La storia della politica sanitaria italiana, anche in materia psichiatrica, è fatta di alti e bassi. Non sempre ha visto la scienza al primo posto, talvolta però la Politica, magari quella buona, con la “P” maiuscola, ha camminato a fianco della scienza e della dignità umana, portando alla chiusura dei manicomi. Altre volte, la scienza è stata invece maltrattata ed insieme alla dignità ridotta a incerta stampella della politica, quella con la “p” minuscola, che vede al primo posto il potere ed interessi di parte, magari legittimi in sé, ma lascia in secondo piano tutti gli altri, pazienti compresi.
Un’altra politica con la “p” minuscola è stata non di rado condotta in buona fede, ma con effetti altrettanto nocivi, oscillando tra la negazione dell’esistenza stessa della malattia mentale o almeno la negazione della possibilità di una sua cronicità.
Complice anche l’art. 117 della Costituzione introdotto quasi vent’anni fa ormai, abbiamo molti sistemi di assistenza psichiatrica diversi in Italia, uno per ogni regione. Ognuno con i suoi pregi e difetti, migliorabile certamente anche il migliore di essi. Capita, però, che sotto la vernice del miglioramento la cura posa essere peggiore del male. Capita in Piemonte, dove qualcuno non ci sta, e occorre rivolgersi al Giudice.
Diverse volte il TAR per il Piemonte si era già occupato, come il Consiglio di Stato, di questioni che riguardavano l’assistenza psichiatrica. Mai, però, è accaduto (anche al di fuori della Regione Piemonte) qualcosa di simile alla riforma della residenzialità psichiatrica varata dalla ultima Giunta eletta. Una riforma per la prima volta approvata nell’estate 2015, senza alcun preventivo reale confronto esterno all’Amministrazione regionale ed ai Dipartimenti di Salute Mentale; dopo la prima versione modificata, sempre senza confronto esterno, numerose volte, senza essere mai entrata in vigore – fortunatamente – ancora oggi, nelle prime settimane del 2017.
Questa riforma non è entrata in vigore perché il TAR per il Piemonte, di fronte al ricorso di FENASCOP e di altri, ha avuto il coraggio, per ben due volte, nell’ottobre 2015 ed ora, a gennaio 2017, di sospendere una riforma dell’assistenza residenziale psichiatrica che è riuscita a raggiungere il risultato di mettere a rischio contemporaneamente pazienti, operatori, strutture accreditate. Così scrive il TAR nella sua necessariamente sintetica ultima ordinanza: “Considerato che il ricorso e i motivi aggiunti pongono delicate questioni giuridiche la cui disamina non appare compatibile con la cognizione sommaria propria della presente fase cautelare, necessitando di adeguato approfondimento nella sede di merito; considerato che in relazione alla tempistica di attuazione dei provvedimenti impugnati può ritenersi sussistente il danno grave e irreparabile dedotto dalla parte ricorrente nelle more della definizione del presente giudizio; ritenuta l’opportunità, stante la rilevanza degli interessi pubblici e privati coinvolti, di fissare la discussione nel merito (…) accoglie e per l'effetto sospende l’esecuzione degli atti impugnati”
La riforma della residenzialità psichiatrica extra ospedaliera sospesa è abnorme, assurda, scritta da (psico)burocrati, che “mappano” i bisogni dei pazienti psichiatrici in carico al Servizio Sanitario Nazionale attraverso il solo e semplice utilizzo di due scale (GAF – Global Assessment of Functioning e HoNOS – Health of Nation Outcome Scale) scelte tra le decine e decine di strumenti simili utilizzati a livello internazionale in ambito clinico, i cui risultati sono combinati in un misterioso “algoritmo”, significativamente inedito e privo di alcuna validazione scientifica, partorito – absit iniuria verbis – nelle stanze dell’amministrazione regionale piemontese ed approvato dalla Giunta regionale piemontese.
Invece di indagare – come si dovrebbe – il carattere multidimensionale dei bisogni dei pazienti psichiatrici, la Regione Piemonte ha utilizzato due semplici rating scales come la GAF e la HONOS.
Per inciso sia la scala GAF che la Honos sono anche particolarmente discusse e criticate nella Comunità scientifica[i] perché hanno un unico vantaggio: la brevità e la semplicità di somministrazione. Ma è noto proverbialmente che “presto” e “bene” non vanno sempre d’accordo.
In base alla applicazione di queste due scale e del magico algoritmo (che mi ricorda un aforisma del geniale Richard Feynman: “Tra parentesi, la psicoanalisi non è una scienza: è una pratica medica, un po’ come la stregoneria”[ii]) la riforma sospesa pretende di determinare la tipologia di struttura residenziale più idonea alla cura del paziente e persino di individuare quella più appropriata per i pazienti già ospitati dalle strutture residenziali (parliamo di circa tremila persone) somministrando le due scale e processando i risultati con il magico algoritmo. Di fronte alle critiche per tale metodologia decisamente poco ortodossa e soprattutto poco scientifica, che relega la clinica in un angolino in castigo, l’Amministrazione regionale ha replicato che in ogni caso al risultato dell’algoritmo potrà essere allegata una relazione clinica; bontà loro.
Ma quali sono i frutti di una siffatta valutazione dei pazienti psichiatrici in carico al Servizio Sanitario Regionale del Piemonte con gli strumenti previsti nella delibera regionale piemontese? Nella DGR sospesa (n. 29-3944 del 19.9.2016, pubblicata sul Bollettino Regione Piemonte del 6 ottobre 2016) si legge che “I risultati emersi dall’analisi della dimensione clinica dell’utenza, mediante l’applicazione di tale metodologia [l’utilizzo esclusivamente delle suddette scale GAF ed HoNOS e dell’algoritmo – N.d.r.] hanno evidenziato che circa il 39% degli utenti analizzati evidenziano esigenze di supporto sanitario, mentre circa il 61% palesa una esigenza di supporto prevalentemente di tipo socioassistenziale”.
Un risultato sorprendente che è l’esatto opposto rispetto al risultato della più grande indagine epidemiologica a livello internazionale effettuata sulla residenzialità psichiatrica, il progetto Progres[iii]; un risultato che se fosse confermato e veritiero potrebbe portare solo a due ben diverse e possibili conseguenze, entrambe altamente improbabili: 1) uno straordinario risultato terapeutico della cura residenziale per migliaia di pazienti psichiatrici ricoverati in strutture residenziali psichiatriche piemontesi accreditate con il Servizio Sanitario Regionale piemontese in questi anni; risultato del quale non si sono però mai accorti tutti gli psichiatri dei Dipartimenti di Salute Mentale piemontesi, con la conseguenza che dovrebbe sorgere qualche dubbio sull’efficacia del Servizio di salute Mentale in Piemonte, piuttosto che sulle strutture residenziali psichiatriche private accreditate; 2) in alternativa, una straordinaria incapacità degli psichiatri e di tutti gli altri operatori dei Dipartimenti di Salute Mentale piemontesi che hanno sbagliato in tutti questi anni l’inserimento di oltre il 60% dei pazienti e/o la valutazione del loro stato di salute successivo nelle strutture residenziali accreditate piemontesi.
In entrambi i casi, ci pare che anche all’uomo della strada, pur considerando che la verità possa stare nel mezzo delle due ipotesi, di fronte ad un risultato simile, parrebbe necessario non riformare la residenzialità psichiatrica, ma l’intero sistema della Salute Mentale nel Servizio Sanitario piemontese, ed effettuare una approfondita valutazione della competenza ed efficienza degli psichiatri dei Dipartimenti di Salute Mentale. Magari, nella sua riflessione, l’uomo della strada potrebbe essere anche influenzato da alcuni episodi di cronaca nera piemontese[iv] che hanno tragicamente riguardato pazienti psichiatrici in carico ai servizi territoriali, tutta a diretta gestione pubblica del Servizio Sanitario Regionale. Certo, non sarebbe corretta, da un punto di vista scientifico, la valutazione dell’uomo della strada. Ma è più corretto l’utilizzo delle scale GAF ed HONOS unite in un magico algoritmo?
Per ben due volte, nel 2015 e nel 2016, l’Amministrazione Regionale ha deciso che la risposta alle esigenze di cura dei pazienti psichiatrici in Piemonte è la riforma della residenzialità psichiatrica, ottenendo due volte una sospensione della riforma in giudizio.
Si tratta di una sospensione in sede cautelare, che non è la decisione approfondita del merito. Ma la (doppia) sospensione è la conferma che si tratta di una riforma congegnata per essere applicata in fretta e furia, costruita senza sentire né gli operatori, né i pazienti ed i loro familiari, né le strutture private accreditate extra ospedaliere, né le Organizzazioni Sindacali, anche se prevede la revisione completa delle tariffe (con identica spesa per la Regione Piemonte, e questo lo dice essa stessa), la revisione della quantità (in termini di presenza e prestazioni) e qualità (intesa in senso di professionalità) degli operatori, e la revisione dei requisiti strutturali (con nuovi e costosi adempimenti) nelle strutture extraospedaliere, oltre alla valutazione dei pazienti con le scale e il magico algoritmo e la loro ricollocazione per la maggior parte in altre strutture.
L’Amministrazione Regionale con le delibere impugnate ha dato per certa la realtà di un disastro dell’assistenza residenziale psichiatrica che si trascinerebbe da anni ed ha assolto sé stessa, in tutte le proprie articolazioni, dal vertice all’ultimo anello del Servizio Sanitario Regionale, colpendo solo ed esclusivamente quelle strutture extra ospedaliere, pubbliche e private, profit e no profit che dalla Legge 180 in avanti hanno per fortuna sostituito i manicomi.
Discorso diverso è invece stato fatto dall’attuale Amministrazione e da quelle che l’hanno preceduta per le sempre potentissime “cliniche ad indirizzo neuropsichiatrico”, che sono sopravvivono alla L. 180 ancor oggi in Piemonte e che con provvedimenti ad hoc negli anni sono state sempre più assimiliate alle strutture residenziali psichiatriche, con percorsi di inserimento dei pazienti diversi e persino più semplici per ricoveri (ospedalieri) considerati di riabilitazione psichiatrica: le case di cura sono rimaste intatte nei loro privilegi e per loro si profila, al massimo, un percorso morbido di riconversione in strutture extra ospedaliere psichiatriche. Ma per convertire circa cinquecento posti letto ospedalieri in strutture residenziali, occorre fare spazio; sorge quindi il sospetto che la fretta e la modalità con cui viene riformata l’assistenza residenziale psichiatrica abbia il fine di fare posto alla riconversione delle case di cura ad indirizzo neuropsichiatrico piemontesi, sopravvissute alla chiusura dei manicomi e delle strutture ospedaliere diverse dai Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura.
Credo non possa sorprendere a questo punto un lettore che operi in ambito psichiatrico, un altro dato di fatto, ovvero che nelle delibere di Giunta Regionale del Piemonte impugnate e sospese non venga affatto esplicitato né paia interessare l’Amministrazione regionale quale modello terapeutico debba applicarsi nelle strutture extra ospedaliere: l’Amministrazione Regionale non richiama nemmeno strumenti ormai consolidati come gli inserimenti lavorativi in Cooperative sociali o le borse lavoro dei pazienti, né pare tenere alcun conto della “Program theory”[v] in base alla quale ogni programma deve evidenziare la congruenza degli obiettivi selezionati, delle priorità e dei relativi obiettivi con gli strumenti che si ritiene di adottare, né la “Evidence based public health” [vi] (quest’ultima pur richiamata nella delibera) come principio della valutazione dei migliori risultati della ricerca scientifica disponibili in quel preciso momento, per supportare una decisione.
Ovviamente il ricorso predisposto da Fenascop e dagli altri ricorrenti sottolineava molte altre ipotesi di illegittimità delle delibere che vorrebbero ridisegnare il sistema dell’assistenza psichiatrica residenziale[vii] e che per motivi di spazio (sarebbero necessarie diverse decine di pagine di esposizione ed il rinvio a molti documenti) ed anche di complessità giuridica e tecnica non possono essere qui esposte.
Tuttavia, questo è uno di quei casi in cui, una volta appesa la toga, non solo metaforicamente in questo caso essendo chi scrive uno dei difensori nel giudizio che ha ad oggetto l’impugnazione della riforma piemontese, viene da chiedersi che cosa abbiano in mente coloro che elaborano provvedimenti di questo tipo. Viene da chiedersi, in attesa di un esame della questione da parte del TAR nel complesso e difficile giudizio di merito, se questo sia un corretto andamento dell’azione amministrativa, se esso rispetti i principi costituzionali e del Diritto dell’unione Europea; se sia effettivamente l’esercizio di una competente, qualificata azione amministrativa che deve operare in un delicato equilibrio tra interessi talvolta contrapposti, in primo luogo l’interesse del cittadino paziente psichiatrico e dei suoi familiari, dei lavoratori e dei professionisti, dei vincoli di bilancio e delle risorse disponibili, delle legittime aspettative ed interessi degli altri soggetti privati coinvolti, che andrebbero convocati e sentiti, non solo a posteriori e/o in modo assolutamente informale, comunicando le decisioni della Pubblica Amministrazione già prese ed immodificabili, o sia un esercizio di (eccesso) di potere, in altre parole di (psico)burocrazia.
Mala tempora currunt insomma per quanto riguarda l’assistenza psichiatrica in Piemonte. Per fortuna, però, c’è un Giudice, non solo a Berlino, ma anche a Torino.
Per la scala HONOS, come risulta dalla ricerca pubblicata in Psychopathology 2007;40:111–115 a firma A. Gigantesco, A. Picardia G. de Girolamo, P. Morosini, a parte i vantaggi della brevità la scala appare insufficiente per ogni seria valutazione dei pazienti.
[ii] “Le battute memorabili di Feynman” – Richard P. Feynman (a cura di Michelle Feynman) – Adelphi
[v]European Commission, Monitoring and evaluation of European Cohesion Policy, Guidance document, January 2013, http://www.dps.tesoro.it/documentazione/snv/Documento_CE_guida_valutazione_ex_ante_gennaio_2013.pdf; Bamberg M., Rugh J., Mabry L., Real world evaluation: workimg under budget, time, data and political contrains, SAGE Pubblications, 2012; PJ Rogers, Using Programme Theory to Evaluate Complicated and Complex Aspects of Interventions http://coprbm.eu/beta/sites/default/files/rogers_complex.pdf
Paterson C., Baarts C., Launsø L. and Verhoef M.J., Evaluating complex health interventions: a critical analysis of the 'outcomes' concept
BMC Complementary and Alternative Medicine 2009 http://www.biomedcentral.com/1472-6882/9/18/
Richard A.R., Hallberg J.R., Complex intervention in health, Routledge 2015
http://www.epicentro.iss.it/ebp/ebphtrad.asp
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