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In un contesto culturale in cui l’immagine è divenuta potente mezzo espressivo, è importante che anche la psicologia e la psichiatria utilizzino questi canali di comunicazione.
“Sotto nuova luce”, titolo del progetto, sta ad indicare il desiderio di guardare da un altro punto di vista al disagio psichico e al contempo alla stessa fotografia, come strumento di diffusione utilizzabile da tutti. Inoltre, denota l’obiettivo principale del progetto: portare sotto nuova luce e a una maggiore consapevolezza ciò che ci circonda e sé stessi. Il fine ultimo non è stato quindi, quello di imparare ad utilizzare lo strumento fotografico, ma di comunicare attraverso di esso, condividere la propria condizione e i propri stati emotivi. La mostra permetterà a chiunque di immergersi nel mondo del disagio psichico, scoprendo che non è poi tanto diverso da quello che riteniamo la normalità.
Riporto di seguito le fasi salienti del progetto con alcuni scatti dei partecipanti (utenti del csm di Ugento) affinchè sia evidente quanto emerso da questa interessante esperienza.
PRIMA TEMATICA: LA MIA GIORNATA – IL TEMPO
Il tempo è ovviamente una delle tematiche fondamentali della fotografia, che costituisce un ottimo mezzo per fermarne l'inesorabile scorrere. L'istante bloccato dalla fotografia diventa evidente per quanto tempo è necessario al fruitore, che può guardarlo a lungo e ogni volta che lo richiede. L'istante e l'eterno si fondono, ciò che è stato non sarà più allo stesso modo, e questo inevitabilmente riconduce all'accettazione di alcuni avvenimenti, di alcune situazioni. La fotografia, inoltre, può essere un ottimo strumento per ricostruire in un continuum quella che è la storia personale ed individuale di ognuno. Nel nostro caso, ciò che maggiormente si è evidenziato è l'assenza, la mancanza di attività da poter fotografare, l'assenza di reali contenuti e quindi la promozione di un pensiero critico su come si trascorre e si impegna realmente il tempo a disposizione.
Di particolare interesse è questa immagine, con cui L.G. ci racconta e ci dice della sua malattia. Questo il primo eclatante esempio di come il mezzo fotografico sia un facilitatore per raccontare una parte di sé che a volte si tende a nascondere. Nonostante la foto sia sfocata, il fotoamatore ne ha curato attentamente la composizione, presentandola in formato quadrato quasi a voler prendere la forma dello stesso medicinale. Ecco che il contenuto, il messaggio, è più importante dello strumento stesso, per cui la tecnica passa in secondo piano; del resto nonostante la scarsa risoluzione, questa fotografia trasmette bene tutta la sua incertezza (poichè è evidente che i tratti della personalità influiscano sull'utilizzo dello strumento, i tagli continui di L.G. in quasi tutte le sue foto e i suoi aggiustamenti potrebbero essere riconducibili alla necessità di esercitare un certo tipo di controllo sulla realtà).
SECONDA TEMATICA: I LUOGHI CHE VIVO – LO SPAZIO
La macchina fotografica serve a creare un collegamento con il mondo esterno, a fissare un oggetto o un rapporto con l'oggetto, e a trattenerlo mediante un meccanismo d'introiezione o incorporazione (Servadio). Alfred Stieglitz parla di “fotografia di relazione col mondo” , e non a caso egli aveva concepito la tecnica fotografica come una “funzione”, termine questo, osserva C. Marra, inteso come “il modo dell'autoaffermazione del soggetto nei confronti del mondo”. La stessa Susan Sontang si rifà all'atto del fotografare come di un qualcosa che serva ad appropiarsi della cosa che si fotografa. Significa stabilire con il mondo una relazione particolare che dà una sensazione di conoscenza, e quindi di potere.
Anche in questo caso è esemplare la foto in cui M. “mostra” una realtà molto dolorosa che le appartiene. In certi periodi trascorre molto tempo in questo luogo, in cui ci si prende cura di lei, eppure in questo caso è lei a prendersi cura di questo luogo: sistema la scena per lo scatto, mette in ordine gli oggetti, sceglie il punto di ripresa che possa dare maggior dignità alla stanza. M. vuole renderlo accogliente e presentabile rendendolo, a sua volta, accettabile agli occhi di tutti e ci dice “é un luogo brutto, ma buono per me perché mi serve a star bene”. Al contrario suo, che riporta foto scattate tutte dal di dentro facendoci entrare nel suo mondo, accogliendoci a pieno, L.G. porta fotografie di luoghi dall'esterno. E' come se lei non li vivesse realmente e questo ci fa pensare e ci riconduce al distacco che pone tra sé e quello che questi luoghi rappresentano: il cimitero, la casa materna in cui lei non è più tornata dopo la morte della madre. Luoghi tenuti a distanza come si fa con le cose di cui abbiamo paura e ci rendiamo conto che la tematica ricorrente è evidentemente quella del lutto. Potremmo supporre che le fotografie di L.G. ci mostrino ciò che più la spaventano, ciò che non riesce ad accettare, ma che rendendo visibile può divenire più ammissibile e superabile.
Augusto Pieroni in “leggere la fotografia” esprime un concetto personale che sposo appieno: “Un autore può trattare tutti i soggetti che vuole: i suoi temi restano pochi e ricorrenti. E si capisce che non se li è scelti: li ha solo compresi o non compresi. Sono le ossessioni degli autori. E ognuno ne ha un numero limitatissimo: una, due”.
V. si auto-fotografa posizionandosi attraverso la sua ombra in un luogo. Barthes diceva che la fotografia è una certificazione di presenza, e del resto i luoghi anche senza la componente umana possono dire molto delle persone che ci vivono. “Marcare il territorio” è un atteggiamento innato attraverso cui l'uomo documenta la sua presenza. G. invece riporta molte fotografie, ricche di particolari e di memorie emotive. attraverso le quali ci riconduce al periodo della sua malattia e alle tematiche di tipo mistico dei suoi deliri. La fotografia diviene auto-rivelazione senza mezzi termini, e senza veli si presta a mostrarsi in tutta la sua veridicità. Ci racconta della sua infanzia, della sua malattia e della “bellezza perduta”.
TERZA TEMATICA: GLI ALTRI – RELAZIONI SOCIALI
Il laboratorio stesso serve a promuovere lo sviluppo di adeguate competenze sociali, e il gruppo aiuta a creare una giusta atmosfera di condivisone e confronto. Per quanto concerne le fotografie prodotte durante il laboratorio esse ritraggono sopratutto componenti della famiglia a dimostrazione di come i nostri utenti non appartengano a reali reti sociali e non abbiano vere relazioni sociali.
F., la più giovane, ci mostra la fotografia
del mondo attuale e cioè come ogni relazione passi oramai attraverso i social network;
lei stessa ammette di trascorrerci molto tempo e di comunicare con gli amici attraverso facebook. In realtà “gli altri” non sono bene evidenti, poiché aldilà di fratelli e genitori, mancano autentiche relazioni d'amicizia.
Così si delimita un micromondo a cui appartengono i familiari e gli amici intimi e un macromondo a cui appartiene il resto della società che non viene lontanamente “guardato”, come se non gli appartenesse.
QUARTA TEMATICA: IO-L'AUTORITRATTO (le fotografie, autoritratti, non vengono pubblicate per motivi di Privacy)
Un'esigenza presente in ogni individuo è il rapportarsi a sé stessi, sia in quella che è la componente esterna ed evidente, sia la parte interiore ed intima di sé. È innato il desiderio di esplorare il proprio corpo, conoscerlo e imparare ad apprezzarlo nonostante la visione negativa; spesso infatti il nostro corpo diviene “sede di sentimenti di vergogna” e “prolungamento della mente al quale sono appese e ben visibili socialmente tutte le brutture del sé” (G. Pietropolli Charmet). Spesso il corpo è percepito come una parte di se stessi che sfugge al controllo dell'individuo, poiché le sue caratteristiche e il suo funzionamento sono autonomi. Accade che una persona non si sente in simbiosi con esso e per superare questo disagio è necessario “trasformare la passività in qualcosa di attivo che l'individuo abbia l'impressione di padroneggiare, operando quello che Freud ha definito un controllo retrospettivo sugli avvenimenti” (S. Ferrari ) Occorre riappropriarsi del proprio corpo, della propria figura e del proprio io….e quale mezzo migliore della macchina fotografica? Il soggetto diviene anche oggetto da fotografare, oggetto di cui disporre e quindi da padroneggiare.
G. racconta di una lei sempre curata, che la fa sentire sensuale e apprezzata, ricordiamo in lei ricorrente la tematica della bellezza esteriore, l'intellettualizzazione e il senso di perdita di una giovinezza che oramai non c'è più, di qualcosa che la malattia le ha portato via e che nel tempo ha dovuto ricostruire con fatica. M. ci mostra un doppio: come la vedono gli altri, come la vorrebbero (sorridente, truccata, curata) e come invece si vede lei: molto più semplice, naturale. Ha giocato con lo specchio, uno degli strumenti più utilizzati per il riconoscimento di sé, della propria immagine e identità. Lacan ci indica la fase dello specchio nel bambino dai 6 ai 18 mesi, in cui il bambino a un certo punto capisce che l'immagine speculare è la propria e riesce ad identificarvisi. Ma anche L.G. attraverso le sue foto ci dice qualcosa di interessante: “io mi impongo di essere così; seriosa, quasi sempre incazzata, cupa”. Come se non potesse permettere a sé stessa di poter essere altro. L'autoritratto serve anche a questo: guardare le tante sfaccettature che il nostro sé può assumere e cercare di integrarle in un unico sé. Il doppio è una tematica molto complessa che la fotografia esprime spesso, identificabile con l'Ombra junghiana che l'obiettivo fotografico, trasformandosi in uno strumento di autoanalisi e introspezione, può rivelare. Una persona può non riconoscersi mentre osserva il proprio riflesso allo specchio, poiché si tratta di una immagine addomesticata ( Heimlich). Il senso di estraneità che molto spesso le persone provano davanti la propria immagine fotografica dipende dalla mancata coincidenza con l'immagine interna.
PROVA PRATICA: COLORE, LINEE E FORME – EMOTIVITA'
Durante il laboratorio abbiamo svolto anche una prova pratica nel centro storico di Ugento. Abbiamo notato che non è tanto l'oggetto ripreso quanto il colore che riconduce ad uno stato d'animo. Risulta infatti per molti, importante la cromaticità: è il colore ad esprimere quindi la componente emotiva.
L.G. riporta spesso fotografie grigie, con colori spenti, e oscure. (la stessa delle tematiche di morte). Questa per esempio è stata scelta per esprimere il tema “colore forte”, che non viene indicato in un contrasto tra due colori o nella presenza di un colore piuttosto d'un altro. Il grigio sfumato del cielo indica chiaramente quell'oppressione e quella “forza” che è insita nell'animo stesso di chi ha fotografato. Forte infatti è stato ricondotto all'importanza personale del proprio vissuto.
M. con questo scatto ci mostra di aver acquisito oramai una buona pratica tecnica. I partecipanti hanno riportato via via, una particolare attenzione nell'atto fotografico, alcuni addirittura una difficoltà nella programmazione dello scatto stesso, segno di un pensiero critico che accompagna coscienziosamente l'atto creativo nella scelta di cosa e come fotografare. Avendo fatto notare alcune inadempienze tecniche, cerchiamo di riportare l'attenzione alla cura e alla “pulizia” degli scatti, suggeriamo quindi di prestare attenzione a non tagliar via teste, piedi e a cercare di riprendere i soggetti a fuoco. Anche se sono proprio questi “lapsus fotografici” che ci conducono alla parte più veritiera; è infatti ciò che sfugge al nostro controllo consapevole che poi esprime la parte più intima di noi.
Fotografare vuol dire guardare nel mirino e “scegliere” una parte di mondo, cosa riprendere, come riprenderlo… Allo stesso modo una persona guarda dentro di sé e sceglie come essere, cosa dire, come comportarsi…un processo attivo in cui unico filtro è l'individuo. Nonostante la diversità data dal singolo, con la propria carica esperenziale e di vissuto, la fotografia permette a tutti di riconoscersi così che il “vissuto personale” diventi pubblico e nella condivisione possa essere “normalizzato”. Questo permette di non fronteggiare le paure secondo cui si è gli unici a soffrire a versare in un certo stato, ma rendersi conto di non essere soli. Facilitando il meccanismo della proiezione si aiuta il paziente ad entrare in contatto con le diverse parti della propria personalità per riconoscere e identificare proiezioni ed aspettative. La realtà interiore percepita come esterna permette di evitare il confronto con gli aspetti difficili del proprio sé. Le foto scattate permettono in primis di esserne l'autore ma successivamente di porsi anche come spettatore e quindi come lettore della propria realtà personale. La fotografia offre inoltre un esperienza sicura di essere visti e ascoltati, poiché essa parla al posto del paziente in una lingua fatta di immagini. Come dice Carlo Riggi, “Può essere un modo per ricordare ma anche per dimenticare, la sua valenza terapeutica consiste anche nell'aiutare a liberarci, elaborandolo, del dato grezzo che incombe e ci ingolfa, o da angosce senza nome che ci tormentano con la loro immanente visibilità. La fotografia serve a far vedere quel che non si vede, a far esistere quel che non c'è, a rendere conoscibile l'inconoscibile. “Quando l'invisibile si è fatto visibile, in quel preciso istante un pezzo di mondo è morto ed è rinato altrove. E' li che dobbiamo puntare il nostro obiettivo fotografico se vogliamo scoprire qualcosa di noi”. Da non tralasciare l'importanza che oramai riveste il mezzo fotografico. Di fatto, siamo in un mondo in cui l'immagine sta divenendo il vero mezzo di comunicazione, disfacendosi anche della parola stessa. La fotografia è diventata una forma di divertimento diffusa, quasi quanto il sesso e il ballo, il che significa che, come quasi tutte le forme d'arte di massa, non è esercitata dai più come arte, è sopratutto un rito sociale, una difesa dall'angoscia e uno strumento di potere (Susan Sontang); pertanto, è attraverso i nuovi strumenti che il mondo e la socialità ci offrono, che oggi dobbiamo e possiamo fare psicologia.
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