembre 2015

 
Piazza Garibaldi gremita ieri pomeriggio a Sassuolo in occasione della lectio magistralis “Madri. L’eredità materna” a cura di Massimo Recalcati. Lo psicanalista ha approfondito il tema della maternità, spiegando come nessuno possa definirsi genitore di se stesso: ognuno proviene da qualcun altro. Il compito di un padre è quello di trasmettere il senso della legge, a cui si lega il desiderio: solo sapendo che esistono dei limiti un individuo avrà il desiderio di rispettarli o oltrepassarli. Il compito della madre è invece quello di trasmettere il sentimento stesso della vita, ovvero il desiderio di vivere. Il figlio dovrebbe sempre essere desiderato, se no la sua vita sarà insignificante.
«L’esistenza umana – ha spiegato lo psicanalista – senza il supporto dell’altro è vita morta che cade nel vuoto. La mano della madre non è soltanto la mano che nutre, cura e gioca, ma anche la mano che salva, soccorre e sostiene quando stiamo per precipitare. La maternità è l’essenza dell’ospitalità, non della proprietà. Una madre accetta di tenere in grembo il bambino, di dargli nutrimento, ma deve essere consapevole che egli non le appartiene. La donna deve essere capace di essere presente, ma anche di lasciare la propria assenza. Solo così il bambino potrà crescere e imparare a stare da solo sulle proprie gambe, esplorando la vastità del suo desiderio, capendo che esiste un modo al di fuori della madre. La genitrice, al tempo stesso, deve mantenere la sua natura di donna ed evitare che il figlio sia il suo intero mondo, oppure c’è il rischio che nasca una patologia. Il primo volto che vede un bambino è quello della madre ed in lei si riflette, scoprendo così se stesso. È dallo sguardo della mamma che il figlio può osservare il mondo. Se quando il bambino la guarda viene ricambiato da uno sguardo amorevole, allora l’immagine narcisistica che ha di sé verrà nutrita. Se lo sguardo che riceve è negativo, quell’immagine verrà intaccata e il piccolo recepirà di non essere sufficientemente amabile. La cura materna ha il potere di rendere il figlio unico e insostituibile. La maternità – ha concluso – o, più generalmente, la genitorialità, non è un legame di sangue, bensì un valore simbolico. Non basta avere spermatozoi e utero per essere padre e madre e l’eterosessualità non implica che delle persone siano bravi genitori».
 
http://gazzettadimodena.gelocal.it/modena/cronaca/2015/09/19/news/compito-della-madre-e-quello-di-trasmettere-il-desiderio-di-vivere-1.12119963

 

MODENA/FESTIVAL FILOSOFIA, DI PADRE IN FIGLIO SENZA EREDITÀ 
di Redazione, online-news.it, 19 settembre 2015                                

 
«I padri non riescono più a trasmettere un’eredità (ovviamente non si parla di quella materiale), perché non esiste più la continuità del mondo tradizionale che c’era una volta – spiega Umberto Galimberti – oggi superato da trasformazioni velocissime, dalle nuove tecnologie, dalla comunicazione via internet in cui non c’è momento di riflessione, non c’è connessione vera con cose e persone, a parte quella elettronica». Il rapporto padri, madri, figli e la realtà della famiglia è infatti uno dei temi di questo Festival Filosofia intitolato all’Ereditare. «Una volta, negli anni ’60/’70 c’era l’opposizione con i padri, c’erano due linguaggi che si confrontavano senza capirsi: »oggi ce ne sono centomila e viene a mancare quindi anche quell’contrapposizione che comunque aveva una sua realtà, e resta solo il disorientamento«, dice invece Massimo Cacciari, per il quale l’assenza di comunicazione e trasmissione tra generazioni, »deriva dalla mancanza di una relazione dialogica forte, consapevole, che porti a lavorare e trasformare la relazione stessa, tanto che diventa difficile definire il proprio futuro«. Per Galimberti è così che si arriva a un certo nichilismo: che è mancanza di motivazioni, che ci sono se c’è una visione del futuro che oggi appunto manca». Jean-Luc Nancy si chiede allora: «Da dove veniamo noi, che non sappiamo più dove andiamo, né se andiamo da qualche parte?» e sottolinea come l’ereditare una genealogia, una tradizione, una cultura avvenga oggi senza alcuna coscienza: «siamo eredi nella forma di un’eredità elementare e in forza di una semplice successione temporale. Ciò che è venuto a mancarci è la trasmissione stessa come atto cosciente, il suo senso, la sua effettività», quindi è un qualcosa che sappiamo elaborare. «Le nuove generazioni – conclude il filosofo francese – non vengono più alla luce per rinnovarsi, né per innovare, ma solo per presentarsi a una sorta di inanità dubitativa. Non si dà più né iniziazione a una maturità compiuta, né nascita a un mondo nuovo». Per Galimberti la società, la scuola soprattutto, e i genitori non sono preparati a affrontare l’adolescenza dei figli, «un’età incerta caratterizzata dalla comparsa della sessualità, che sconvolge la loro visione del mondo, li trasforma a loro insaputa (i lobi frontali si sviluppano solo a 20 anni quindi non hanno ancora giudizio e prudenza) mentre, per loro, tutto assume una dimensione erotica», e attorno non c’è nessuno preparato a affrontare questo sconvolgimento.
 
Segue qui:
http://www.online-news.it/2015/09/19/modena-festival-filosofia-di-padre-in-figlio-senza-eredita/#.Vf5KVt_tmko
 
 

ARMONIA DI AUTISMI MUSICALI 
di Vittorio Lingiardi, Il Sole 24 Ore, 20 settembre 2015

 
Simona non parla. A volte canta e il suo canto è uno strano vocalizzo su due note, lamento e ronzio, sussurro e pianto. Dicono che abbia messo per la prima voltale mani sul pianoforte di casa quando aveva tre o quattro anni…
 
Segue qui:
http://www.zeroviolenza.it/rassegna/pdfs/20Sep2015/20Sep20155e4ea83d8956659ff28957953bf99296.pdf

 

STORIE CHE CURANO 
di Giuliano Castigliego, nova.ilsole24ore.com, 21 settembre 2015

 
“Siamo le nostre narrazioni” dice il neuroscienziato Michael Gazzaniga citato da Luca De Biase nel suo recente homo pluralis. E ciò fin da quando i nostri antenati dipingevano le loro storie nelle grotta o le incidevano sulle rocce. Mai come in questa fase storica tuttavia la narrazione è stata così centrale nella vita quotidiana di tutti noi al punto da diventare un fenomeno di massa oltre che un parametro di conoscenza ed interpretazione del reale. Se infatti nelle epoche passate la narrazione era principalmente affidata agli scrittori nelle cui storie il lettore si identificava, oggi il lettore è divenuto narratore di sé stesso in Internet e soprattutto sui social network. “Le persone parlano sempre di dove vanno, di che cosa fanno, di dove sono. È stata l’ispirazione per Twitter. – racconta il suo inventore Jack Dorsey (che cito ancora dal libro di De Biase). – Ora tutti possiamo dire dove siamo, dove andiamo, come ci sentiamo. Facendolo sapere al mondo intero”. Il punto di congiunzione che rende possibile il passaggio dalla narrazione degli artisti “eletti” a tutti noi l’aveva però intuito con la consueta perspicacia anche Freud. Nella sua relazione sul tema Il poeta e il fantasticare Freud si chiedeva come riesca il poeta a tenerci così avvinti alle sue storie, a suscitare in noi tanta eccitazione ed emozioni e se anche in noi vi sia un’attività in qualche modo simile a quella del poeta. La risposta che lui stesso si dava in una libreria viennese nella fredda serata del 6 dicembre 1907 è che l’attività comune all’artista e a tutti noi consiste nei sogni diurni (ad occhi aperti), qualcosa che ci avvicina ai bambini. Il poeta stesso – dice Freud – è molto simile al bambino che gioca: come il bambino, il poeta crea un mondo di fantasia che prende molto sul serio dedicandovi un grande investimento affettivo e distinguendolo dalla realtà. Freud paragona quindi il poeta al sognatore ad occhi aperti e le sue creazioni artistiche ai sogni diurni.
 
Segue qui:
http://giulianocastigliego.nova100.ilsole24ore.com/2015/09/20/storie-che-curano/
 

 

ROCCO RONCHI. DELEUZE, CREDERE NEL REALE 
di Pietro Bianchi, doppiozero.com, 22 settembre 2015

 
Che cosa è un pensiero? Di che cosa è fatto? Qual è il suo luogo d’esistenza? Parrebbe una domanda semplice, eppure diverse scuole filosofiche hanno dato e continuano a dare risposte completamente diverse a questo quesito. Uno scienziato cognitivo risponderebbe che un pensiero è fatto da un insieme di processi neurofisiologici che avvengono nel nostro cervello. Un filosofo platonico direbbe invece che le forme del nostro pensare hanno una realtà indipendente e autonoma dalla storicità del nostro mondo. A partire dalla svolta kantiana – ovvero a partire da un momento nella storia dove la filosofia è diventata ricerca delle forme a priori della conoscenza umana – il pensiero è diventato in primo luogo l’attività di un essere umano. Da allora un pensiero è sempre un pensiero di qualcuno; è sempre un pensiero messo in atto da parte di un essere umano. È questa la celebre tesi del capitolo IX de Le parole e le cose di Michel Foucault: tutta la filosofia post-kantiana non è nient’altro che un’antropologia trascendentale. La filosofia non parla più del pensiero in sé, parla del pensiero dell’uomo. A partire dall’Ottocento ma poi ancora più compiutamente nel Novecento, l’orizzonte imprescindibile dell’atto di pensare è diventato quello della centralità dell’uomo (e infatti tutte le scienze per Foucault non possono che essere nel profondo scienze dell’uomo). Dunque che ne è del terreno più propriamente speculativo? Nulla, è semplicemente finito. Per le filosofie post-kantiane il pensiero non può che essere un correlato della mente finita dell’uomo.
Questa centralità imprescindibile della finitudine umana è diventato uno degli aspetti più raramente messi in discussione nelle filosofie del Novecento: dalla fenomenologia di Heidegger o di Merleau-Ponty, fino all’esistenzialismo di Sartre; da tutte le correnti del neokantismo fino all’inferenzialismo di Sellars o di Brandom, tutti sono d’accordo sul fatto che il pensiero, e dunque la filosofia, non possa esistere senza il supporto dell’uomo. Sta qui l’originalità di un pensatore atipico come Gilles Deleuze che invece ha sempre rivendicato la propria più assoluta estraneità a tutto quel lessico e quella fascinazione per la finitudine, la negatività e la caducità che invece sembrano avere dominato ogni forma di pensiero debole e di nichilismo del Novecento. Deleuze ha creduto a una filosofia autenticamente speculativa che potesse prendere congedo da quel “dominio del limite antropologico” di cui parlava Foucault. Una filosofia che in questo senso non potesse che essere disumana, ovvero che ignorasse ogni richiamo all’insuperabilità del limite della vita umana; una filosofia che fosse in rotta di collisione con l’esperienza immediata e finita dell’uomo.
Il pensiero per Deleuze non è dunque pensiero dell’uomo. La ragione è che se il pensiero dovesse essere solo dell’uomo vorrebbe dire che l’uomo ne sarebbe la causa e l’origine. La parte più inaccettabile di tutte le antropologie filosofiche è infatti quella – nel mentre se ne proclama la limitatezza – di mettere l’uomo sul piedistallo più alto. Lassù, vicino a Dio. Invece l’uomo non è causa del suo pensiero, perché dell’atto di pensare non c’è cominciamento, o per meglio dire, non c’è origine. L’idea del fondamento è infatti quella di isolare il momento inaugurale: quel punto che possa farsene responsabile – l’autore, o il padre come si dirà poi parlando della psicoanalisi – e rispondere di tutto quello che da quel pensiero ne conseguirà. Di questa idea proprietaria e responsabile non c’è traccia nel pensiero di Deleuze. Il pensiero è senza presupposti, è senza padri, è senza appigli saldi a cui potersi riferire una volta per tutte. Non c’è un soggetto del pensiero, c’è un “si pensa”, impersonale e senza padrone. Il nome di questa assoluta mancanza di origine è un punto chiave dell’itinerario filosofico di Deleuze: la si chiamerà immanenza, o – per usare un termine che fu caro anche a Lacan – reale. È da questo secondo termine, che Rocco Ronchi va a pescare in un’intervista rilasciata da Deleuze nel 1988 a vent’anni dall’uscita deL’anti-Edipo. che prende avvio questo appassionato e trascinante cantico di difesa dell’unicità deleuziana (Deleuze. Credere nel reale, Feltrinelli). Deleuze è infatti quel filosofo che più di ogni altro ha creduto al reale di questo mondo, senza farsi incantare dalle sirene del dover-essere o della prescrizione morale. Senza illudersi dell’esistenza di un fuori o di un meta-linguaggio.
 
Segue qui:
http://www.doppiozero.com/materiali/contemporanea/rocco-ronchi-deleuze-credere-nel-reale
 
 
I più recenti pezzi apparsi sui quotidiani di Massimo Recalcati e Sarantis Thanopulos sono disponibili su questo sito rispettivamente ai link:
http://www.psychiatryonline.it/rubrica/4545
http://www.psychiatryonline.it/rubrica/4788
 
Da segnalare le seguenti rubriche: "Laicamente, Dialoghi su psichiatria, arte e cultura" di Simona Maggiorelli, al link 
http://www.psychiatryonline.it/rubrica/5673
"Mente ad arte, percorsi artistici di psicopatologia nel cinema ed oltre, di Matteo Balestrieri al link 
http://www.psychiatryonline.it/rubrica/4682
 
(Fonte dei pezzi della rubrica: http://rassegnaflp.wordpress.com

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