Sono contento che Manfred Lütz abbia fatto tutte le domande che avrei fatto a Otto Kernberg, al netto di quelle su Trump, non essendo interessato a ciò che gli analisti, per quanto rilevanti, sentono di esprimere sulle figure politiche. Sono anche un po’ invidioso di non essere stato al suo posto, ma la lettura del libro e l’acquisizione di nuovi saperi e nuove visioni consentono di superare l’invidia, di metterla a tacere..
“Dottor Kernberg, a cosa serve la psicoterapia? Riflessioni e ricordi di un grande clinico”, edito da Raffaello Cortina, è il dialogo più ricco e coinvolgente che esista dopo quello realizzato alcuni anni fa da Silvia Ronchey con James Hillman. Ventidue ore di intervista, tutte registrate e poi trascritte, rappresentano un documento di inestimabile valore, soprattutto se il più significativo (eliminerei il termine “grande” in psicoanalisi) degli analisti viventi si concede liberamente al confronto e al racconto. Mi verrebbe da dire: silenzio, parla Kernberg! Spegnete tutte le luci, eliminate tutti i rumori, voglio ascoltare Kernberg!
Così, veniamo a sapere che a nove anni, durante l’ingresso trionfale di Hitler a Vienna in auto scoperta, il piccolo Otto gridò “Heil Hitler”. Il piccolo ignorava che, poco più tardi, suo padre sarebbe stato attaccato perché ebreo e sua madre costretta in ginocchio a pulire il marciapiedi. Poi la fuga in Cile, passando per l’Italia, l’approdo negli Stati Uniti grazie a una borsa di studio, una vita di enormi soddisfazioni professionali, impegnato ad amare e lavorare, sempre accanto e dentro la psiche, per lui “tutto ciò che l’uomo vive, che riconosce provenire da lui: pensieri, desideri, fantasie, ricordi, sentimenti, progetti, principi morali, ideali…”.
Veniamo a sapere che un bravo psicoterapeuta “possiede conoscenze tecniche buone e approfondite, e non solo attinenti alla propria Scuola: deve padroneggiare tanto la psicoanalisi quanto la terapia cognitivo-comportamentale; deve aggiornarsi costantemente sugli sviluppi della disciplina, così da offrire al paziente la terapia più adeguata alle sue esigenze. Un bravo professionista si distingue per onestà, coscienziosità e responsabilità. Inoltre, deve essere capace di empatia, riuscendo a immedesimarsi e a provare interesse per ciò che accade nell’altro. D’altro canto deve anche saper gestire e accettare i sentimenti negativi e gli aspetti emotivi difficili dei pazienti, come l’aggressività, senza perdere per questo il desiderio di curare; deve essere in grado di conservare l’amore per l’essere umano anche quando ha a che fare con i più gravi aspetti involutivi dei pazienti, anche quelli che a volte possono indurre avversione”.
Veniamo a sapere che Kernberg è perplesso sul concetto junghiano di “inconscio collettivo”, anche se trova molto interessanti le sue ricerche sul significato dei simboli, mentre su Freud afferma che “la visione freudiana dell’inconscio è sostanzialmente corretta, ma alcune sue ipotesi vanno modificate alla luce della ricerca contemporanea. Gli psicoanalisti più conservatori credono che non esista alternativa alla psicoanalisi classica, ma a me pare una sciocchezza. Freud non era infallibile. Sono convinto che, dopo di lui, Melanie Klein sia stata la più grande analista. Inoltre, mentre Freud ha rivolto la sua attenzione soprattutto allo sviluppo compreso fra i tre e i sei anni, la Klein ha sottolineato l’importanza dei conflitti del bambino con la madre nei primi tre anni, soprattutto per la comprensione di futuri gravi disturbi della personalità”.
Kernberg non rifiuta alcuna domanda e, dopo aver rivisto il testo, lo rimette nelle mani dell’interlocutore senza modificare neppure una virgola. Così, la miniera si arricchisce di ulteriori intuizioni e spiegazioni sul lavoro psicoanalitico e psicoterapeutico, di confessioni su Dio e la vita eterna, sull’amore e la vita di coppia, sull’ebraismo e la felicità sessuale, sul filosofo Leszek Kolakowski e la fede religiosa, sul narcisismo e la “sindrome della madre morta”, su Papa Francescio e il senso della vita.
Veniamo a sapere che Kernberg, a 92 anni, lavora ancora dalle 8 alle 20, dal lunedì al venerdì. Il sabato e la domenica riposa. Come vorrebbe morire? Ecco la risposta: “Potessi scegliere, direi nel sonno, nella pace più completa”.
Vittorio Lingiardi, nella postfazione, scrive: “Dopo tanti anni passati a studiare i libri di Kernberg e a seguire le sue conferenze (instancabile globe trotter, ha tenuto conferenze in tutto il mondo, e spesso in Italia), ho avuto la possibilità di lavorare più da vicino con lui in occasione della nuova edizione del “PDM-2. Manuale Diagnostico Psicodinamico” che ho curato con Nancy McWilliams, e dove Otto figura nel Comitato scientifico. Ricorderò come uno dei giorni più belli della mia vita professionale il pomeriggio trascorso nel suo studio newyorchese a parlare di diagnosi e ricerca, accogliendo e discutendo i suoi consigli sul manuale”.
I lettori italiani, invece, ricorderanno questo libro dove restano incise, con straordinaria semplicità, le meditazioni, le riflessioni, l’opera e le visioni del mondo di un maestro che continuerà a dirci persino quando non potrà più dirci. Sono così, i maestri. Destinati a restare, anche dopo l’ultima parola, anche dopo l’ultimo sonno.
“Dottor Kernberg, a cosa serve la psicoterapia? Riflessioni e ricordi di un grande clinico”, edito da Raffaello Cortina, è il dialogo più ricco e coinvolgente che esista dopo quello realizzato alcuni anni fa da Silvia Ronchey con James Hillman. Ventidue ore di intervista, tutte registrate e poi trascritte, rappresentano un documento di inestimabile valore, soprattutto se il più significativo (eliminerei il termine “grande” in psicoanalisi) degli analisti viventi si concede liberamente al confronto e al racconto. Mi verrebbe da dire: silenzio, parla Kernberg! Spegnete tutte le luci, eliminate tutti i rumori, voglio ascoltare Kernberg!
Così, veniamo a sapere che a nove anni, durante l’ingresso trionfale di Hitler a Vienna in auto scoperta, il piccolo Otto gridò “Heil Hitler”. Il piccolo ignorava che, poco più tardi, suo padre sarebbe stato attaccato perché ebreo e sua madre costretta in ginocchio a pulire il marciapiedi. Poi la fuga in Cile, passando per l’Italia, l’approdo negli Stati Uniti grazie a una borsa di studio, una vita di enormi soddisfazioni professionali, impegnato ad amare e lavorare, sempre accanto e dentro la psiche, per lui “tutto ciò che l’uomo vive, che riconosce provenire da lui: pensieri, desideri, fantasie, ricordi, sentimenti, progetti, principi morali, ideali…”.
Veniamo a sapere che un bravo psicoterapeuta “possiede conoscenze tecniche buone e approfondite, e non solo attinenti alla propria Scuola: deve padroneggiare tanto la psicoanalisi quanto la terapia cognitivo-comportamentale; deve aggiornarsi costantemente sugli sviluppi della disciplina, così da offrire al paziente la terapia più adeguata alle sue esigenze. Un bravo professionista si distingue per onestà, coscienziosità e responsabilità. Inoltre, deve essere capace di empatia, riuscendo a immedesimarsi e a provare interesse per ciò che accade nell’altro. D’altro canto deve anche saper gestire e accettare i sentimenti negativi e gli aspetti emotivi difficili dei pazienti, come l’aggressività, senza perdere per questo il desiderio di curare; deve essere in grado di conservare l’amore per l’essere umano anche quando ha a che fare con i più gravi aspetti involutivi dei pazienti, anche quelli che a volte possono indurre avversione”.
Veniamo a sapere che Kernberg è perplesso sul concetto junghiano di “inconscio collettivo”, anche se trova molto interessanti le sue ricerche sul significato dei simboli, mentre su Freud afferma che “la visione freudiana dell’inconscio è sostanzialmente corretta, ma alcune sue ipotesi vanno modificate alla luce della ricerca contemporanea. Gli psicoanalisti più conservatori credono che non esista alternativa alla psicoanalisi classica, ma a me pare una sciocchezza. Freud non era infallibile. Sono convinto che, dopo di lui, Melanie Klein sia stata la più grande analista. Inoltre, mentre Freud ha rivolto la sua attenzione soprattutto allo sviluppo compreso fra i tre e i sei anni, la Klein ha sottolineato l’importanza dei conflitti del bambino con la madre nei primi tre anni, soprattutto per la comprensione di futuri gravi disturbi della personalità”.
Kernberg non rifiuta alcuna domanda e, dopo aver rivisto il testo, lo rimette nelle mani dell’interlocutore senza modificare neppure una virgola. Così, la miniera si arricchisce di ulteriori intuizioni e spiegazioni sul lavoro psicoanalitico e psicoterapeutico, di confessioni su Dio e la vita eterna, sull’amore e la vita di coppia, sull’ebraismo e la felicità sessuale, sul filosofo Leszek Kolakowski e la fede religiosa, sul narcisismo e la “sindrome della madre morta”, su Papa Francescio e il senso della vita.
Veniamo a sapere che Kernberg, a 92 anni, lavora ancora dalle 8 alle 20, dal lunedì al venerdì. Il sabato e la domenica riposa. Come vorrebbe morire? Ecco la risposta: “Potessi scegliere, direi nel sonno, nella pace più completa”.
Vittorio Lingiardi, nella postfazione, scrive: “Dopo tanti anni passati a studiare i libri di Kernberg e a seguire le sue conferenze (instancabile globe trotter, ha tenuto conferenze in tutto il mondo, e spesso in Italia), ho avuto la possibilità di lavorare più da vicino con lui in occasione della nuova edizione del “PDM-2. Manuale Diagnostico Psicodinamico” che ho curato con Nancy McWilliams, e dove Otto figura nel Comitato scientifico. Ricorderò come uno dei giorni più belli della mia vita professionale il pomeriggio trascorso nel suo studio newyorchese a parlare di diagnosi e ricerca, accogliendo e discutendo i suoi consigli sul manuale”.
I lettori italiani, invece, ricorderanno questo libro dove restano incise, con straordinaria semplicità, le meditazioni, le riflessioni, l’opera e le visioni del mondo di un maestro che continuerà a dirci persino quando non potrà più dirci. Sono così, i maestri. Destinati a restare, anche dopo l’ultima parola, anche dopo l’ultimo sonno.
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