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SOGGETTI “IMAGO-GENICI”(*) – creature contemporanee alla ricerca di un’identità e divinità perdute in un mondo di segni (parte prima).

7 Ago 15

A cura di bianchivaleria

Sette miliardi virgola tre di esseri umani abitano “un mondo che cambia” rapidamente, uno scenario più che complesso, un presente precario rivolto ad un futuro “culturalmente impoverito”.  Si tratta di un mondo che offre all’individuo e al piccolo gruppo di individui, i quali si riconoscono parte di un insieme – dalla famiglia alla moderna “tribù” – nuove possibilità di apertura o, per contro, soluzioni e seduzioni pratiche per ottenere un perfetto crollo. (1.)

Più di sette miliardi di uomini e donne vanno alla ricerca della propria identità, consapevoli o meno delle domande esistenziali che accompagnano ogni individuo dalla nascita fino alla morte.

–       C’è chi, senza porsi alcun dubbio e senza opporsi, soccombe alle logiche del “Mercato”, si adegua al “dover essere” imposto dai media. C’è chi si adatta alla “pseudo-cultura di massa promossa dal sistema”, in uno scenario di “servi mercenari” dai quali, come sottolineano le autrici di “La vita è come una tazza di tè”, nulla di creativo e di nuovo è mai nato, perché l’unica soluzione possibile per fermare la “pericolosa deriva intrapresa dall’umanità” sarebbe “un’effettiva presa di coscienza individuale”.  (2.)
 
–       C’è chi va cercando e infine trova una via tutta personale, chi costruisce un progetto di ricerca operativo per conoscere e “dire” se stesso, sulla strada della consapevolezza, verso il significato profondo nascosto dentro i desideri, i moti dell’animo, i pensieri. C’è chi parte dal proprio mondo interno, in un procedimento che passa inevitabilmente dal “patire”, dalla Nigredo alchemica, in un lavoro psichico che tende al centro della personalità. Si tratta di una strada, ma questo l'ho già scritto negli articoli precedenti, che non ha nulla a che fare con le soluzioni facili, con il “benessere” da rivista patinata. Con la New Age. Con i Life Coach. Con l’immaginario “su misura umana” offerto dai media … Le persone impegnate in una “storia seria” con il proprio inconscio mettono in relazione gli opposti dentro di sé, ed è un dialogo sempre in fieri perché questo punto di osservazione è una grande opportunità esistenziale.
 
–       C’è chi, invece, si tiene ai margini della partecipazione al proprio “progetto di vita consapevole” (Di Lernia-Gay, vedi nota) non necessariamente perché schiavo del “Mercato”, e non necessariamente perché chiuso in se stesso con un qualche disturbo psichico che impedisca una presa di coscienza e una conoscenza di sé.  C’è chi parte dal corpo e dall’immagine estetica; chi costruisce se stesso operando esclusivamente sul piano concreto. C’è chi va ad inserirsi in un gruppo di “appartenenza” e di “ricerca” che è un nuovo tipo di comunità tribale, in subculture che si applicano a dire, fare, creare e scrivere a partire dalla pelle. Non è una novità di questi ultimi decenni. Le subculture ormai non sono più solo “giovanili” e, tutto sommato, sono spesso e volentieri sempre meno “sub”, visti gli esempi che si possono fare, i quali sono numerosissimi poiché nella rete il passaparola diventa un passa-idea e passa-azione (3.)

Sull’uso del corpo per dirsi e per dire è gia stato scritto di tutto e di più. Il punto sul quale voglio soffermarmi adesso è relativo alle modificazioni corporee cosiddette “estreme”, pensando al supporto offerto dalle nuove tecnologie (in termini di strumenti per raggiungere l’immagine di sé desiderata, la rappresentazione scenica “definita” da offrire al mondo) e dalla rete (in termini di strumento per diffondere questa immagine e le trasformazioni che il corpo subisce nel tempo).

Non mi soffermerò che sugli agiti estremi e sul significato, o sul non-senso, attribuito dagli stessi soggetti (in interviste e video) al proprio percorso. Non mi riferisco a tatuaggi e a piercing o ad altre pratiche “in se stesse” bensì ad alcuni modi di “usare” queste ed altre pratiche, al desiderio di modificare la propria immagine definitivamente, desiderio che non ammette traduzioni non-letterali di se stesso, ad un “bisogno di diventare”… immagini divine e mostruose.

Ed ecco un tripudio di “Real Dolls”, vere Barbie, veri Ken gonfi di silicone, mostri, rettili, personaggi buoni o cattivi dei cartoni animati, sosia di personaggi noti e icone, divinità di un Olimpo sconsacrato. (4.)

Mi riferisco all’utilizzo reiterato (nelle interviste ai soggetti che compiono pratiche di modificazione estrema) di espressioni quali “dover fare”, “dover essere”, alla narrazione di un’ossessione legata a queste pratiche, al modo di utilizzo delle stesse e al messaggio performativo: gli dei, fuoriusciti dal mondo psichico, sono ormai scesi dal palco di una drammatizzazione possibile e sempre dinamica in quanto transitoria e sono cascati dentro la staticità, oltre il teatro del Sé, nel buio collettivo.
Sorvolo per un momento con lo sguardo le fotografie di adolescenti giapponesi “bagelhead” che si recano in gruppo a feste e sedute collettive per far diventare il proprio volto… un “ciambellone”, iniettandosi una soluzione salina in testa. O nello scroto. Nulla di definitivo; l’effetto dura una notte ma certamente le domande sono aperte. (5.)

Scorgo scelte all’ultima moda che non valutano i rischi per la salute, vedo emergere “must” che operano come modelli mentali e guide all’identità nei piccoli gruppi dei pari e nei gruppi allargati che si stimolano reciprocamente in rete in questa nostra epoca. Un altro esempio è senza dubbio il “corsetto di piercing” (6.)

Ricerca e scoperte nel percorso più o meno “giovanile” attraverso il cyber-punk, cullati nel mondo del desiderio post-organico e nella necrofilia epocale, tra significati sparsi, a noi creature contemporanee occorre oggi andare a cercare la donna e l’uomo perduti tra i simboli dissacrati, sviliti a mero segno. Segni che spesso non sono abiti intercambiabili e teatralizzabili ma incarnati sulla scena del narcisismo. Segni come colori sopra una tavolozza, colori con cui irrimediabilmente disegnare un’identità che, poiché non trova le proprie radici dall’interno, cerca di raggiungere il profondo a partire dalla pelle. Recupera pezzi di rituale decontestualizzato.

La tecnologia (della chirurgia estetica ad esempio) al servizio dell’identità adora il business, si fa brama. Il connubio tra strumenti e desiderio rende ancora più netta la separazione dal pensiero, dalla consapevolezza di sé, nelle persone che non riescono a dialogare con il proprio inconscio. 

Diventare un demone, incarnarlo esteticamente è più facile che conoscerlo nel proprio immaginario. Più facile è confondere l’identità con l’immagine di sé e offrirsi al mondo come soggetto “imago-genico”.

Se negli anni ’90 la Extreme Body Modification era ancora vicina all’arte (vedi la ben nota Orlan, ad esempio) oggi questa via è, spesso, un po’ meno artistica e un po' più assimilabile alla moda quando non va, nei casi più estremi, a sposarsi con la patologia psichiatrica.
 
Per alcuni esempi estremi vedi: le interviste alla “donna-vampiro” Maria José Cristerna, avvocatessa messicana; la storia dell’uomo “Red Skull”, ovvero Henry Damon, il venezuelano che si è fatto amputare il naso ed inserire impianti sottocutanei per “diventare” il proprio eroe (il "cattivo", il nemico di Capitan America).
Non sono di certo casi isolati.
Basta digitare su Google “modificazioni corporee estreme” per avere un’idea della portata del fenomeno.
Vedi anche gli esempi sempre più numerosi di adolescenti che si trasformano in Ken e Barbie umani. Vedi anche il caso di Celso Santebanes, “Ken umano” morto a vent’anni dopo aver speso quarantamila euro in operazioni chirurgiche per trasformarsi in bambolotto. (7.)

Vivere nel paradosso e nella mutevolezza non è ricerca di fissità, eppure, in questo mondo contemporaneo decisamente "borderline" (per la definizione di "epoca borderline" tra tutti cito Giulio Gasca, lezioni alla Scuola di Specializzazione della COIRAG), nulla rischia di diventare troppo fisso come l’agire sulla pelle e nella carne, così come avviene nel caso delle modificazioni corporee estreme. In alcuni casi, in molti ormai, non si può tornare indietro, se non a costo di ricalcare il derma che ci avvolge, che ci limita, che dice di noi chi siamo e trasformare la pelle in un foglio stropicciato, troppe volte usato. Alla fine non resta che il riciclo, nel migliore dei casi, o il suicidio, in alcuni tra i peggiori.

Vedi ad esempio il caso dell’uomo gatto, suicida a cinquantaquattro anni.  L’americano Dennis Anver aveva passato la vita a trasformarsi. Una vita praticamente trascorsa in compagnia del chirurgo e del tatuatore, per dirla (neanche tanto) ironicamente. Si era fatto impiantare artigli, vibrisse (piercing) e denti. Voleva essere un felino, così recitano i necrologi giornalistici (2011), perché la tigre con la sua forza istintiva era l’immagine che nella sua mente evidentemente sfavillava tra le molteplici possibilità identitarie. Ex veterano della marina USA, entrato nel Guinness World Record nel 2009, era figlio di genitori provenienti dalle tribù indiane Wyandot e Lakota. Radici perdute e realizzazione di un sogno di breve durata. (Ringrazio il torinese Stuart De per i riferimenti che mi ha fornito relativamente a questo caso; la fotografia che ho scelto come copertina a questo articolo è proprio il volto di Dennis).

Diventare dio o demone, animale o icona incarnata è una possibilità oggi facilmente attuabile grazie al “diritto” (termine anche questo assai contemporaneo e di moda) propugnato del fai-da-te, perché, si legge un po’ ovunque nei siti relativi al tema delle modificazioni corporee estreme: “il corpo è mio e ne faccio quel che voglio”.

L’identità moderna rischia spesso e volentieri di essere vissuta come un percorso esterno, fuori da sé. In “Dentro il presente – La psicologia analitica di fronte ai conflitti contemporanei”, la psicologa analista Paola Terrile scrive: (oggi, sulla strada delle offerte del mondo attuale) è “tutto giocato sul fuori di me.” E ancora: “la variegata offerta di metodi per incontrare se stessi … la loro superficie colorata ed accattivante, non fa che alimentare la convinzione che la salvezza dal proprio malessere psichico sia dietro l’angolo”. (8.)

Come psicodrammatista non posso esimermi dal sottolineare un certo aspetto: personificare le immagini archetipiche è un gioco di ruolo che nello Psicodramma Analitico Individuativo avviene appunto proprio come “gioco” realizzato nel qui ed ora ma transitorio e creativo, dinamico. Il Doppio stimola e richiama nuove domande pronte a rimettere in discussione i ruoli affinché, nel corso del tempo e nello spazio del gruppo terapeutico, non diventino mai troppo rigidi. Ciò che l’Io di un membro del gruppo incarna in quel momento e ciò che gli Io ausiliari interpretano non può essere definitivo. La maschera non diventa pelle. Non si fonde alla carne. Interpretare non è staticità.

La drammatizzazione dei ruoli è teatro, dinamica. Teatralizzare è libertà di muoversi tra i ruoli, è scoperta dell’identità giocando i ruoli possibili senza fissarsi in un solo apparire. Una fotografia coglie un momento. Un istante che non può diventare tappa fissa, pena il ricadere là da dove si sta fuggendo: dentro l’abbraccio della Grande Madre che non permette differenziazione, nebulosa alla quale il corpo – la carne – appartiene e sempre apparterrà, se la consapevolezza della poliedricità del Sé rimane celata alla coscienza.

(fine parte prima – continua a settembre)

VALERIA BIANCHI MIAN

NOTE

*Imago-genico: un mio neologismo, rispetto al quale è attualmente in atto un confronto sulla possibilità o meno di accostare termini greci a latini; in ogni caso il termine è a mio avviso sufficientemente d’impatto per dire quei soggetti che offrono in se stessi, come propria qualità, la mediaticità sufficiente per attrarre pubblico, e la buona forma per attirare – rispetto all’individuo – una “maggiorazione” delle proiezioni di altri individui, diventando schermi perfetti per la rappresentazione degli dei perduti. Per l’utilizzo del termine "imago" vedi Jung, Vol. 5 Opere.

Vuoi leggere? Ecco una piccola bibliografia in base alle note del testo.

 

1.    Francesco Remotti – Cultura. Dalla complessità all’impoverimento. Laterza, 2011 e Autori vari – L’Io a più dimensioni, la formazione dell’Io in un mondo che cambia. Red, 1989 (a giudicare dalla data sembrerebbe un testo datato e invece è attualissimo!)
2.    Elisabetta Di Lernia, Silvana Gay – La vita è come una tazza di tè. Vertigo Editore, 2014
3.    AAVV Culture del conflitto: giovani metropoli comunicazione – Costa and Nolan, 1995
AAVV Ragazzi senza tempo: immagini musica conflitti delle culture giovanili – Costa and Nolan, 1993
4.    Esplorate voi stessi a partire da: 
https://www.google.it/webhp?sourceid=chrome-instant&ion=1&espv=2&ie=UTF-8#q=MODIFICAZIONI+CORPORALI+ESTREME –
consultate tatuatori e chirurghi estetici per farvi raccontare le loro esperienze – leggete l'articolo di psicologia all'indirizzo: 
http://www.lescienze.it/lanci/2011/11/26/news/ordine_psicologi_del_lazio_essere_visti_essere_guardati_psicologia_delle_modificazioni_corporee-696656/
5. https://www.google.it/webhp?sourceid=chrome-instant&ion=1&espv=2&ie=UTF-8#q=bagelheads
6. https://www.google.it/search?q=piercing+corset&espv=2&biw=1366&bih=667&source=lnms&tbm=isch&sa=X&sqi=2&ved=0CAYQ_AUoAWoVChMIxK-7yo6XxwIVYZ5yCh1J4QOd
7. https://www.google.it/search?q=ken+umano&espv=2&biw=1366&bih=667&source=lnms&sa=X&ved=0CAUQ_AUoAGoVChMIw4nE7I6XxwIVBtUsCh0phwNg&dpr=1
8. A cura di Paola Terrile – Dentro il presente – la psicologia analitica di fronte ai conflitti contemporanei – Vivarium, 2001
 

 
 

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