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Shakespeare e il fondamento profondo del riguardo per sé: il sonetto XXII

22 Apr 19

A cura di Sabino Nanni

Perché i singoli depressi, pur con la stessa gravità apparente della sintomatologia, rispondono in modo così diverso al trattamento antidepressivo? Ad un estremo si colloca la persona che pare essere stata colpita da tutte le possibili sventure (anziano, vedovo, abbandonato dai figli, pieno d’acciacchi, povero) per cui, però, bastano un trattamento farmacologico neppure troppo intenso ed alcuni colloqui per fargli recuperare un’esistenza abbastanza vivibile. All’estremo opposto si colloca la persona oggettivamente fortunata (giovane, bello, ricco, intelligente, amato dagli amici e dalle donne) che, tuttavia, non risponde neppure ad un trattamento farmaco-psicoterapico intensivo; e sono descritti anche, purtroppo, casi di suicidio. Sicuramente contano la maggiore o minore fragilità costituzionale, una predisposizione su base genetica e l’assetto neurobiologico che ne consegue. Tuttavia sarebbe uno sbaglio ignorare quelle risorse della mente (talora nascoste) che, se riattivate, sono in grado di retroagire sul loro substrato biologico, correggendone le alterazioni e restituendo al paziente una vita abbastanza degna d’essere vissuta. Come sempre, i grandi Artisti, con il loro linguaggio, sanno anticipare quel che l’indagine clinica accerterà anche dopo secoli. Shakespeare, nel sonetto XXII, ci offre una splendida illustrazione della preziosa risorsa interiore alla base del riguardo per se stessi. Ne cito alcuni versi:

 
For all that beauty that doth cover thee,
Is but the seemly raiment of my heart,
Which in thy breast doth live, as thine in me,
How can I then be elder than thou art?
O therefore love be of thyself so wary
As I not for myself, but for thee will,
Bearing thy heart which I will keep so chary
As tender nurse her babe from faring ill…
 
(Poiché tutta la bellezza esteriore che ti ricopre / non è che la veste adatta del mio cuore, / il quale vive in petto a te così come il tuo in me; / come dunque potrei essere più anziano di te? / Abbi perciò riguardo verso te stesso, amore mio, / come io, per amor tuo – e non per me – ne avrò / custodendo il tuo cuore con la stessa cura /che la tenera nutrice usa per il suo bimbo, proteggendolo dal male)
 

Si tratta di un messaggio che potrebbe essere rivolto ad un amante quanto ad un figlio. C’è, innanzi tutto, l’invito a non curarsi soltanto della propria bellezza esteriore (e, con essa, di tutti gli aspetti esteriori della vita) come se si trattasse di cosa di valore esclusivo. Ciò che realmente conta è il “cuore” di chi ci ha voluto bene, che è divenuto parte del nostro mondo interno. È la testimonianza di un rapporto felice che, interiorizzata, diviene un “oggetto interno”, ossia una persona benevola dentro la persona. Come una “matrioska” (la bambola che, a guisa di scatole cinesi, racchiude altre bambole) tale oggetto interno – madre racchiude il soggetto stesso, come la tenera nutrice racchiude fra le braccia il suo bambino. In tal modo, essa gli dà in prestito, rafforzando il riguardo per sé, tutta la cura attenta e generosa che la genitrice usò per proteggere il soggetto da ogni male. È un oggetto interno che, custodito e protetto dal soggetto, non potrà invecchiare e morire finché il soggetto stesso avrà vita.

 

Shakespeare, a mio avviso, ci offre importanti suggerimenti riguardo alla strategia terapeutica da adottare nei confronti dei depressi, come nei confronti di ogni individuo che ha perso ogni riguardo per se stesso. Esattamente come fa la nutrice, occorre prendersi cura del suo corpo; nella fattispecie, si tratta correggere le défaillances del substrato neurobiologico della depressione, finché il soggetto non è ancora in grado di correggerle autonomamente con le sue sole risorse mentali. Occorre, però, anche individuare, recuperare e ridare vita a quel che resta dell’antico rapporto d’amore e di cura; e, se ciò non basta, introdurne uno nuovo, attraverso una non facile esperienza affettiva correttiva, che non può assolutamente essere affrettata, sbrigativa e superficiale.

 

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